editoriale

Sì, ritiriamoci
ma dal governo Prodi

di Ida Magli 
il Giornale | 09 Marzo 2007

Noi non ne possiamo più. E con «noi» intendo riferirmi a tutti quelli che erano in piazza nella grande riunione di Roma, o la seguivano in televisione, oppure ancora quelli che, pur silenziosi, hanno aspettato, sperato, creduto, dal primo insediamento del governo Prodi, che ogni momento fosse quello buono per farlo cadere.
Noi siamo essere umani e la nostra pazienza è esaurita. Non sopportiamo di essere presi in giro da quelli che ci governano; ma soprattutto non sopportiamo di non essere presi in considerazione da quelli cui avevamo affidato l'unica speranza della salvezza dell'Italia dal comunismo. Perché di questo si tratta con l'attuale governo: del comunismo; in tutte le decisioni che ha già preso e in quelle che si appresta a prendere. Il controllo dello Stato su ogni movimento di denaro, addirittura con la quasi totale eliminazione dei pagamenti in contanti e la riduzione delle banche ad organi parastatali, non è, come si suole dire, una forma di «Stato di polizia», ma è lo Stato comunista in quanto è il comunismo che di per sé ha sempre governato e non può governare se non come Stato di polizia, fuori dalla democrazia. Quando mai, però, nella Russia sovietica sono state ufficialmente eliminate le elezioni? Si votava per il partito unico, ma si votava. Ebbene, non lo vede la Casa delle libertà che siamo astutamente avviati verso il partito unico? La Lega l'ha capito e ha deciso di votare no in tutte le occasioni, anche in quelle che, come le missioni all'estero, in una democrazia normale sarebbe potuto apparire giusto votare all'unisono con il governo. Ma quella italiana non è già più una democrazia normale.
Tutte le opposizioni debbono votare sempre no, e lo debbono fare per gli italiani, compresi i militari i quali sono perfettamente in grado di capire che per salvare l'Italia non bastano le mezze misure, i patteggiamenti traditori, lo spettacolo osceno di persone che dicono una cosa e ne votano un'altra, che si appellano alla libertà di coscienza per sé ma la negano ai cittadini. Siamo disgustati al punto che, se non ci sarà concesso di andare al più presto a nuove elezioni, perderemo la fiducia in qualsiasi forma di politica, così come l'hanno già persa i tanti giovani.
Non lo vedono che i giovani girano a vuoto fino al punto di ammazzare e di ammazzarsi con l'unica arma che possiedono, l'automobile? I politici che hanno fatto una legge per condannare la violenza negli stadi, pensano davvero che combattere per la propria squadra sia «stupido» oltre che illegittimo? Ma per che cosa debbono combattere questi giovani, in che cosa si possono identificare se non gli è stato messo davanti altro valore che il calcio? La scuola obbligatoria fino ai diciotto anni è una follia, ma tanto più è una follia in quanto è priva di insegnanti maschi, di qualsiasi personalità cui i maschi possano fare riferimento. La «competitività» di cui tanto si parla è forse soltanto quella nella quale si dibattono i mercati?
Berlusconi non aspetti neanche un minuto a provocare la caduta del governo Prodi e il ricorso a nuove elezioni perché la promessa che aveva fatto fin dall'inizio, e nella quale tanti italiani hanno avuto fiducia, di non lasciare spazio ai comunisti, sta per essere contraddetta in maniera tale da far quasi pensare che l'intervallo berlusconiano sia servito ai comunisti per assestarsi nel migliore dei modi. Noi - quelli che amano l'Italia - vogliamo dimostrare che non è così, e vogliamo farlo subito, siamo pronti a combattere subito.

Il Giornale n. 58 del 2007-03-09 pagina 1

 
  
 
 
  

 

 
 
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