editoriale
Risposta alle lettere
di Ida Magli ItalianiLiberi | 08/01/2009
In
seguito all’articolo “Il progetto ebraico” sono giunte parecchie
lettere che, salvo qualcuna di consenso, sono per la maggioranza di
sdegnato rifiuto. Quelle che potrete leggere qui accanto sono state
scelte soltanto fra quelle ostili. La mia non è tanto una ”risposta”
quanto una sintetica messa in luce dei punti fondamentali che
bisognerebbe tenere presenti nell’ambito di questo discorso dato che
non è possibile neanche riassumere l’estesissima bibliografia che si è
accumulata dal 1945 ad oggi riguardo allo sviluppo del pensiero e
dell’attività degli Ebrei (indicherò soltanto pochi titoli in Nota). Prima
di tutto devo confessare che sono rimasta molto sorpresa del tipo di
reazione di coloro che mi hanno scritto per due motivi principali. Il
primo è dovuto al fatto che gli Italiani sembrano essere rimasti fermi
alla fine della seconda guerra mondiale quando la intangibilità degli
Ebrei è stata eretta come unica possibile riparazione di fronte allo
shock provocato dalla scoperta dei campi di sterminio. In nessun altro
paese esiste una posizione così compatta e rigida come quella che ho
potuto constatare in questa occasione. Il secondo punto
riguarda, invece, lo sdegno con il quale è stata negata l’ipotesi che
il progetto di unificazione europea sia stato ideato e voluto dagli
Ebrei sulla base del primato dell’economia e del mercato. Come mai
tanto sdegno? L’Europa non è quel massimo bene possibile di cui ci sono
stati decantati per anni tutti i meravigliosi vantaggi? Un bene che
nessuno, tranne me e pochi altri stupidi o matti, ha mai criticato?
Talmente ovvio come “Bene” che non è stato mai fatto oggetto di
dibattito in nessuna trasmissione televisiva, neanche in quelle
cosiddette di “approfondimento”, né a destra né a sinistra o, tanto
meno, di un qualsiasi referendum? Perché dunque sarebbe offensivo, o
addirittura “razzista”, “antisemita”, attribuirne l’idea agli Ebrei?
Gli Ebrei non possono forse pensare e realizzare una politica giusta,
bella, buona, portatrice di pace e di ricchezza a tutti i popoli quale
quella che si assicura come garantita dall’Unione Europea? La fine
degli Stati e delle identità dei popoli d’Europa non è forse vista come
negativa soltanto da me e dai pochi seguaci degli Italiani Liberi?
Perché il primato del mercato, sul quale è esplicitamente fondato il
Trattato di Maastricht, tanto da dover iniziare con la creazione di una
nuova moneta, diventerebbe un valore negativo, un insulto se
accompagnato al nome degli Ebrei? Di fatto io sono convinta che
queste lettere riflettano una reazione troppo immediata, quasi un
riflesso condizionato in difesa degli Ebrei; un riflesso condizionato
che io posso comprendere ma che, per quanto generoso, non è utile, ed
anzi alla fine può risultare dannoso a tutti, e prima di tutto agli
Ebrei. Nessun popolo, così come nessun individuo, si avvantaggia dalla
mancanza di critica, di consiglio, di incoraggiamento o di riprovazione
da parte degli altri uomini o popoli. Non pronunciare mai nessun
giudizio sugli Ebrei significa lasciare fermi loro e noi al trauma
dello sterminio, come se fossimo fuori dalla Storia, cosa ovviamente
falsa dato che la Storia non si ferma mai, salvo quando muoiono le
culture e i popoli che ne sono portatori. E’ proprio questo che stiamo
facendo in Europa: ci lasciamo morire, convinti ormai che non abbiamo
diritto a vivere e che siano gli altri, gli stranieri, gli unici
portatori di vita. Il fatto è che il “fondamentalismo”,
l’assolutizzazione di un’idea, di un principio, è presente ovunque,
presso tutti i popoli, e di conseguenza anche fra noi e fra gli Ebrei.
