La
notizia è clamorosa. Ma, siccome è la stessa da 13 anni, ormai passa
quasi inosservata. La Corte dei conti di Lussemburgo ha ancora una
volta rifiutato di avallare il bilancio comunitario (esercizio 2006) e
la regolarità di come l’ euroburocrazia e le amministrazioni locali dei
Paesi membri spendono annualmente ben oltre 100 miliardi di euro,
pagati dai contribuenti per finanziare l’ Unione europea. I magistrati
contabili hanno verificato che i rischi di errori, frodi e cattiva
amministrazione restano alti e non consentono di garantire la
correttezza della gestione di una ampia parte delle somme impiegate.
Tradizionalmente è il settore degli aiuti all’ agricoltura, che da solo
assorbe quasi la metà del bilancio comunitario, quello più soggetto
alle truffe e ad altre pratiche illecite. Ma il presidente della Corte
dei conti, l’ austriaco Hubert Weber, ha fatto sapere che anche i fondi
destinati allo sviluppo regionale e quelli «strutturali» sono sempre
più a rischio di errori e frodi (per importi complessivi da miliardi di
euro). Weber ha affermato che, rispetto al passato, sono stati
riscontrati miglioramenti in come la Commissione europea e le altre
istituzioni comunitarie spendono il denaro pubblico. Ma ha sollecitato
l’ introduzione di correttivi strutturali nei sistemi di controllo
amministrativo e finanziario. Weber ha sottolineato la stortura
provocata dalle restituzioni a Bruxelles dei fondi elargiti a livello
locale illegalmente, che avviene attingendo dalla casse pubbliche
nazionali (quindi di nuovo dalle tasche dei contribuenti), mentre le
somme dovrebbero essere recuperate direttamente da chi le ha intascate
o utilizzate in modo improprio. La «sentenza» finale del presidente
austriaco stabilisce che «ancora una volta la Corte deve dare parere
contrario sulla legalità e la regolarità delle transazioni relative
alla maggioranza del bilancio comunitario» e che «i cittadini dell’
Unione europea hanno il diritto di aspettarsi che i fondi comunitari
siano correttamente amministrati e controllati». Chi viene a conoscenza
di queste pluriennali riserve della Corte dei conti di Lussemburgo
spesso non capisce come mai vengano quasi sussurrate. E come mai non
vengano comunicate in modo da suscitare indignazione tra i contribuenti
dei 27 Paesi membri. Tra chi è esperto di cose comunitarie circola una
spiegazione semplice. I magistrati contabili, che da 13 anni non sono
in condizione di garantire la correttezza di un bilancio da 100
miliardi, sanno che dovrebbero dimettersi polemicamente o chiedere le
dimissioni dei vertici della Commissione europea e delle altre entità
incapaci di attuare controlli adeguati sugli esborsi di denaro
pubblico. Ma questo contravverrebbe con quella che, secondo l’
interpretazione più maliziosa, sembra diventata la prima «legge non
scritta» dell’ euroburocrazia comunitaria: tutelarsi a vicenda in modo
corporativo ed evitare i clamori che potrebbero allertare gli spesso
ignari contribuenti europei. In questo modo tutti - controllati e
controllori - possono restare ai propri posti a incassare gli «stipendi
d’ oro», le numerose prebende e i ricchi «fringe benefit» riservati a
chi è stato cooptato nell’ apparato dell’ Ue. IVO CAIZZI
Corriere Economia - 24 Dicembre 2007
GLI STIPENDI GONFIATI DI BRUXELLES. A PARTIRE DAGLI USCIERI di Ivo Caizzi
Tra indennità ed esenzioni, un impiegato neoassunto può guadagnare 4.000 euro netti. L’
Europa è in crisi. La debole Commissione europea di Josè Manuel Barroso
è sempre più criticata. Ma le direttive e i richiami di Bruxelles
