È
difficile comprendere l’imposizione dell’ex ministro dell’Istruzione
Fioroni di organizzare nel mese di luglio inutili corsi di recupero per
studenti che hanno avuto insufficienze in una o più materie. È
difficile comprenderlo, primo perché solo la metà delle scuole hanno i
soldi per attivarli e secondo perché un quarto dei docenti necessari a
garantirne lo svolgimento mancherà, trattandosi di supplenti nel
frattempo licenziati. L’episodio è più comprensibile se lo si inserisce
in un’ottica di disgregamento dell’apparato scolastico nella sua
totalità. Dal ‘68 in poi i nostri governanti, rifacendosi a un’idea di
“egualitarismo” assoluto di stampo comunista, hanno innescato una serie
di cambiamenti dalle conseguenze devastanti, impedendo che la scuola
avesse una “Forma” organica e strutturalmente solida. L’imponente
ingresso delle donne nella scuola italiana, facilitato dal fatto che
insegnare è stato considerato a torto un lavoro a metà giornata, è una
di quelle. Per le donne insegnanti era possibile seguire
contemporaneamente il lavoro nella scuola e la famiglia. D’altro canto,
la sopravvenuta bassa considerazione sulla scuola e i miseri stipendi
hanno fatto fuggire i maschi. L’attuale presenza minoritaria dei
professori - ridotti ad un rapportodi uno a dieci - è a tal punto grave
che l’insegnamento, fino a ieri fondato su modelli di riferimento
maschili, ne è risultato gravemente sbilanciato. Si capisce anche come
nell’insegnamento la sperimentazione scientifica, di per sé
manifestazione di “diversità”, sia scomparsa. L’idea di uguaglianza ha
abbattuto dalle fondamenta il senso profondo nell’Uomo di voler sapere,
scoprire i misteri del mondo in cui vive: perché ha senso conoscere
solo ciò che è diverso da me, mai ciò che già si conosce, in quanto
identico. L’avanzamento di carriera dei docenti, che si basa
sull’anzianità di servizio piuttosto che sul riconoscimento delle
capacità individuali, ha svuotato ulteriormente di significato la
scuola, che è divenuta quel luogo nel quale non volendo riconoscere al
singolo la capacità di essere intelligente l’intelligenza non può
esistere. Ma l’appiattimento non è bastato. Essendo venuti meno uno
dopo l’altro i presupposti simbolici fondanti la persona e con essi una
visione gerarchica dei valori, dei significati, dei ruoli nella vita (e
nella scuola), abbiamo anche assistito alla eliminazione sistematica di
tutto ciò che richiamava l’identità nazionale. Non a caso nella scuola
tutti sembrano avere smarrito il principio di realtà, quella capacità
razionale dell’Uomo di capire ciò che lo circonda in funzione della
sopravvivenza. Da un lato le famiglie sono convinte che la colpa sia
solo di chi insegna, rendendo ancora più gravosi i problemi da
superare, dall’altro i docenti non comprendono quello che intorno
succede. La distrazione, la svogliatezza, la noia e la violenza
dilaganti fra gli studenti sono il segnale dell’assenza di quei valori
identitari, gli unici in grado di dare un senso all’intelligenza di un
Popolo. La loro mancanza, sofferta terribilmente dai Giovani, è stata
sostituita da pseudovalori miseri e superficiali, presenti in quantità
massiccia nel contesto e nei quali è più facile identificarsi perché
capirli non richiede alcuno sforzo cognitivo. Si è voluto infine celare
lo sfacelo affidando la scuola all’uso salvifico del computer, i cui
devastanti effetti sullo sviluppo cognitivo andrebbero studiati con
maggiore attenzione. Lo hanno constatato gli inglesi, i quali hanno
deciso di ridurre drasticamente nelle proprie scuole l’uso della
tecnologia informatica. La scuola è stata lentamente ma
sistematicamente preparata nei decenni all’arrivo dell’unione europea,
massima espressione sacrale di ideologia comunista. Una scuola in tali
condizioni ha accolto senza alcuna protesta, come già da anni avviene,
i comandi dell’unione europea su cosa, come insegnarlo e con quali
soldi. A cominciare dal linguaggio introdotto nella scuola italiana; un
linguaggio delirante perché utilizza termini estranei al contesto
scolastico (“credito” = punteggio positivo per lo studente, “debito” =
materia non superata alla fine dell’anno, “risorse umane” = dagli
studenti ai professori, tutti coloro che vivono nella scuola, etc…) ma
rivelatore di un pensiero “omogeneizzante”, che non è più quello del
professore che rifletteva e studiava prima di spiegare ma quello
automatico- economico delle banche. I nostri governanti hanno mantenuto
bassi gli stipendi nella scuola, vergognosamente bassi, affinché gli
unici soldi in più da cui attingere per i docenti fossero quelli
concessi dall’unione europea. Questi finanziamenti erano e sono
disponibili solo per quelle attività extra scolastiche — meglio note
come “progetti” — le cui tematiche propagandistiche riguardano o
l'immagine dell'unione europea stessa o “l’integrazione”, il
“multirazziale”, il “multietnico”, contro il “razzismo”, comunque tese
ad esaltare una “uguaglianza” deforme perché ambiguamente
generalizzata. Con il contemporaneo calo di iscrizioni scolastiche e
con una trasformazione pilotata di tutte le differenti scuole, dai
Professionali ai Licei, in nuove forme ambigue ma somiglianti si è
favorito l’ingresso dei figli degli immigrati. A cosa servirebbe oggi
una scuola italiana così prossima al “nulla” se non ad accogliere
stranieri che della nostra Storia e Letteratura "giustamente" non
vogliono sapere niente ma che anzi odiano? Già da tempo nei libri
scolastici la storia si riferisce all' Impero Romano e alle invasioni
barbariche non come invasioni barbariche, concetto vietato dall’unione
europea, ma a "movimenti migratori". Appare chiaro che l'unione
europea, con la Germania come sua vera dominatrice, intende distruggere
la memoria storica dei singoli Popoli. La distruzione della scuola
italiana è solo uno dei tasselli del disegno europeo complessivo di
eliminazione della cultura e della civiltà europea.. Chissà
perché Giacomo Leopardi, nel "Dialogo di un Italiano intorno alla
poesia romantica", per salvare il primato italiano nelle arti quale
vera testimonianza della nostra identità, rivolse il suo appello, non
ai potenti, non ai professori, ma ai Giovani Italiani?
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