editoriale

Uguaglianza delle donne
e Impotenza della Parola

di Ida Magli

ItalianiLiberi | 7/10/2008

Si è tenuto nei giorni scorsi a Roma un Convegno sui problemi attuali della “Comunicazione”  organizzato dall’On. Luca Barbareschi, al quale ha partecipato in qualità di relatore l’antropologa Ida Magli. Pubblichiamo il testo della sua relazione.

  Ho ragione di temere che le mie tesi sull’argomento che ci è stato proposto non piaceranno. Vi chiedo dunque per prima cosa di voler scusare la radicalità delle analisi che vi presento sui problemi della comunicazione in Europa e in particolar modo in Italia, paese in prima linea fra quelli che hanno rinunciato a conoscere e a pensare in omaggio alla più dispotica  e alla più  devastante delle censure che siano mai state imposte all’intelligenza umana: il “politicamente corretto”. Dobbiamo abbattere, infatti, prima di tutto i tabù del politicamente corretto, se vogliamo studiare la comunicazione e comunicare davvero fra noi, in quanto mi sembra di aver  intravisto qualcuno di questi tabù anche nel testo, pur molto puntuale, sul quale siamo stati chiamati a riflettere.
E’ vero: è necessario affidarsi alle “aristocrazie”, come ha ben detto Marc Augé. Ricorrere alle aristocrazie del sapere significa, però, che non si può eludere il discorso sulle differenze.
Differenze di atteggiamenti mentali, differenze di Quoziente Intellettuale, quel quoziente intellettuale di cui sembra che nessuno osi  più parlare. Significa insomma mettere in crisi la tanto osannata uguaglianza, con la sua finzione che tutti in partenza siano uguali. Cosa che non è vera; e che ognuno sa non essere vera. Se oggi ci troviamo a non poter discutere del problema centrale della società italiana (e in generale dell’Europa e dell’Occidente), problema che enuncio come “impossibilità di comunicare”, questo dipende  dal modo di concepire l’uguaglianza e dal tabù del “politicamente corretto” stabilito a sua difesa. Dobbiamo invece cominciare a riflettere, senza timori e a viso aperto, sulla causa prima di questa impossibilità: lo scardinamento del ruolo originario delle donne a fondamento della comunicazione e la loro presenza come Soggetto nella vita del gruppo.
Provo perciò a sintetizzare i vari passaggi con i quali è stata costruita la Cultura ( nella sua accezione antropologica) in modo da poter  comprendere meglio la situazione attuale, una situazione mai verificatasi prima nella storia di nessuna società: la volontaria “de-culturazione”. La comunicazione è avvenuta fin dalle origini con lo “scambio delle donne”. “Io do una delle mie donne a te e tu dai una delle tue donne a me”, dice Lévi-Strauss nel saggio sulle Strutture elementari della Parentela, spiegando come si siano formati, attraverso la circolazione delle donne, i primi gruppi umani. Non c’era bisogno di parole, tanto meno di conoscerne il significato. Il valore, e dunque il significato, era uguale per tutti i maschi e tutti i maschi lo riconoscevano immediatamente come tale: possedere le donne. La Donna perciò è Parola, prima del linguaggio e al di là del linguaggio, garanzia, riserva aurea del Patto fra maschi, mattone di fondazione del Gruppo, “segno” della separazione fra amici e  nemici. In questo senso la Donna è Oggetto; ed è al tempo stesso la prova che l’Oggetto è indispensabile quanto il Soggetto per realizzare qualsiasi forma di comunicazione. Ma, come è chiaro, proprio in quanto è Parola, strumento del linguaggio, la Donna non può parlare. Questo fino ad ieri. Dal momento in cui è stata proclamata l’uguaglianza fra tutti gli individui, dal momento in cui tutti, anche le donne, sono diventati Soggetto,  il posto occupato dall’Oggetto è rimasto vuoto. Nessuno tuttavia ha provveduto a riempirlo. Abbiamo continuato a vivere e a comunicare come prima, come se l’Oggetto non fosse necessario. Ma si tratta di una falsa comunicazione, di parole vuote. In realtà la Parola è diventata immediatamente priva di Potenza, priva della vis implicita nello scambio delle donne, implicita nella sua intrinseca associazione con la sessualità maschile.
E’ facile vederne i risultati: si pronunciano innumerevoli parole prive di Potere, parole che non diventano mai Atto.
Da questo discende lo svuotamento della Democrazia; la sterilizzazione della Religione del Padre; l’incomunicabilità fra i sessi; il corto circuito omosessuale nella comunicazione diretta fra Maschi; la de-culturazione dell’Europa, dell’Italia,  dichiaratamente oggi diventate “femmine”.
Mi soffermo un momento a dare una brevissima spiegazione di questi passaggi per rendere più chiare le conclusioni del ragionamento che stiamo facendo ed anche perché non vorrei che si pensasse che sia necessario tornare indietro. Le donne sono Soggetto e tali debbono rimanere. Quello che è mancato fino ad oggi e che è indispensabile fare è lo sforzo per creare una nuova Cultura, fondata  su altre basi.   
Per quanto riguarda la democrazia è facile capire che essa è scaturita dalla proclamata soggettività di ogni “Io”. Questi, nel momento  in cui entra in possesso del diritto di affermarsi come “Io”, entra in possesso  anche della potenza della parola. Dalla potenza della parola al voto. Il voto infatti è una parola potente, che crea la realtà. E’ chiaro che oggi le cose non stanno più così. I detentori del potere sono stati i primi ad accorgersene, anche senza comprenderne i motivi culturali: prendono le impronte digitali, i dati biologici, insomma ricorrono al “corpo” per riconoscerti, per dare validità a quello che dici, proprio perché la parola del Soggetto non vale più. Non vale neppure quando, dicendo il proprio nome, afferma l’unica cosa che aveva diritto di possedere e di affermare anche quando era soltanto Oggetto ( si tratta in pratica dello stesso meccanismo mentale per il quale la testimonianza dello Schiavo non era valida se non confermata dalla tortura, ossia dal corpo).  Il voto dei cittadini perciò è adesso una pura formalità, una vuota convenzione, già ampiamente scardinata, per esempio, dalla non attuazione dei risultati dei referendum, dalla sottrazione di Sovranità, avvenuta senza interpellare i cittadini, nel creare l’Impero europeo, nel distruggere la Nazione eliminandone i confini.

