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Crisi e moneta di plastica

di Raffaele Ragni
Rinascita | 3 Dicembre 2008


  Le crisi di borsa si somigliano tutte. L’evento speculativo segue sempre la stessa dinamica, dall’euforia al crollo, fino ad una ripresa illusoria che prepara un nuovo crollo. Gli economisti si rivelano sempre incapaci, sia di prevedere la crisi che di risolverla, offrendo falsi rimedi ed evitando accuratamente di spiegare il fenomeno in maniera comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Infine, in ogni catastrofe finanziaria, c’è sempre qualcuno che si arricchisce mentre tanti vanno in rovina. Generalmente i beneficiari della crisi sono gli stessi che l’hanno causata.
Prendiamo ad esempio la crisi del 1929. Senza minimizzare le ragioni congiunturali, possiamo affermare che essa fu causata, o quanto meno amplificata, dalla diffusione del modello societario inventato da Marcus Goldman e Samuel Sachs. Il sistema era semplicissimo. Nel 1928 i due compari fondarono la Goldman Sachs Trading Corporation (GSTC). La prima emissione di azioni fu impiegata nell’acquisto di altre azioni.
Dopo pochi mesi sorse la Shenandoah Corporation (SC), controllata dalla GSTD, anch’essa con lo scopo di acquistare e detenere azioni ordinarie. Gli incrementi di valore delle azioni detenute dalla SC andavano in maggioranza alla GSTD.
Successivamente nacque la Blue Ridge Corporation (BRC) sulle cui azioni lucravano direttamente la SC e indirettamente la GSTD. Con questo sistema le azioni della GSTC, emesse nel 1928 a 104 dollari salirono in pochi mesi a 222,50 dollari. Nella primavera del 1932 erano scese a 1,75 dollari, ma nel frattempo Goldman e Sach avevano accumulato un’immensa ricchezza.
Riferendosi a coloro che sono responsabili e beneficiari della crisi, che segue sempre un periodo di forzato ottimismo, l’economista John Kenneth Galbraith ebbe ad affermare: “L’euforia è protetta e sostenuta da coloro che vi sono coinvolti per giustificare le circostanze che li stanno arricchendo”. Pertanto, se vogliamo capire le ragioni profonde di una crisi, una volta individuate le cause strutturali che l’hanno resa inevitabile e gli eventi che l’hanno fatta esplodere, bisognerebbe cercare indizi, non solo tra le righe delle spiegazioni fornite da autorevoli osservatori, ma anche da eventi apparentemente marginali e casuali. Sintomatico è il caso Barclays.
Da qualche mese, simultaneamente allo scoppio della crisi attuale, la suddetta holding finanziaria globale ha lanciato una grande campagna per pubblicizzare le sue carte di credito. La Barclays era emersa in un primo tempo come possibile acquirente della Lemma Brothers, il cui crollo ha determinato il recente crac in borsa ed un’ondata di pessimismo in tutti i settori dell’economia. Anzi fu proprio il ritiro della proposta d’acquisto avanzata da Barclays a causare il fallimento della Lehman Brothers ed il panico successivo. Il crac tuttavia era stata annunciato, circa un anno prima, dalla crisi dei mutui subprime, prestiti con garanzia immobiliare divenuti inesigibili per la crescente impossibilità dei beneficiari di estinguere i debiti contratti. Ritroviamo in quest’ambito ancora Barclays, nel cui gruppo figura Woolwich, specialista appunto dei mutui immobiliari. Un’analisi approfondita delle ragioni strutturali delle crisi, rivela che mancano i soldi perché tutti, chi più chi meno, siamo indebitati attraverso il perverso meccanismo della moneta di plastica: carte di credito e tessere affini. Riappare quindi Barclays che pubblicizza, in piena crisi, proprio moneta di plastica.
Procedendo a ritroso, ci accorgiamo che in realtà Lehman Brothers, dopo aver prodotto la notizia che ha scatenato il crac, non è scomparsa dallo scenario finanziario, ma è stata acquisita proprio da Barclays. La cronologia degli eventi è particolarmente significativa. Il giorno prima del lunedì nero (15 settembre 2008) - che è domenica, giorno festivo per i cristiani, ma lavorativo per altri - accade che Barclays, ritirando la sua proposta d’acquisto, determina il fallimento di Lehman Brothers e indirettamente il crac in borsa. Il martedì, mentre crollano i mercati, Barclays riapre le trattative. Il mercoledì, mentre gli economisti cercano di spiegare le ragioni macrosistemiche della crisi, l’accordo si chiude. Una settimana dopo il lunedì nero, mentre i mass media trasmettono ancora immagini di yuppies che traslocano coi loro scatoloni dal quartiere generale di Lehman Brothers, questa ha già riaperto col marchio Barclays. I suoi 10.000 manager sono di nuovo al lavoro, mentre l’onda lunga del crac e della recessione bruciano posti di lavoro in tutto il mondo.
A questo punto, poco importa spiegare le vicende relative all’aumento di capitale in Barclays che hanno consentito questa ed altre lucrose operazioni. Significativo è l’ingresso di capitali arabi, un fondo del Qatar ed uno di Abu Dhabi, che alla fine hanno prevalso sulla cordata degli investitori istituzionali guidata da due grandi fondi pensioni della city, cioè Legal&General ed Aviva. Tuttavia, la cosa più preoccupante di questa vicenda è che una guerra tra bande interna all’oligarchia ha accentuato pericolosamente la recessione in atto, trasformando un fenomeno speculativo in una crisi da carenza di domanda, dalle conseguenze sociali devastanti.
