lettere

La distruzione
della scuola italiana

di Raffaello Volpe  
10 Luglio 2008

  È difficile comprendere l’imposizione dell’ex ministro dell’Istruzione Fioroni di organizzare nel mese di luglio inutili corsi di recupero per studenti che hanno avuto insufficienze in una o più materie. È difficile comprenderlo, primo perché solo la metà delle scuole hanno i soldi per attivarli e secondo perché un quarto dei docenti necessari a garantirne lo svolgimento mancherà, trattandosi di supplenti nel frattempo licenziati. L’episodio è più comprensibile se lo si inserisce in un’ottica di disgregamento dell’apparato scolastico nella sua totalità. Dal ‘68 in poi i nostri governanti, rifacendosi a un’idea di “egualitarismo” assoluto di stampo comunista, hanno innescato una serie di cambiamenti dalle conseguenze devastanti, impedendo che la scuola avesse una “Forma” organica e strutturalmente solida. L’imponente ingresso delle donne nella scuola italiana, facilitato dal fatto che insegnare è stato considerato a torto un lavoro a metà giornata, è una di quelle. Per le donne insegnanti era possibile seguire contemporaneamente il lavoro nella scuola e la famiglia. D’altro canto, la sopravvenuta bassa considerazione sulla scuola e i miseri stipendi hanno fatto fuggire i maschi. L’attuale presenza minoritaria dei professori - ridotti ad un rapportodi uno a dieci - è a tal punto grave che l’insegnamento, fino a ieri fondato su modelli di riferimento maschili, ne è risultato gravemente sbilanciato. Si capisce anche come nell’insegnamento la sperimentazione scientifica, di per sé manifestazione di “diversità”, sia scomparsa. L’idea di uguaglianza ha abbattuto dalle fondamenta il senso profondo nell’Uomo di voler sapere, scoprire i misteri del mondo in cui vive: perché ha senso conoscere solo ciò che è diverso da me, mai ciò che già si conosce, in quanto identico. L’avanzamento di carriera dei docenti, che si basa sull’anzianità di servizio piuttosto che sul riconoscimento delle capacità individuali, ha svuotato ulteriormente di significato la scuola, che è divenuta quel luogo nel quale non volendo riconoscere al singolo la capacità di essere intelligente l’intelligenza non può esistere.
Ma l’appiattimento non è bastato. Essendo venuti meno uno dopo l’altro i presupposti simbolici fondanti la persona e con essi una visione gerarchica dei valori, dei significati, dei ruoli nella vita (e nella scuola), abbiamo anche assistito alla eliminazione sistematica di tutto ciò che richiamava l’identità nazionale. Non a caso nella scuola tutti sembrano avere smarrito il principio di realtà, quella capacità razionale dell’Uomo di capire ciò che lo circonda in funzione della sopravvivenza. Da un lato le famiglie sono convinte che la colpa sia solo di chi insegna, rendendo ancora più gravosi i problemi da superare, dall’altro i docenti non comprendono quello che intorno succede. La distrazione, la svogliatezza, la noia e la violenza dilaganti fra gli studenti sono il segnale dell’assenza di quei valori identitari, gli unici in grado di dare un senso all’intelligenza di un Popolo. La loro mancanza, sofferta terribilmente dai Giovani, è stata sostituita da pseudovalori miseri e superficiali, presenti in quantità massiccia nel contesto e nei quali è più facile identificarsi perché capirli non richiede alcuno sforzo cognitivo. Si è voluto infine celare lo sfacelo affidando la scuola all’uso salvifico del computer, i cui devastanti effetti sullo sviluppo cognitivo andrebbero studiati con maggiore attenzione. Lo hanno constatato gli inglesi, i quali hanno deciso di ridurre drasticamente nelle proprie scuole l’uso della tecnologia informatica.
La scuola è stata lentamente ma sistematicamente preparata nei decenni all’arrivo dell’unione europea, massima espressione sacrale di ideologia comunista. Una scuola in tali condizioni ha accolto senza alcuna protesta, come già da anni avviene, i comandi dell’unione europea su cosa, come insegnarlo e con quali soldi. A cominciare dal linguaggio introdotto nella scuola italiana; un linguaggio delirante perché utilizza termini estranei al contesto scolastico (“credito” = punteggio positivo per lo studente, “debito” = materia non superata alla fine dell’anno, “risorse umane” = dagli studenti ai professori, tutti coloro che vivono nella scuola, etc…) ma rivelatore di un pensiero “omogeneizzante”, che non è più quello del professore che rifletteva e studiava prima di spiegare ma quello automatico- economico delle banche. I nostri governanti hanno mantenuto bassi gli stipendi nella scuola, vergognosamente bassi, affinché gli unici soldi in più da cui attingere per i docenti fossero quelli concessi dall’unione europea. Questi finanziamenti erano e sono disponibili solo per quelle attività extra scolastiche — meglio note come “progetti” — le cui tematiche propagandistiche riguardano o l'immagine dell'unione europea stessa o “l’integrazione”, il “multirazziale”, il “multietnico”, contro il “razzismo”, comunque tese ad esaltare una “uguaglianza” deforme perché ambiguamente generalizzata. Con il contemporaneo calo di iscrizioni scolastiche e con una trasformazione pilotata di tutte le differenti scuole, dai Professionali ai Licei, in nuove forme ambigue ma somiglianti si è favorito l’ingresso dei figli degli immigrati. A cosa servirebbe oggi una scuola italiana  così prossima al “nulla” se non ad accogliere stranieri che della nostra Storia e Letteratura "giustamente" non vogliono sapere niente ma che anzi odiano? Già da tempo nei libri scolastici la storia si riferisce all' Impero Romano e alle invasioni barbariche non come invasioni barbariche, concetto vietato dall’unione europea, ma a "movimenti migratori". Appare chiaro che l'unione europea, con la Germania come sua vera dominatrice, intende distruggere la memoria storica dei singoli Popoli. La distruzione della scuola italiana è solo uno dei tasselli del disegno europeo complessivo di eliminazione della cultura e della civiltà europea..
 
Chissà perché Giacomo Leopardi, nel "Dialogo di un Italiano intorno alla poesia romantica", per salvare il primato italiano nelle arti quale vera testimonianza della nostra identità, rivolse il suo appello, non ai potenti, non ai professori, ma ai Giovani Italiani?

  




 
 
  

 

 
 
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