La crisi della Parola è naturalmente crisi della “autorevolezza” della parola: i padri, gli insegnanti,
 i magistrati, i politici, tutti coloro che per principio erano dotati della parola autorevole, pronunciano adesso parole “deboli”, impotenti, sempre revocabili in dubbio. Per dare potere reale alle sentenze dei magistrati è stato necessario fissarne il numero; è ovvio però che, se non è valida la prima volta, il numero “ tre”, nella sua magica determinatezza, segnala che si potrebbe andare avanti all’infinito. La lunghezza dei processi  in Italia è causata quasi esclusivamente dalla necessità di garantire, con la pseudo-certezza di interminabili “atti formali”, l’incertezza della parola dei magistrati. Così come dipende dalla impotenza della parola dei magistrati la non esecuzione totale della pena: in un modo o nell’altro questa deve essere abbreviata, o meglio: non deve essere realizzata.
Tutto questo non dipende (spero che sia chiaro) dal fatto che le donne hanno cominciato a diventare anch’esse “magistrati”. Prima non potevano diventarlo perché non erano in possesso della vis tanto quanto non la possiedono oggi. Se adesso lo diventano è perché la magistratura non pronuncia più parole potenti, quale che sia il sesso del magistrato. Lo stesso fenomeno si verifica nell’insegnamento. In Italia le scuole di ogni ordine e grado sono quasi totalmente  nelle mani delle donne, e  tutti piangono sulla mancanza di autorevolezza della scuola, sulla perdita di prestigio della professione del docente, sulla scarsità dei risultati. Non è colpa delle donne “insegnanti”, ma della impotenza della parola che ha creato il “vuoto” nell’insegnamento. Credo che sia inutile quindi discutere, come si propone il nostro Convegno, della formazione educativa ad alto livello. Chi la dovrebbe fare questa formazione? O ci si decide ad affrontare il problema della mancanza del “mattone di fondazione” per ottenere una comunicazione efficace, oppure non abbiamo nessuna speranza di salvare quello che qui viene chiamato “il patrimonio culturale” italiano. Questo significa  riconoscere che il pensare “al femminile” non si addice né alla creazione scientifica né a quella artistica. E naturalmente non gli si addice neanche quando sono i maschi a produrlo, a utilizzarlo, come avviene spesso oggi nell’ambito del tragico “spaesamento” nel quale i maschi sono sprofondati.
La povertà culturale nella quale viviamo lo rispecchia in modo incontrovertibile.

I Parlamenti sono a loro volta privi di Potere, luoghi “nati” per la parola potente, come dice il loro nome e dove oggi è assente qualsiasi Potenza della Parola, strutture formali che illudono sulla presenza della democrazia e che non decidono nulla che non sia già stato deciso dai pochi che esercitano il potere effettivo. Un potere di cui non conosciamo quasi per nulla la fonte (nascosta nei fortissimi gruppi finanziari, nelle associazioni mondiali, negli uomini-guida di religioni e di pseudo-religioni che operano nel silenzio) ma che sicuramente non discende dal voto dei cittadini, un voto che non ne è la causa ma la conseguenza. Del resto sarebbe sufficiente a comprovare la mancanza di potenza della parola dei politici il grottesco meccanismo del pulsante elettrico da schiacciare per dire il proprio sì o il proprio no e che i parlamentari sono soliti premere senza alcuna remora anche per gli assenti. Naturalmente nessuno si aspetta che gli aderenti ad un partito non votino secondo
quanto deciso dai capi del partito stesso, cosa di per sé sufficiente a rendere inutili le votazioni e i Parlamenti. Questo è tuttavia soltanto un cenno ad un enorme problema di cui molti sono a conoscenza ma che nessuno desidera affrontare.