(E’ in nome di questo fondamentalismo che è stata decisa l’uccisione di
Rabin da parte degli Ebrei più ortodossi, con grande dolore di tutto il
mondo, ma soprattutto degli Ebrei). L’accusa di antisemitismo, di
razzismo, che scatta con immediatezza automatica non appena ci si
permette di ragionare “normalmente” su quello che fanno gli Ebrei,
appartiene appunto ad una forma di “fondamentalismo” che sono ormai in
grande maggioranza gli Ebrei stessi a respingere. Anche perché ci si
rende conto che questo tipo di “silenzio” ha contribuito a far nascere
il pregiudizio del “complotto” come loro specifico attributo, visto che
silenzio e segretezza di solito camminano insieme. Il pensiero
ebraico è invece attivissimo oggi, in tutti i campi, anche in quello
della riflessione su se stessi, sul proprio passato, sulla propria
identità etnica e religiosa, e su ciò che gli altri popoli pensano di
loro, della loro intelligenza, delle loro capacità imprenditoriali, del
loro status di leader politici, intellettuali, artistici, economici, in
ogni parte del mondo, ma prima di tutto in America, con il pro e il
contro che questo comporta. Del resto non tengono affatto nascosto il
loro essere sempre stati, dal medioevo ad oggi, i maggiori
commercianti, banchieri e finanziatori tanto che nel Museo Ebraico
inaugurato nel 1999 sono presenti molti documenti riguardanti
l’attività, in Italia come in molti altri paesi, dei banchi di prestito
del XV e XVI secolo.
Immagino che se avessi scritto che era stata l’America a ideare e sollecitare l’unificazione europea Non
si sarebbe levato con orrore lo sdegnato rifiuto di chi mi ha letto.
Certo che è stata l’America, ma dire “America” significa dire “Ebrei”.
La leadership americana, nella politica come in tutto il resto, è stata
sempre formata dagli Ebrei, sia sul piano delle idee che sul piano
delle ricchezze necessarie per far vincere le idee. Gli Stati Uniti
d’America sono stati, fin dall’inizio, supportati dallo spirito
d’intraprendenza dei commercianti ebrei, tanto nella realizzazione
concreta che nei loro ideali fondanti. Sarebbe sufficiente a
comprovarlo il fatto che tutte le arti riunite nella filmografia
classica, quelle con le quali è stata cantata, fissata nella
memoria di tutto il mondo l’epica della conquista, l’immagine viva ed
efficiente dell’America, la sottesa, cupa mestizia del western, è opera
di autori, registi, produttori, attori, musicisti ebrei: da Harrison
Ford a Herman Wouk, da Edward G. Robinson a Douglas Fairbanks, da Kirk
Douglas a Paul Newman, da George Gershwin a Irving Berlin… Tutto questo
è stato possibile, però, perché gli Ebrei hanno sempre saputo produrre
denaro: commercio e denaro, mercato e denaro. Le massime case
cinematografiche, quelle che a Hollywood hanno prodotto denaro a
palate, sono state fondate da Ebrei. Ci sarebbe, naturalmente, da
spiegare perché l’identità etnico-religiosa degli Ebrei sussista così
chiaramente insieme a quella di una qualsiasi cittadinanza, cosa che
non succede a nessun altro individuo. Questo punto - importantissimo -
viene anch’esso oggi discusso dagli Ebrei che, in possesso della
cittadinanza israeliana quale che sia il paese nel quale sono nati,
percepiscono il disagio, se non altro psicologico, che la doppia
appartenenza provoca comunque negli ambienti dove vivono.