Lo scenario che stiamo vivendo è noto al pensiero economico. Gli economisti classici lo avevano intuito quando il capitalismo era ancora agli albori. Il fenomeno dell’invenduto, tipico sintomo di carenza di domanda, è descritto in Karl Marx. Il pericolo della stagnazione finale, come destino del capitalismo, è paventato da John Stuart Mill. I neoclassici si sforzarono di spiegare che il sistema, dopo qualunque evento critico, ritrova sempre il suo equilibrio, ma non riuscirono a prevedere, né a spiegare, il crollo del 1929, quando i milioni di disoccupati americani sembravano contraddire apertamente la teoria neoclassica della disoccupazione volontaria, secondo cui i senza-lavoro sono tali per colpa loro, perché non vogliono accettare il salario d’equilibrio che offre il sistema. È una teoria tanto cara al padronato, ancora oggi.
La recessione e la carenza di domanda sono gli scenari tipici della crisi in atto. Il fallimento della Lehman Brothers, per volontà ed a vantaggio di Barclays, è stato il fenomeno speculativo che ha scatenato il crollo aggravando la situazione, insieme alla vicenda dei mutui subprime americani. Ma il fenomeno cerniera, tra crisi sistemica e speculazione, è rappresentato dall’indebitamento generalizzato prodotto dalla moneta di plastica, fenomeno in cui ritroviamo Barclays e le sue carte di credito con opzione revolving, rilanciate paradossalmente proprio in questo difficile momento, quasi a rappresentare, se non la causa, ma almeno l’emblema della morte a credito offerta dall’oligarchia. Vediamo perché, spiegando il perverso meccanismo della moneta di plastica.
Comunemente vengono definite carte di credito, sia quelle che lo sono, sia altre tessere che sono in realtà carte di debito, cioè i bancomat, le prepagate e le tessere revolving credit distribuite dalle istituzioni usuraie che erogano il credito al consumo, meccanismo perverso che lentamente riduce sul lastrico milioni di persone. Cominciamo dalle carte di credito tradizionali. In Italia ne sono in dotazione ben 31 milioni, cioè due per abitante, bambini compresi.
Le carte di credito sono documenti che, entro il limite di fido fissato dalla banca emittente, danno al titolare il diritto di ottenere beni e servizi da fornitori convenzionati, mediante la semplice sottoscrizione dello scontrino. Il titolare della carta, generalmente dopo un mese, paga alla banca il prezzo, mediante addebito sul proprio conto corrente. La banca lucra: le commissioni di sconto applicate agli importi dovuti ai fornitori, le quote associative pagate dai titolari della carta, gli interessi addebitati sul loro conto per il periodo intercorrente tra la data di valuta riferita ad ogni acquisto e la data di regolamento del saldo.
Si definisce credito al consumo la concessione di credito in forma di dilazione di pagamento, finanziamento o altra facilitazione finanziaria, a favore di una persona fisica che agisca come consumatore, cioè per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Non possono quindi beneficiarne le aziende allo scopo di finanziarsi, ma soltanto individui che intendono comprare qualcosa senza sborsare subito l’intero prezzo. E’ il cosiddetto acquisto con pagamento a rate, che può riguardare automobili, cellulari, elettrodomestici, computer, mobili, viaggi, ed altri beni o servizi venduti in negozi convenzionati con apposite banche e società finanziarie. Molto diffuso tra i lavoratori dipendenti è il prestito personale con cessione del quinto, erogato in un’unica soluzione a tasso fisso e durata prestabilita. Il piano di ammortamento è a quote mensili costanti, non superiori ad un quinto dello stipendio del mutuatario, trattenute direttamente dal datore di lavoro e quindi versate alla banca.
Il meccanismo perverso del credito al consumo si chiama revolving credit e funziona così: la banca mette a disposizione del cliente una certa somma di denaro, che diminuisce ad ogni acquisto e viene ricostituita ad ogni rimborso effettuato in base al programma di ammortamento, generalmente mensile. Il tasso di interesse è variabile. A differenza del conto corrente bancario, il cliente non può mai avere un saldo positivo perché non può effettuare operazioni di deposito, ma solo disporre di una somma massima da utilizzare per i suoi acquisti nei negozi convenzionati. Nei contratti di credito al consumo bisogna indicare il tasso di interesse applicato all’operazione, che è definito tasso annuo effettivo globale (Taeg). È un’operazione molto costosa per i clienti e, per converso, molto redditizia per le banche e le finanziarie. Basti pensare che il Taeg in media oscilla dal 17% al 26%. Questa è usura.
A proposito di potere usuraio, ed a conclusione della nostra analisi, ritroviamo ancora la Barclays. Nel 1966 essa ha lanciato la prima carta di credito in Europa. Nel 1977 compare tra i soci fondatori del circuito VISA. Ha inventato il revolving credit. In piena crisi da carenza di domanda, aggravata dal crac di borsa causato dalla sua politica di acquisizione, essa lancia una carta di credito con l’opzione revolving, che non è una carta di debito impropriamente definita carta di credito, ma la sintesi di entrambe, ultima frontiera della moneta di plastica, nuova opportunità d’indebitamento per tutti. Non c’è da meravigliarsi. L’oligarchia continuerà a lucrare sulle nostre miserie e il sistema ritroverà il suo equilibrio, a meno che la crisi non s’aggravi al punto tale da produrre un partito rivoluzionario capace di guidare il popolo verso un nuovo socialismo.

 
Pagina stampata dal sito rinascita.info il sito di Rinascita - Quotidiano di Liberazione Nazionale. 

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