editoriale

L'eurobilancio bocciato
da 13 anni

di Ivo Caizzi
CorrierEconomia | 24 Giugno 2008

  La notizia è clamorosa. Ma, siccome è la stessa da 13 anni, ormai passa quasi inosservata. La Corte dei conti di Lussemburgo ha ancora una volta rifiutato di avallare il bilancio comunitario (esercizio 2006) e la regolarità di come l’ euroburocrazia e le amministrazioni locali dei Paesi membri spendono annualmente ben oltre 100 miliardi di euro, pagati dai contribuenti per finanziare l’ Unione europea. I magistrati contabili hanno verificato che i rischi di errori, frodi e cattiva amministrazione restano alti e non consentono di garantire la correttezza della gestione di una ampia parte delle somme impiegate. Tradizionalmente è il settore degli aiuti all’ agricoltura, che da solo assorbe quasi la metà del bilancio comunitario, quello più soggetto alle truffe e ad altre pratiche illecite. Ma il presidente della Corte dei conti, l’ austriaco Hubert Weber, ha fatto sapere che anche i fondi destinati allo sviluppo regionale e quelli «strutturali» sono sempre più a rischio di errori e frodi (per importi complessivi da miliardi di euro). Weber ha affermato che, rispetto al passato, sono stati riscontrati miglioramenti in come la Commissione europea e le altre istituzioni comunitarie spendono il denaro pubblico. Ma ha sollecitato l’ introduzione di correttivi strutturali nei sistemi di controllo amministrativo e finanziario. Weber ha sottolineato la stortura provocata dalle restituzioni a Bruxelles dei fondi elargiti a livello locale illegalmente, che avviene attingendo dalla casse pubbliche nazionali (quindi di nuovo dalle tasche dei contribuenti), mentre le somme dovrebbero essere recuperate direttamente da chi le ha intascate o utilizzate in modo improprio. La «sentenza» finale del presidente austriaco stabilisce che «ancora una volta la Corte deve dare parere contrario sulla legalità e la regolarità delle transazioni relative alla maggioranza del bilancio comunitario» e che «i cittadini dell’ Unione europea hanno il diritto di aspettarsi che i fondi comunitari siano correttamente amministrati e controllati». Chi viene a conoscenza di queste pluriennali riserve della Corte dei conti di Lussemburgo spesso non capisce come mai vengano quasi sussurrate. E come mai non vengano comunicate in modo da suscitare indignazione tra i contribuenti dei 27 Paesi membri. Tra chi è esperto di cose comunitarie circola una spiegazione semplice. I magistrati contabili, che da 13 anni non sono in condizione di garantire la correttezza di un bilancio da 100 miliardi, sanno che dovrebbero dimettersi polemicamente o chiedere le dimissioni dei vertici della Commissione europea e delle altre entità incapaci di attuare controlli adeguati sugli esborsi di denaro pubblico. Ma questo contravverrebbe con quella che, secondo l’ interpretazione più maliziosa, sembra diventata la prima «legge non scritta» dell’ euroburocrazia comunitaria: tutelarsi a vicenda in modo corporativo ed evitare i clamori che potrebbero allertare gli spesso ignari contribuenti europei. In questo modo tutti - controllati e controllori - possono restare ai propri posti a incassare gli «stipendi d’ oro», le numerose prebende e i ricchi «fringe benefit» riservati a chi è stato cooptato nell’ apparato dell’ Ue.

