editoriale
Organizziamoci: Berlusconi non ci salverà
di Ida Magli
ItalianiLiberi | 12 Agosto 2008 Lo
stato di degrado e di abbandono in cui è stata lasciata per tanti anni
l’Italia dai governi precedenti a quello attuale (compresi quelli
berlusconiani) era talmente grave da farci apparire adesso la
liberazione di Napoli dai cumuli di immondizia e la promessa di maggior
rigore verso la delinquenza già come miracoli. Ma dobbiamo renderci
conto che appunto si tratta della reazione ad una condizione di
malattia terminale nella quale si erano ormai arrestate le funzioni
primarie per la sopravvivenza. Quello che sta facendo il governo
Berlusconi in questo momento è una specie di respirazione bocca a bocca
e perfino il lodo Alfano possiamo supporre che sia passato quasi
indenne (tranne l’inevitabile protesta del magistrato Di Pietro)
attraverso tutte le istituzioni di controllo, compresa la Presidenza
della Repubblica, perché non si poteva prolungare neanche per un giorno
lo stato di coma dell’Italia. Dunque: l’oggi; la sopravvivenza: oggi.
Nessun partito, nessun uomo politico vuole o si prefigge la
sopravvivenza dell’Italia per domani. E per domani si intende proprio
domani: tre anni, quattro anni. Non di più. Analizziamo la situazione. Il
Parlamento ha ratificato all’unanimità (ripetiamolo: all’unanimità,
senza neanche un solo dubbio, come succede soltanto quando si decide di
aumentare lo stipendio parlamentare) il cosiddetto Trattato di Lisbona
che è in realtà quella Costituzione europea bocciata a suo tempo
nell’apposito referendum dai Francesi e dagli Olandesi. Una
Costituzione, ossia i fondamenti della convivenza di un popolo, i
principi in cui esso crede, i valori che si impegna a rispettare. Ma
per quanto riguarda la costituzione europea questa affermazione è
falsa. Gli Italiani, così come gli altri 27 popoli che vi sono stati
assoggettati per volontà dei loro governi, non conoscono affatto
questo testo, messo faticosamente a punto da pochi personaggi della
politica (fra i quali per l’Italia Giuliano Amato e Gianfranco Fini)
sotto la guida del pensiero massonico francese. Ma che importa? E’ bene
che ne sappiano il meno possibile perché altrimenti è sicuro che vi si
opporrebbero. Il Potere, del resto, per questo esiste, in questo si
riassume: imporre, sotto le vesti della democrazia tanto quanto sotto
quelle della dittatura, le proprie decisioni.
Chiariamo,
dunque, il primo punto: sono gli ideali massonici che hanno ispirato
fin dall’inizio il progetto di unificazione europea; ideali che vengono
da lontano, praticamente dall’elaborazione di un mondo del tutto nuovo
immaginato dai pensatori dell’Enciclopedia: l’uguaglianza fra tutti gli
uomini, la fratellanza, la solidarietà, la tolleranza, la pace perpetua
fra le nazioni… Sfilano davanti alla nostra memoria nomi famosissimi
del 1700 quali quelli di Rousseau, di Voltaire, di Helvetius, di
Diderot, di Kant, nomi che tutti conosciamo e che abbiamo studiato a
scuola ma che ci sarebbe difficile credere dettino legge ai nostri
giorni. Eppure è proprio così. Malgrado la storia abbia dimostrato
subito, quando essi erano ancora in vita (il progetto per la pace
perpetua di Kant è del 1795, anno in cui a Parigi imperversava il
Terrore) che è impossibile trasferire le teorie filosofiche ideate a
tavolino alla realtà degli uomini concreti, c’è chi invece continua a
imporne la realizzazione “errando nel dedalo di una metafisica di
parole”, per dirla con una bella immagine dello stesso Helvetius. Il
sangue ha continuato a scorrere da allora, come prima, più di prima, ma
i teorici del Bene Universale non hanno mai rinunciato. Finalmente,
dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, nella impossibilità
di conquistare i territori con la guerra, si è intravista una nuova e
