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Aspettando l'ordine di spargere il sale
di Rosaria Impenna
ItalianiLiberi | 18 Agosto 2008 Arrivano
da Bruxelles ordini sempre più perentori di distruggere la specificità
italiana. Approvato ormai con unanime coro di entusiastici Sì
quel trattato di Lisbona che ci ha tolto la sovranità e l’indipendenza,
i nuovi imperatori possiedono il pieno diritto di ultimare l’opera di
annientamento. Nei primi giorni di agosto è apparso, infatti, in uno
dei quotidiani più letti nel nostro Paese, un articolo in cui si
parlava, con aria disinvolta, di viticultura. L’esordio era quanto mai
allegro, come sempre quando si tratta delle vicende europee: in Italia
ci sono troppi vitigni – diceva più o meno l’articolo- è giunto il
momento di dare il via alla distruzione! Sì, le sacre, mitiche viti che
tanto hanno contribuito al canto della nostra storia letteraria sono
ormai troppe, in eccesso. L’ha stabilito l’Unione Europea, che
attraverso un regolamento entrato in vigore nella famosa data del primo
agosto, prevede “un miliardo di euro di incentivi per eliminare le
coltivazioni”. Miliardi che si aggiungono a quelli da tempo destinati
per la graduale, ma inesorabile dismissione del nostro patrimonio
agricolo in generale. Bruxelles ha deciso che in tutta Europa si devono
estirpare 175 mila ettari di vigneti solo nel triennio 2009-2011. Per
l’Italia il plafond è di 59000 ettari circa, con un tetto del 10% per
ogni singola regione! Un progetto distruttivo talmente feroce che
sarebbe assolutamente necessario conoscere i nomi di coloro che l’hanno
pensato per obbligarli a coatte cure psichiatriche. Poi scopriamo che,
pur avendo concesso in diverse altre occasioni incentivi per eliminare
colture e prodotti tipici, compromettendo ovviamente l’immagine e
l’economia dei Paesi che più ne sono ricchi, questa è la prima volta
che Bruxelles, in forza di Lisbona, “obbliga gli Stati membri a
predisporre le misure”. Inutile dire che le conseguenze di tale
direttiva sono aberranti. La vite, infatti, anche laddove non è
particolarmente redditizia, possiede grande valore di carattere
paesaggistico e addirittura “idraulico”. Se i terreni franano, ci
sentiamo ripetere quotidianamente, non è solo per il cambiamento
climatico, ma perché si abbandonano le coltivazioni delle colline.
Pensiamo alla bellezza degli storici vitigni terrazzati, in pendenza e
di montagna, che si sa, sono poco redditizi perchè di difficile
coltivazione. Il rischio è che si perdano non solo vitigni autoctoni,
ma si modifichi la geografia agricola e si sfiguri interamente il
paesaggio! Ma questo è solo il primo passo di un’operazione assai
più disastrosa. Dal primo agosto 2009, infatti, perderanno di valore la
Denominazione di origine controllata, l’indicazione geografica tipica e
la Denominazione controllata e garantita che contraddistinguono i vini
italiani di qualità. Se fino ad oggi erano gestite a livello nazionale,
ben presto sarà Bruxelles a riconoscere ufficialmente le Denominazioni,
che saranno “uniformate a livello europeo”. La Commissione applicherà
anche ai vini il sistema già previsto per molti prodotti alimentari,
vale a dire con i marchi Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp
(Indicazione geografica protetta). Sigle prive di senso perché senza
possibilità di comprendere la vera località di produzione! L’enorme
danno consiste ovviamente nell’impoverimento del vino il cui scopo è
punire sia i migliori vini che i Paesi produttori; quindi ancora
una volta l’Italia più di tutti! In realtà siamo costretti a pensare
che tutto ciò sembra deciso appositamente per distruggere i tanti e
preziosi prodotti italiani! D’ora in poi sarà infatti possibile che un
imbottigliatore europeo, non produttore, potendo mettere il marchio
“Igp Italia”, avrà tutto l’interesse a farlo. Quindi, banalizzazione
dei vini e perdita delle specificità territoriali. Da qui a breve
“Igp Italia” vorrà dire, ad esempio, che un Nero d’Avola siciliano
potrà essere imbottigliato a Dusseldorf con uve e mosti provenienti da
qualsiasi regione d’Italia, e la bottiglia potrà portare
sull’etichetta il marchio “Igp Italia”. Insomma la rovina
dei nostri migliori vini! Ma c’è ancora di peggio, anche se non sembra
possibile. Il regolamento europeo introduce la possibilità di mettere
il nome del vitigno da solo, senza più specificare il legame
geografico. Per cui, un vino prodotto con uve coltivate in territori
famosi e a tutti note potrà avere la stessa etichetta di un altro
vino prodotto con il medesimo tipo di uva, ma coltivata in una zona di
scarso pregio. Risultato: massificazione indistinta del prodotto;
perdita di valore e di qualità a favore di un’imperante genericità. Ma
perché meravigliarci? Questo è il risultato perseguito, non per i
prodotti agricoli, ma per tutti i popoli e tutte le nazioni europee. Lo
si fa a poco a poco per mantenere il più possibile i cittadini
all’oscuro sulla meta finale dell’operazione “unione europea”. Né è
possibile illudersi di potervi sfuggire. Per unirsi bisogna diventare
uguali se è ancora vero che non si possono sommare le mele con le
pere. __
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