La
condanna del raid americano in Somalia contro Al Qaeda da parte
dell’Onu, dell'Unione europea e di alcuni governi nazionali
compreso il nostro — il ministro degli Esteri ha manifestato
«la contrarietà dell'Italia a iniziative unilaterali che
potrebbero innescare nuove tensioni» — fa tutta la
differenza fra chi combatte il terrorismo e chi dice di voler
combattere il terrorismo. Se le chiacchiere fossero pallottole, non ci
sarebbero più terroristi in giro per il mondo a fare attentati.
Bla, bla, bla: sarebbero tutti morti, uccisi dalla micidiale dialettica
multilaterale. Dopo l'attacco alle due torri di New York e al
Pentagono, i grandi organismi internazionali e molti governi si erano
detti «americani».
Dopo l'attacco al treno di Madrid, «spagnoli». Dopo quello
al metro di Londra, «inglesi». Ma neppure per un momento,
né l'Onu, né l'Ue, né la maggior parte dei governi
nazionali — ad eccezione di quello americano e di quello inglese
— si sono sentiti in guerra contro il terrorismo e si sono
comportati di conseguenza. Si è verificato il
«rovesciamento» di uno dei principi della tradizione
politica degli ultimi quattrocento anni, in nome di una concezione
metafisica della pace: «Cos'è infatti la guerra — si
chiede Thomas Hobbes (1588-1679) — se non il tempo in cui si
dichiara a sufficienza, con le parole e con i fatti, la volontà
di lottare con la forza? Il tempo restante si chiama pace».
L'Onu, l'Unione europea e molti governi nazionali sono stati contrari
alla guerra in Iraq. «Non si esporta la democrazia liberale in
Paesi le cui tradizioni non sono le stesse che ne hanno facilitato la
nascita da noi», è stata la parola d'ordine del pacifismo.
Giusto. Ma, poi, dopo l'esecuzione di Saddam, si è chiesto che
in tutto il mondo fosse abolita la pena di morte, anche in quei
Paesi—come quelli islamici governati dalla sharia, che la prevede
— dove la vita e la morte non hanno né filosoficamente,
né nella prassi, lo stesso valore che hanno da noi. Nessuno,
però, se l'è sentita di superare la contraddizione e di
portare alle sue logiche ed estreme conseguenze il sillogismo:
chiedersi se, allora, non sarebbe stato preferibile lasciare Saddam
Hussein al potere. Ora, l'Onu, l'Ue, molti governi nazionali si sono
dichiarati contrari anche al raid americano in Somalia.
Questa volta in nome di una concezione del
«multilateralismo» e del «dialogo» non meno
metafisica di quella di pace. Non si riconosce, cioè, al diritto
degli Stati Uniti di combattere il terrorismo un carattere normativo
«oggettivo», cioè di legge condivisibile,
accettabile e praticabile dalla comunità internazionale, ma lo
si considera solo una ricerca del proprio tornaconto nazionale. No,
dunque, alla guerra, no ai raid, no all’intelligence se non a
condizioni che ne vanificherebbero le potenzialità. La
differenza fra chi combatte il terrorismo e chi dice di voler
combattere il terrorismo si rivela, così, ciò che
è: anti-americanismo. A questo punto, sarebbe inutile chiedere
all’Onu, all'Ue, ai governi nazionali e al pacifismo militante
che cosa si dovrebbe fare per battere il terrorismo perché non
saprebbero rispondere con una proposta concreta, praticabile ed
efficace, ma solo con dichiarazioni di buone intenzioni.
Corriere della Sera - 11 gennaio 2007
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