meravigliosa strada: unifichiamo i territori unificando i popoli. Se
gli individui sono uguali significa che anche i popoli sono uguali. Non
importa se hanno storie diverse, lingue diverse, religioni diverse,
costumi diversi, poesia, arte, musica diverse: basta fingere che siano
tutti uguali sotto il nome di “europei” e il gioco è fatto. Cancelliamo
i singoli Stati, le patrie, le nazioni, le parentele, e creiamo un solo
Stato grande e potente cancellando i confini, mescolando le
popolazioni, immettendovi anche le masse di immigrati da altri
continenti. Se cancelliamo il concetto di “diverso” non vi saranno
limiti al nostro Impero. Siamo già arrivati ai Balcani, arriveremo fino
ad Israele. Accentriamo il potere nelle nostre mani (non più di venti
persone a decidere) e lasciamo che un parlamento di sordi, nella
babele di una trentina di lingue diverse, finga di discutere e di
rappresentare la volontà e gli interessi di 500 milioni di perfetti
sconosciuti. Nessuno creda che le normative create a Bruxelles siano,
come si suole dire, “stranezze” della mentalità burocratica. Sembrano
“barzellette sui matti” perché sono frutto di patologia mentale.
Patologia mentale inevitabile in coloro che, essendo praticamente dei
nessuno nella vita, si trovano proiettati all’improvviso, senza che
abbiano fatto nulla per giungervi, nel vuoto di un mondo irreale,
inesistente, come di fatto sono tutte le istituzioni europee. Dotati di
un immenso potere coercitivo, senza nessun controllo, asserragliati nei
palazzi fantasma dove scorrono fiumi di denaro, sommersi in privilegi
imperiali, i piccoli uomini divenuti parlamentari europei perdono
l’orientamento, il principio di realtà, e si esercitano in produzioni
di ordine maniacale, tipiche del pensiero ossessivo privo di contenuto
e ritorto su se stesso. Inutile aggiungere che sono pericolosissimi. Dunque
non possiamo fidarci più di nessuno dei nostri politici visto che hanno
votato tutti con entusiasmo la fine della nazione Italia. Non abbiamo
più la patria. Patria è infatti il proprio territorio, la propria casa,
lo spazio dove un popolo si è costituito come popolo attraverso il
passare dei secoli parlando la stessa lingua, chiamandosi con gli
stessi nomi, moltiplicando le parentele attraverso i matrimoni,
condividendo la stessa religione, la stessa morale, gli stessi cibi, la
stessa intelligenza cognitiva, la stessa sensibilità artistica, creando
la propria architettura, la propria letteratura, la propria musica, la
propria scienza, la propria storia. Tutto questo non ci appartiene più.
Se qualche italiano, plagiato dall’opera di convinzione esercitata dai
politici attraverso la scuola e i succubi mezzi di massa, pensa con
piacere all’idea dello Stato europeo, non sarà in buona fede però se
affermerà di sentire come patria la Svezia o la Polonia o un qualsiasi
altro Stato dell’Unione. E comunque sarebbe smentito dal fatto di non
parlarne la lingua madre. Nessuno è in grado di prevedere il futuro
di questo ammasso di istituzioni, di leggi, di teorie filosofiche
concretizzate in disposizioni di controllo poliziesco quali nessun tipo
di governo ha mai fino ad ora messo in pratica. Ma la sua debolezza è
già evidente. Quelle che ho indicato sono soltanto alcune premesse
all’analisi dettagliata che farò nei prossimi articoli in modo da
rendere più chiare che sia possibile ai lettori le condizioni effettive
della vita nel nuovo Stato. Per ora avanzo soltanto una prima proposta
sulla quale si potrà riflettere, discutere, lavorare: rifiutare la
cittadinanza europea. Nell’apposito articolo del trattato di Lisbona,
si dice che la cittadinanza europea “si aggiunge a quella nazionale”.
Non si dice che è obbligatoria. Partiamo da qui.
12 Agosto 2008
Ida Magli
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