Non è
possibile riassumere in queste brevi riflessioni ciò che è avvenuto
dalla fine della guerra ad oggi nell’intento di realizzare la politica
di unificazione dell’Europa; ma per farsi un’idea di quanto sto dicendo
saranno sufficienti alcuni nomi di Ebrei che l’hanno guidata, spesso
anche finanziandola, e ne hanno concretizzato i passi più importanti:
Segretari di Stato americani come Henry Kissinger e Madeleine Albright;
Primi Ministri del Governo Britannico come Keith Joseph (1970-1974;
1979-1986) e Leon Brittan (1981-1986) diventato successivamente
Commissario Europeo dal 1989 al 1999; Pierre Mendes-France, Primo
Ministro di Francia (1954-55); Bruno Kreisky, Cancelliere d’Austria
(1971-1984), Alan Greenspan, Presidente della Federal Reserve durante i
mandati di Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio… Ci sarebbe, poi,
da elencare i nomi degli Ebrei che si sono succeduti a capo delle varie
Istituzioni Internazionali e che, essendo per un motivo o per l’altro
le principali erogatrici di denaro a livello mondiale, hanno
logicamente visto spesso il passaggio dalla Presidenza delle maggiori
Banche ad un’altra maggiore Presidenza. Che siano ebrei i maggiori
economisti e banchieri americani nessuno può o vuole negarlo. E’
sufficiente pensare che sono ebrei numerosi vincitori del Nobel in
Economia, un premio che è stato istituito soltanto nel 1968 e che, a
dire il vero, sarebbe stato meglio non istituire visto che
dell’Economia tutto si può dire tranne che si tratti di una scienza. A
questo proposito devo anche confessare che sono stupefatta del
disinteresse mostrato da coloro che mi hanno scritto verso la
catastrofe provocata dalla folle gestione della Borsa e dal crac delle
più importanti Banche. Il fatto che appartenessero e fossero gestite da
Ebrei rende forse meno dura la disperazione delle persone messe
sul lastrico in tutto il mondo, il fallimento e la chiusura di
innumerevoli industrie, la perdita dei risparmi, dei fondi pensione,
delle assicurazioni, delle case, la disoccupazione di milioni di
lavoratori? Si tratta di una situazione talmente drammatica che perfino
i giornalisti abituati al catastrofismo, quando si sono resi conto,
dopo il primo soprassalto per l’avvenimento, di ciò che questo
comportava, si sono ridotti al silenzio. Le cifre, però, parlano per
loro. E’ di oggi la notizia che in Italia il ricorso alla cassa
integrazione è aumentato nell’anno appena conclusosi del 525% . Le più
importanti case automobilistiche chiudono una parte della produzione,
si ritirano dal mercato, il che significa in ogni modo che licenziano
molti operai. Adesso gli “esperti” dell’economia parlano di
“recessione” e tirano fuori ricette sessantottine che un tempo li
facevano ridere: lavorare meno, guadagnare meno, lavorare tutti. Della
responsabilità di questa cosiddetta “recessione”, però, non parla
nessuno. I banchieri non hanno perso nulla visto che sanno bene che gli
Stati non possono lasciarli fallire. In altri termini: siamo noi,
innocenti, o per dir meglio, stupidi cittadini, che, oltre ad aver
perso quello che possedevamo, dobbiamo anche pagare il loro conto. Mi
soffermerò in un altro articolo sul “vuoto” del sapere economico; in
realtà un non-sapere elevato a teologia. Ma almeno la legge del
“profitto” a tutti i costi, che governa sia le Banche che la Borsa,
deve essere condannata ad alta voce quando, come in questo caso, è
stata perseguita al punto da portare nell’assoluta irrealtà della
follia chi vi ha operato facendo crollare l’organizzazione di vita del
mondo intero.
Nota bibliografica:
Artus Patrick- Virard Marie-Paule: Globalisation, le pire est à venir La Dècouverte, Paris 2008
Bonazza Patrick: I Banchieri non pagano mai il conto, Sperling & Kupfer Milano 2008
Brunazzi Marco - Fubini Anna Maria (a cura di) Ebraismo e cultura europea del ‘900 La Giuntina, Firenze 1990
Dacrema Pierangelo: La cri$i della fiducia – Le colpe del rating nel crollo della finanza globale Etas, Milano 2008
Forrester Viviane: Una strana dittatura- Come resistere all’orrore economico Ponte alle Grazie, Milano 2000
Momigliano Arnaldo: Saggezza straniera Einaudi, Torino 1980
Sapelli Giulio: La crisi economica mondiale Bollati Boringhieri, Torino 2008
Terracina Fernando: Ebrei e non Ebrei Città Nuova, Roma 1988
Toaff Ariel: Ebraismo virtuale Rizzoli, Milano 2008
Yerushalmi Yosef H.: Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica Pratiche Ed. Parma 1983
Ida Magli
Roma, 8 Gennaio 2009
| Data: 02 gennaio 2009 Oggetto: editoriale ida magli 17/12/2008 Da: F.
L'editoriale
della Signora Ida Magli del 17 dicembre scorso è di grande interesse:
che abbia ragione? Ammesso che sia, quali proposte in cambio? Chi ha
vista più lunga e vede un pericolo che ad altri non pare non può,
limitarsi, secondo me, ad indicarlo: dovrebbe anche proporre come
evitarlo. (conosco, comunque persone di religione ebraica, molto più
degni d'altre di diversa confessione: a conferma della regola della
relatività dei giudizi sempre condizionati dalle esperienze personali).