Lo stesso discorso che abbiamo fatto fino adesso vale per la figura del Padre, sia nella famiglia sia nella società. Privo della potenza della parola, il padre ha perso qualsiasi autorità. Al confronto si è invece rafforzata la figura della Madre, per il semplice motivo che l’autorità della madre
discende dalla natura, mentre quella del padre è andata persa in quanto dipendente dalla costruzione culturale.  E’stata concessa proprio in questi giorni, tanto per fare un solo esempio, la possibilità di dare il cognome materno ai figli: non si tratta di una promozione culturale delle
donne, come purtroppo esse stesse ritengono, ma della caduta di tutta la società nella “natura”, ossia dell’avanzamento del processo di de-culturazione. Ovviamente va di pari passo con la perdita del potere del Padre, la perdita del potere della Religione del Padre. Anche in questo caso dobbiamo accontentarci di aver fatto soltanto un accenno all’esistenza del problema dato che
non è possibile trattarlo in questa sede.

Sono giunta così ad uno dei punti determinanti e conclusivi della mia analisi: il corto circuito della comunicazione fra maschi nell’omosessualità, con la eliminazione dello “strumento-oggetto”. Malgrado il tabù del “politicamente corretto” che la protegge, non si può non parlare
della omosessualità maschile, salita prepotentemente oggi alla ribalta nella società italiana, e del suo significato.
Un significato chiarissimo: le donne hanno vinto “troppo”. Quindi hanno perso. I maschi, infatti, hanno del tutto rinunciato alla battaglia, lasciando talmente libero il campo che ci si domanda con sgomento che cosa facciano, cosa pensino, quale futuro intravedano, al di là dall’apparente, entusiastica accettazione dell’uguaglianza, o peggio, della asserita superiorità femminile.
La distruzione del modello culturale attraverso l’omosessualità è la prova, però, di una sterile, disperata vendetta. L’omosessualità è di per sé distruttiva dei legami fondanti del gruppo in quanto, come dicevamo all’inizio, chiude in un circolo la comunicazione e non permette lo scambio. E’ nell’arte che l’omosessualità maschile ha sempre dato grandissimi frutti per un motivo evidente:  l’artista non ha bisogno di passare attraverso lo strumento di comunicazione, attraverso la Donna, per creare. E’ la Società il suo strumento, è la Cultura il suo Oggetto, è l’Arte la sua Donna Ideale, sono le sue opere i suoi figli. Dobbiamo, però, parlarne al passato. Oggi la Società, priva di strumento di comunicazione, priva di “Oggetto”, non può dar luogo a nessuna creazione, a nessuna arte, a nessuno sviluppo culturale. Gli omosessuali al Potere, infine, mentre svuotano di senso l’uguaglianza delle donne, accentuano l’impotenza della parola, svuotano la forza della democrazia, consegnandosi essi pure, senza saperlo, all’impotenza collettiva.

Avviandomi alla conclusione, non posso fare a meno di richiamare l’attenzione su quello che sarà il prossimo domani dell’Italia e dell’Europa se gli uomini, i “maschi”, non si scuoteranno dalla paralisi, dallo shock nel quale sono sprofondati. Lo accenno servendomi dell’argomento trattato nel nostro documento di base perché, per quanto mi dispiaccia trovarmi in disaccordo con le convinzioni dei partecipanti a questo Convegno, io sono sicura, contrariamente a quanto affermato, che gli strumenti tecnici della informazione e della comunicazione non ci salveranno, e che non saremo unificati nella lingua inglese. Il fatto è che l’informazione, di per sé,  non aiuta minimamente a sviluppare il “metodo del pensiero” ed anzi illude, banalizzandolo, chi non è in grado di “oggettivare”, rendendosene consapevole, il pensare, il sapere. C’è poi un ostacolo ancora più grave: non sarà l’”inglese” la lingua che parleremo ( cosa che, del resto, sarebbe comunque negativa per la cultura italiana). Il mondo musulmano, che è culturalmente omogeneo anche se distinto in Stati e in Nazioni, imporrà a tutti nel prossimo futuro  la lingua araba, sia perché miliardi di persone la parlano come propria lingua madre, sia perché è la lingua che contiene in sé la sacralità della Scrittura Divina. Il Corano, infatti, per i Musulmani è un Libro “scritto in Cielo”, tanto che fino a poco tempo fa non poteva neanche essere tradotto in altra lingua.

L’Italia (ma ancor più dissennatamente l’Europa) continua a comportarsi come se la propria cultura dovesse per natura essere vincente, ma la realtà rivela il contrario. Il mondo attorno a noi è “maschio”, e ci vede, giustamente, come una femmina, una femmina  facile da possedere, una femmina che anela ad essere posseduta.

Ringraziando tutti voi di aver ascoltato le poco allegre riflessioni che occupano quotidianamente il
mio pensiero, io posso soltanto formulare un augurio: che sia l’Italia, ancora una volta, a promuovere un Rinascimento per tutta l’Europa; che siano i “maschi italiani” a dare, oggi stesso, il segnale di una nuova, forte “mascolinità”.
E spero che, essendo io una donna, le Donne me lo perdonino.

Ida Magli

Roma, 7 ottobre, 2008

 
 
 
 




 
 
 

 

 
 
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