Genova
non appartiene più ai genovesi. Il centro storico è stato comprato, un
pezzo alla volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani, in
maggioranza marocchini e tunisini, e i genovesi vi si sentono ormai
stranieri; non osano quasi più attraversarlo, tanto meno passeggiarvi.
Le moschee vi pullulano e nessuno può validamente opporsi all’erezione
della moschea principale, di faccia al Duomo. Firenze non appartiene
più ai fiorentini. Il centro storico è stato comprato, un pezzo alla
volta, un negozio alla volta, dagli immigrati africani e i fiorentini
vi si sentono ormai stranieri; non osano quasi più attraversarlo.
Ricchissimi “sceicchi” hanno acquistato i palazzi intorno al Duomo,
anche quelli abitati da secoli dai discendenti di Dante. Evidentemente
il Sindaco non vi ha trovato nulla da eccepire, e adesso ha la
soddisfazione di affacciarsi dal suo ufficio slle grida dei venditori e
sugli effluvi di aglio provenienti dalle cucine musulmane. I
negozi africani vendono ai turisti, sotto il naso dei fiorentini
impotenti, borsette di autentico “cuoio fiorentino” conciato in
Cina e, malgrado l’estrema battaglia ingaggiata da Oriana Fallaci, le
moschee prosperano al pari dei commerci. Roma non sta meglio. Gran
parte del centro, a cominciare dalla Basilica di S. Maria Maggiore fino
a Piazza Vittorio e a S. Giovanni, appartiene agli immigrati,
soprattutto cinesi e africani (ma a Roma sono presenti quasi tutti i
gruppi etnici esistenti al mondo). Comprano tutto quello che possono,
convincendo facilmente i proprietari con l’abbondanza di denaro
contante che possiedono, senza dilazioni o mutui, cosa che nessun
italiano può permettersi. I cinesi, poi, sono silenziosissimi. Non
salgono quasi mai alla ribalta delle cronache perché obbediscono, senza
osare lamentarsi, ad una disciplina ferrea, lavorando in modo disumano,
al di fuori di qualsiasi normativa igienica e sindacale. Quando si
ammalano o quando partoriscono ricorrono alle cure di un proprio medico
allo scopo di non far scoprire il loro numero effettivo. Ci si accorge
della loro presenza soltanto dalla lingua delle insegne. La questione
delle insegne dei negozi, del resto, è di per sé indicativa del
disprezzo dei Sindaci verso la propria città. Neanche i benemeriti
Sindaci di Roma, tanto solerti verso la cultura, hanno ritenuto
doveroso imporre ai nuovi padroni almeno l’uso della doppia lingua
sulle insegne dei negozi. E’ urgente, dunque, emanare una legge che
vieti l’acquisto di terreni, di edifici, di locali agli stranieri. Si
tratta di una normativa talmente ovvia che esiste in quasi tutti gli
stati, anche in quelli africani dai quali provengono molti dei nostri
immigrati acquirenti; la sua mancanza è sufficiente da sola a
testimoniare della spaventosa indifferenza dei governanti verso il
territorio italiano. Bisogna anche precisare che l’Italia ha l’obbligo
di derogare, in difesa della propria esistenza, dalle normative
riguardanti i cittadini degli stati che fanno parte dell’unione
europea. Comportarsi come se l’Italia fosse un paese uguale agli altri
sarebbe stupido oltre che falso visto che venire in Italia è stato da
sempre il sogno di tutti. Inoltre noi siamo troppi e il territorio
italiano va salvaguardato dall’eccesso demografico non soltanto per la
sua intrinseca fragilità ma anche per la sua bellezza paesaggistica. Spetta
al nuovo governo provvedere in fretta dato che nessuno ha dubbi sul
fatto che il successo elettorale del centro destra sia dovuto
sopratutto alla insofferenza della maggior parte della popolazione nei
confronti della immigrazione. Una insofferenza che ha profonde
motivazioni psicologiche oltre a quelle concrete e che si estende ad
aspetti che di solito i governanti non prendono in considerazione
quando si occupano della “sicurezza”. Ma se è vero che gli italiani
hanno deciso di riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro
provocando l’attuale terremoto politico, è perché non ne potevano più
di non avere diritto a custodire il patrimonio che con tanta fatica
hanno conquistato: la propria terra. Non ne potevano più di essere
oppressi dalla invasione di stranieri e dalle conseguenze inevitabili
che tale invasione porta con sé. Si tratta di conseguenze che vanno
molto al di là del pur grave assedio dei crimini quotidiani. Nessuna
“sicurezza” è possibile ad un popolo che non possieda un territorio ben
delimitato e chiuso, così come ogni individuo si sente al sicuro
soltanto se possiede una casa nella quale nessuno possa entrare.
L’Italia è diventata negli ultimi anni terra di approdo per chiunque.
Ma un popolo è tale appunto perché possiede un territorio. I “confini”
esistono e sono sempre esistiti, in ogni tempo e in ogni luogo, perché
delimitano la sacralità dello spazio nel quale vive un determinato
gruppo di uomini. Chi non sa che si deve mettere i piedi in un solco
d’acqua per attraversare il confine di alcuni stati? L’acqua segnala
appunto la necessità di una purificazione per entrare nel territorio
altrui. Ma anche il “tappetino” davanti alla porta di casa segnala,
sotto la debole razionalizzazione del pulirsi le scarpe, la sacralità
del nostro territorio. Ida Magli Roma, 21 Aprile 2008
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