IVO CAIZZI

Corriere Economia - 24 Dicembre 2007


GLI STIPENDI GONFIATI DI BRUXELLES.
A PARTIRE DAGLI USCIERI

di Ivo Caizzi                                                                

  Tra indennità ed esenzioni, un impiegato neoassunto può guadagnare 4.000 euro netti.
L’ Europa è in crisi. La debole Commissione europea di Josè Manuel Barroso è sempre più criticata. Ma le direttive e i richiami di Bruxelles continuano a spingere i governi dei 27 Paesi membri a varare contenimenti salariali, tagli alle pensioni, aumenti delle tasse e quella «flessibilità» sul lavoro spesso percepita come precarietà. In compenso i commissari, gli eurodeputati e gli euroburocrati per loro stessi si sono assegnati «stipendi d’ oro», privilegi fiscali, ricchi incentivi a fare figli, posti fissi a vita e pensioni allettanti. Nei Paesi membri protestano spesso per gli ingenti introiti complessivi degli eurodeputati (quelli italiani partono dallo stipendio-base più alto dell’ Ue perché è uguale a quello dei parlamentari di Roma). La Bbc di Londra ha calcolato che il commissario britannico Peter Mandelson guadagna quasi come il premier inglese Tony Blair. Il quotidiano tedesco Bild ha denunciato che gli alti dirigenti della Commissione, del Consiglio o dell’ Europarlamento percepiscono più del presidente della Germania. Ma i 27 commissari e i 785 eurodeputati durano 5 anni. I direttori generali sono alcune decine. Il grosso della spesa pertanto va a oltre 36 mila anonimi euroburocrati, che battono ogni record con i loro stipendi gonfiati da una girandola di indennità esentasse e aumentati ogni anno (del 2,3% nel 2006). La manna inizia già dalle fasce «basse». Uscieri, segretarie e impiegati possono guadagnare tra 4.000 e 6.500 euro netti al mese (tra 8 e 13 milioni delle vecchie lire). Traduttori, ricercatori, archivisti e ispettori stanno tra 6 e 9 mila euro netti. Gli assistenti e gli amministratori si godono 10-11 mila euro. Gli alti dirigenti vanno oltre 15-16 mila euro e costituiscono l’ unico livello non troppo sproporzionato rispetto al settore privato (dove però i manager non hanno il posto fisso a vita e vengono licenziati). La precedente Commissione di Romano Prodi cercò di arginare le proteste su questi «stipendi d’ oro», ingiustificati da quando i concorsi dell’ Ue sono affollati da masse di candidati ansiosi di essere assunti. Il vicepresidente britannico Neil Kinnock realizzò una riforma e promise più «trasparenza» ai contribuenti europei, che pagano gli alti costi dell’ euroburocrazia. Ma il suo successore nella Commissione Barroso, il vicepresidente estone Siim Kallas, si è limitato a far diffondere su Internet informazioni complicate e riduttive. La tabella diffusa con i pur allettanti stipendi-base «lordi» risale al 2004 (dal 2006 nei gradi da 1 a 16 si va da 2.448,17 a 16.994,98 euro mensili) ed è fuorviante perché quelle cifre valgono al massimo per i dipendenti di una nazionalità su 27. Per gli altri sono più alti grazie alle indennità rigorosamente esentasse, che variano da caso a caso. Un usciere, una segretaria o un impiegato, che dovrebbe guadagnare tra 2500 e 5 mila euro lordi, ha quasi sempre un netto incredibilmente più alto del lordo. Come fa? Innanzitutto l’ annunciata «tassazione progressiva dall’ 8% al 45%» è fumo negli occhi. Gli euroburocrati quasi non pagano imposte se guadagnano sui 4 mila euro netti al mese. Versano un migliaio di euro quando ne incassano quasi 10 mila netti, e circa 3 mila se incamerano 15-16 mila euro netti. In più queste «tasse» non vanno al fisco. Vengono trattenute dalle istituzioni Ue, che poi di fatto le ridistribuiscono ai dipendenti (con gli interessi) attraverso le indennità esentasse, i fringe benefit e un welfare suntuoso. In tutti i gradi da 1 a 16 alla retribuzione-base viene aggiunta una indennità netta «espatrio» di almeno il 16% (nei livelli bassi è più alta). La incassano gli euroburocrati di 26 Paesi membri (sono esclusi i belgi se lavorano a Bruxelles, i lussemburghesi a Lussemburgo, ecc.). Non è riservata ai veri «espatriati», che lavorano all’ estero temporaneamente. Spetta anche a quelli che si trasferiscono per sempre (compresi francesi, tedeschi e olandesi provenienti da centri distanti meno di due ore di treno o auto da Bruxelles). Un ulteriore 2% dello stipendio e un fisso di 157,29 euro vengono elargiti mensilmente come indennità «familiare». Arrivano poi 316,11 euro mensili per ogni figlio. A questo si somma un rimborso per le spese scolastiche fino a 233,20 euro mensili per figlio. Viene liquidato anche se si frequenta la Scuola europea (finanziata dai contribuenti), che è gratuita per i figli degli euroburocrati nonostante l’ iscrizione possa essere stimata in almeno 9.600 euro l’ anno ad alunno. Un caso a parte è l’ asilo riservato ai dipendenti del Consiglio di Bruxelles. Il quotidiano Daily Telegraph ha rivelato che costa circa 20 mila euro a bambino, cioè quasi quanto Eton o altri prestigiosi college inglesi. Gli euroburocrati lamentano di non avere la tredicesima. Ma ai loro emolumenti è aggiunta una somma per un viaggio all’ anno nella città d’ origine. Un Bruxelles-Roma significa 2.237,28 euro netti (pari o superiori all’ importo della tredicesima di un’ infinità di dipendenti pubblici italiani). Naturalmente chi proviene da più lontano prende di più. Pagando l’ 1,70% della retribuzione-base si ottiene un’ assicurazione sanitaria estesissima (una polizza privata costerebbe 6-9 mila euro l’ anno). Aggiungendo lo 0,1% si ha diritto a un’ ottima assicurazione infortuni. Gli stessi euroburocrati stentano a districarsi tra i segreti delle loro ingenti retribuzioni e indennità (ce ne sono perfino per «orario spezzato» o per genitori «single»). Ma proviamo a costruire il salario di un dipendente romano in servizio a Bruxelles con a carico coniuge e due figli iscritti alla Scuola europea. Se è assunto al grado 1, il più basso, e guadagna «solo» 2.658,24 euro lordi, aggiunge sempre al netto, 560,15 euro di indennità «espatrio», 210,45 euro della «familiare», 632,22 euro per i figli, 466,40 del rimborso scuola, più 186.44 euro (1/12 del viaggio annuale Bruxelles-Roma). In pratica - dopo la «pseudo tassa» di appena 56,50 euro e contributi vari - guadagna ben 4.337,08 euro netti al mese. Aggiungendo 1/12 del costo della Scuola europea per due alunni (1.600 euro) si arriva a quasi 6 mila euro netti mensili. Naturalmente, più si sale, più l’ indennità «espatrio» del 16% e la parte percentuale di quella «familiare» (2%) rendono redditizi questi moltiplicatori dello stipendio. Vanno poi sempre sommate le altre indennità in cifra fissa. Pertanto il solito usciere o impiegato romano, se guadagna 5.135,94 euro scatta a 6.728.46 euro netti mensili e ha una retribuzione stimabile in 8.328,46 euro netti (con la Scuola europea gratis). Il funzionario da 9.552,89 euro (grado 11) passa a 12.030,92, il dirigente da 14.956,53 euro (grado 15) va a 16.251,71. Nella fascia alta, chi ha un ruolo direttivo, prende anche l’ indennità «management», che nello stipendio da 15 mila euro è pari a 630 euro netti mensili: cioè a poco meno dell’ intero salario medio di tanti giovani italiani resi sempre più precari dagli interventi dei superpagati e supergarantiti euroburocrati di Bruxelles.

IVO CAIZZI

Corriere Economia





 
 
  

 

 
 
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