“Tutto
quello che non so, l’ho imparato a scuola”. E’ una delle battute
fulminanti di Longanesi, pronunciata diverse decine di anni fa, ma che
ognuno di noi, vecchio o giovane che sia, riconosce immediatamente come
vera. E’ così. Si esce dopo tanti anni dalla scuola senza “conoscere”,
nel senso tecnico del termine, senza padroneggiare, senza aver “fatto
proprio” nulla di quello che si è studiato. Se ne accorgono bene i
genitori (per non parlare dei nonni) quando vogliono aiutare i figli a
fare i compiti, anche delle elementari. È sufficiente una domanda sulla
superficie di un poligono o sul congiuntivo di un verbo a mandarli in
tilt. Inutile cercare le colpe: non è colpa di nessuno. E’ passato il
tempo, è cambiata la società, è cambiato il modo di vivere e la scuola
è rimasta fuori dalla storia, fuori dalla realtà. Tanti Ministri di
buona volontà si sono succeduti, ognuno con la propria riforma, ma
nessuno ha avuto il coraggio di una rivoluzione. Per questo il
risultato è stato sempre quello che non poteva non essere: terapie su
un cadavere. Indico qui soltanto alcuni dei problemi fondamentali,
con qualche suggerimento per riportare almeno a galla la nave
affondata. Prima di tutto togliere l’obbligatorietà e mettere la scuola
di stato sul mercato. Se una cosa è obbligatoria, è evidente che
non può essere considerata né un diritto né un dovere. Quindi è odiata
in quanto emanazione di un potere autoritario. Mettere la scuola sul
mercato significa farla pagare, creando la famosa concorrenza di cui
tanto oggi vengono lodati gli effetti e ridando alle famiglie la
possibilità di scegliere quella che vogliono. Lo Stato ovviamente
provvederà con borse di studio e esenzione dalle tasse ad aiutare gli
allievi migliori intellettualmente, eliminando le graduatorie di
qualsiasi altro genere. E’ assurdo pensare che tutti amino studiare, e
soprattutto amino studiare al livello del quoziente intellettuale più
basso, quale è inevitabilmente quello della scuola odierna. La nostra è
una società che non sfugge alla crudeltà e all’ingiustizia: quando non
le esercita verso i più poveri, lo fa verso i più dotati. Le
elementari possono rimanere così come sono fino alla terza, inserendovi
però l’educazione fisica che è estremamente utile proprio negli anni
dello sviluppo psicomotorio. Dalla quarta elementare in poi è
indispensabile cambiare del tutto la tecnica dell’insegnamento. Per
apprendere in profondità bisogna concentrarsi su poche materie, e
soprattutto bisogna apprendere il metodo della costruzione del sapere,
capire come hanno fatto gli uomini a capire e che cosa hanno capito,
quale è la struttura del sapere. L’informazione superficiale oggi la si
apprende nell’aria, attraverso l’informazione, la televisione,
internet, i viaggi. Bisogna abbandonare l’apprendimento a spizzico di
un po’ di tutto, distribuito per tutto l’arco di tempo della scuola, e
concentrare invece lo studio su due o tre discipline alla volta. Tutta
la geografia insieme alla storia, alla storia dell’arte, alla storia
della letteratura concentrate in due o tre anni. Poi sarà la volta
della matematica, della fisica, della biologia, di una lingua in altri
due o tre anni. Arricchire l’insegnamento dei docenti con lezioni
televisive preparate dai più famosi conoscitori di determinati
argomenti; far leggere direttamente e per intero i testi di alcuni
autori abolendo l’obbrobrio delle antologie. Gli edifici scolastici
devono diventare luoghi dove i ragazzi “vivono”: mangiano, giocano,
lavorano, eventualmente anche dormono. Dovrà essere presente, quindi,
anche un personale ausiliario, non insegnante. Per chi non ama lo
studio teorico esistono tanti mestieri che possono essere molto più
divertenti che non stare a sentire per diverse ore di seguito una
persona che parla. In tutti i casi è indispensabile cercare di
risolvere il problema della quasi totale mancanza di insegnanti di
sesso maschile. Le conseguenze della femminilizzazione della scuola
sono gravissime: perdita di prestigio e di autorità sia davanti agli
alunni che come professione; impossibilità per gli studenti maschi di
trovare nell’insegnante un riscontro psicologico e un qualche modello
di comportamento; carenza di profondità metodologica nell’insegnamento
della fisica e della matematica, discipline alle quali le donne (almeno
fino ad oggi) risultano poco portate. Aumentare gli stipendi, come
si propone di fare il Ministro Gelmini, è senza dubbio una buona cosa,
ma non servirà da sola a far tornare i maschi nelle scuole, almeno fino
a quando non si sarà tolto all’insegnamento l’attuale immagine negativa
vice-materna e priva di potere. Un primo passo, però, può darsi che
consista proprio nella creazione di un mercato con scuole di
eccellenza, specializzate in determinati insegnamenti. Il conseguente
sfoltimento del numero degli studenti, con l’eliminazione della scuola
di massa, farà alzare l’immagine sociale dell’insegnante, cosa
anch’essa indispensabile per attirare qualche docente di sesso
maschile. Infine, la redistribuzione dei docenti in esubero in altri
incarichi, quali, per esempio, le biblioteche e i musei, attualmente
molto poveri di personale, servirà a fornire di un carattere
generalmente culturale e non più esclusivamente scolastico gli
insegnanti, cosa positiva per tutti.
Ida Magli Roma, 12 Giugno 2008 |