continuano a spingere i governi dei 27 Paesi membri a varare
contenimenti salariali, tagli alle pensioni, aumenti delle tasse e
quella «flessibilità» sul lavoro spesso percepita come precarietà. In
compenso i commissari, gli eurodeputati e gli euroburocrati per loro
stessi si sono assegnati «stipendi d’ oro», privilegi fiscali, ricchi
incentivi a fare figli, posti fissi a vita e pensioni allettanti. Nei
Paesi membri protestano spesso per gli ingenti introiti complessivi
degli eurodeputati (quelli italiani partono dallo stipendio-base più
alto dell’ Ue perché è uguale a quello dei parlamentari di Roma). La
Bbc di Londra ha calcolato che il commissario britannico Peter
Mandelson guadagna quasi come il premier inglese Tony Blair. Il
quotidiano tedesco Bild ha denunciato che gli alti dirigenti della
Commissione, del Consiglio o dell’ Europarlamento percepiscono più del
presidente della Germania. Ma i 27 commissari e i 785 eurodeputati
durano 5 anni. I direttori generali sono alcune decine. Il grosso della
spesa pertanto va a oltre 36 mila anonimi euroburocrati, che battono
ogni record con i loro stipendi gonfiati da una girandola di indennità
esentasse e aumentati ogni anno (del 2,3% nel 2006). La manna inizia
già dalle fasce «basse». Uscieri, segretarie e impiegati possono
guadagnare tra 4.000 e 6.500 euro netti al mese (tra 8 e 13 milioni
delle vecchie lire). Traduttori, ricercatori, archivisti e ispettori
stanno tra 6 e 9 mila euro netti. Gli assistenti e gli amministratori
si godono 10-11 mila euro. Gli alti dirigenti vanno oltre 15-16 mila
euro e costituiscono l’ unico livello non troppo sproporzionato
rispetto al settore privato (dove però i manager non hanno il posto
fisso a vita e vengono licenziati). La precedente Commissione di Romano
Prodi cercò di arginare le proteste su questi «stipendi d’ oro»,
ingiustificati da quando i concorsi dell’ Ue sono affollati da masse di
candidati ansiosi di essere assunti. Il vicepresidente britannico Neil
Kinnock realizzò una riforma e promise più «trasparenza» ai
contribuenti europei, che pagano gli alti costi dell’ euroburocrazia.
Ma il suo successore nella Commissione Barroso, il vicepresidente
estone Siim Kallas, si è limitato a far diffondere su Internet
informazioni complicate e riduttive. La tabella diffusa con i pur
allettanti stipendi-base «lordi» risale al 2004 (dal 2006 nei gradi da
1 a 16 si va da 2.448,17 a 16.994,98 euro mensili) ed è fuorviante
perché quelle cifre valgono al massimo per i dipendenti di una
nazionalità su 27. Per gli altri sono più alti grazie alle indennità
rigorosamente esentasse, che variano da caso a caso. Un usciere, una
segretaria o un impiegato, che dovrebbe guadagnare tra 2500 e 5 mila
euro lordi, ha quasi sempre un netto incredibilmente più alto del
lordo. Come fa? Innanzitutto l’ annunciata «tassazione progressiva
dall’ 8% al 45%» è fumo negli occhi. Gli euroburocrati quasi non pagano
imposte se guadagnano sui 4 mila euro netti al mese. Versano un
migliaio di euro quando ne incassano quasi 10 mila netti, e circa 3
mila se incamerano 15-16 mila euro netti. In più queste «tasse» non
vanno al fisco. Vengono trattenute dalle istituzioni Ue, che poi di
fatto le ridistribuiscono ai dipendenti (con gli interessi) attraverso
le indennità esentasse, i fringe benefit e un welfare suntuoso. In
tutti i gradi da 1 a 16 alla retribuzione-base viene aggiunta una
indennità netta «espatrio» di almeno il 16% (nei livelli bassi è più
alta). La incassano gli euroburocrati di 26 Paesi membri (sono esclusi
i belgi se lavorano a Bruxelles, i lussemburghesi a Lussemburgo, ecc.).