Grazie, comunque, per l'ospitalità.
Data: 02 gennaio 2009 Oggetto: Gli ebrei e il denaro Da: F.C.
Considero
in genere interessanti le sue tesi e l'ho letta sempre volentieri. Mi
associo però a quella lettrice che rifiuta il suo punto di vista sugli
ebrei, alimentato peraltro da un giornalista come Blondet, che non è
difficile classificare ahimé quale cattolico hitleriano. Se vuole è
libera di confrontare un qualsiasi articolo del medesimo con le pagine
che Hitler scrisse sul problema ebraico. Credo che il suo articolo sia
un puzzle di sciocchezze e me ne dispiaccio, in quanto molte altre sue
idee le gradisco e mi attirano. Mi permetta di chiederle infine: ma a Lei, il denaro fa davvero schifo?
Data: 02 gennaio 2009 Oggetto: a proposito del Suo articolo "Il progetto ebraico" Da: G.G.
Ho
letto con interesse e grande stupore il suo articolo del 17/12/2008
intitolato "Il progetto ebraico" - interesse dovuto al rispetto ed alla stima
che nutro per una grande antropologa e storica, stupore per il suo
contenuto che, lungi dal porsi in quell'ottica scientifica e di ricerca
della verità in cui lei sembra collocarlo rispondendo ad una lettrice
delusa ed arrabbiata, in realtà non fa altro che riproporre degli
stereotipi (per di più vieti e pericolosi, storicamente e politica-
mente): il tema "ebrei e usura / ebrei e finanza" appartiene infatti
non al mondo dei concetti e delle idee, quanto piuttosto a quello
degli slogan. Forse è un modello interpretativo in qualche modo valido
per la storia delle idee e delle istituzioni della prima età
moderna, come lei del resto giustamente sottolinea; ma mi sembra del
tutto inadatto a descrivere la situazione attuale. Il problema a me, che non sono ebreo, pare molto semplice: è vero quanto
sostiene, che "ogni popolo ha una sua visione del mondo; sono gli
antropologi ad averlo affermato con maggiore forza: l'errore dei
governanti è
quello di volerle unificare", e sono anche d'accordo per quel che
riguarda "l'errore dei governanti" (benché, mi verrebbe da aggiungere,
scopo di chi governa è appunto quello di trovare un denominatore comune
all'insieme degli individui). Il problema è che non si può poi
applicare questa massima ad un coacervo di fatti incerti, percezioni
psicologiche, proiezioni simboliche e slogan politico-antropologici
quale è il nodo metaidentitario rappresentato dagli ebrei in una
società di gentili. È metaidentitario, gentile Magli, perché trapassa
le categorie identificative tradizionali (clan, stato, nazione), o per
meglio dire ne viene trapassato: dal momento che - e questo mi
pare proprio l'abbia del tutto dimenticato scrivendo il suo editoriale
- tale nodo è stato imposto a viva forza agli ebrei (clan sui generis,
senza stato né nazione). Frutto logico e conseguente - come del resto
anche per un'intera fase storica, quella dello "stato-nazione" - è
stata l'aspirazione del popolo ebraico ad avere un suo stato (e questo,
beninteso, non tanto a partire dal 1948 quanto piuttosto con Herzl ed
il sionismo). Che
poi l’Unione Europea sia stata fondata sul
“progetto ebraico”, come lei scrive, mi pare affermazione tanto più
destituita di fondamento, quanto più appare fondata sulla tesi
opinabilissima che in essa il Mercato sia l'unico legame fra i popoli e
fra le Nazioni - opinabile non nel contenuto, ma nelle premesse, essere
questa idea parte integrante del "progetto ebraico". Talmente
opinabile, che non vale la pena nemmeno tentare di confutarla. Il
problema
infatti del suo articolo, benché lei sostenga il contrario, sta proprio
nel costruire una dimensione fantasmatica (la responsabilità del
progetto
ebraico) a partire da dati reali (la critica ai presupposti
monetaristici dell'unione europea), esattamente come fa una teoria del
complotto: a riprova del vecchio detto, mi verrebbe da dire con
rammarico, essere l'antisemitismo il socialismo degli imbecilli.
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