Non è riservata ai veri «espatriati», che lavorano all’ estero
temporaneamente. Spetta anche a quelli che si trasferiscono per sempre
(compresi francesi, tedeschi e olandesi provenienti da centri distanti
meno di due ore di treno o auto da Bruxelles). Un ulteriore 2% dello
stipendio e un fisso di 157,29 euro vengono elargiti mensilmente come
indennità «familiare». Arrivano poi 316,11 euro mensili per ogni
figlio. A questo si somma un rimborso per le spese scolastiche fino a
233,20 euro mensili per figlio. Viene liquidato anche se si frequenta
la Scuola europea (finanziata dai contribuenti), che è gratuita per i
figli degli euroburocrati nonostante l’ iscrizione possa essere stimata
in almeno 9.600 euro l’ anno ad alunno. Un caso a parte è l’ asilo
riservato ai dipendenti del Consiglio di Bruxelles. Il quotidiano Daily
Telegraph ha rivelato che costa circa 20 mila euro a bambino, cioè
quasi quanto Eton o altri prestigiosi college inglesi. Gli
euroburocrati lamentano di non avere la tredicesima. Ma ai loro
emolumenti è aggiunta una somma per un viaggio all’ anno nella città d’
origine. Un Bruxelles-Roma significa 2.237,28 euro netti (pari o
superiori all’ importo della tredicesima di un’ infinità di dipendenti
pubblici italiani). Naturalmente chi proviene da più lontano prende di
più. Pagando l’ 1,70% della retribuzione-base si ottiene un’
assicurazione sanitaria estesissima (una polizza privata costerebbe 6-9
mila euro l’ anno). Aggiungendo lo 0,1% si ha diritto a un’ ottima
assicurazione infortuni. Gli stessi euroburocrati stentano a
districarsi tra i segreti delle loro ingenti retribuzioni e indennità
(ce ne sono perfino per «orario spezzato» o per genitori «single»). Ma
proviamo a costruire il salario di un dipendente romano in servizio a
Bruxelles con a carico coniuge e due figli iscritti alla Scuola
europea. Se è assunto al grado 1, il più basso, e guadagna «solo»
2.658,24 euro lordi, aggiunge sempre al netto, 560,15 euro di indennità
«espatrio», 210,45 euro della «familiare», 632,22 euro per i figli,
466,40 del rimborso scuola, più 186.44 euro (1/12 del viaggio annuale
Bruxelles-Roma). In pratica - dopo la «pseudo tassa» di appena 56,50
euro e contributi vari - guadagna ben 4.337,08 euro netti al mese.
Aggiungendo 1/12 del costo della Scuola europea per due alunni (1.600
euro) si arriva a quasi 6 mila euro netti mensili. Naturalmente, più si
sale, più l’ indennità «espatrio» del 16% e la parte percentuale di
quella «familiare» (2%) rendono redditizi questi moltiplicatori dello
stipendio. Vanno poi sempre sommate le altre indennità in cifra fissa.
Pertanto il solito usciere o impiegato romano, se guadagna 5.135,94
euro scatta a 6.728.46 euro netti mensili e ha una retribuzione
stimabile in 8.328,46 euro netti (con la Scuola europea gratis). Il
funzionario da 9.552,89 euro (grado 11) passa a 12.030,92, il dirigente
da 14.956,53 euro (grado 15) va a 16.251,71. Nella fascia alta, chi ha
un ruolo direttivo, prende anche l’ indennità «management», che nello
stipendio da 15 mila euro è pari a 630 euro netti mensili: cioè a poco
meno dell’ intero salario medio di tanti giovani italiani resi sempre
più precari dagli interventi dei superpagati e supergarantiti
euroburocrati di Bruxelles. IVO CAIZZI
Corriere Economia
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