editoriale

Morte di una nazione

di Ida Magli
il Giornale | 02 Gennaio 2007



  Dunque adesso abbiamo la prova: gli stranieri ben presto saranno la maggioranza. Romeni o marocchini, non ha importanza: stranieri comunque. È necessario, forse, ripetere ancora una volta che non è la cittadinanza scritta all’anagrafe che crea l’italianità? Sappiamo bene che è ciò che affermano i nostri governanti, ma è un’affermazione dettata esclusivamente dalla volontà di imporre con l’esercizio del potere l’uguaglianza fra i popoli, negando le differenze. Le caratteristiche di un popolo, di ogni popolo, si tramandano a livello genetico, non soltanto fisico ma anche culturale, perché quelle culturali dipendono per prima cosa da fattori biologici. Il tipo di intelligenza, per esempio, la forma mentis, è con tutta evidenza specifica negli individui appartenenti ai diversi popoli. Nessuno si può sbagliare, leggendo un testo di filosofia di un tedesco, e pensare che Kant avrebbe potuto essere italiano o spagnolo o francese... Lo stesso vale per qualsiasi altra espressione intellettuale. Monteverdi o Bellini o Puccini certamente non avrebbero potuto scrivere la loro musica se non fossero stati italiani, così come non l’avrebbero potuta scrivere Bach o Wagner.
L’enorme produzione intellettuale e artistica dell’Europa è dovuta alle differenze fra i suoi popoli, che si sono espresse durante un lunghissimo itinerario storico e in differenze linguistiche, economiche, politiche, religiose, e che ne hanno formato la particolare cultura. Del resto è lo stesso processo che ha sempre seguito la Natura: la differenziazione. L’uguaglianza uccide. Ed è proprio questo che vogliono i nostri governanti: uccidere gli italiani. Il perché è molto chiaro: l’idea dell’Unione Europea è un’idea comunista, e pertanto un’idea ugualitaria. L’ha detto perfino il famoso dissidente russo Bukovski in una intervista rilasciata poco tempo fa in Austria che l’Unione Europea somiglia pericolosamente all’Unione Sovietica. Infatti è fondata, come voleva Marx, sulle strutture economiche.
Il presidente Napolitano a sua volta ha affermato nel discorso di auguri alla nazione che l’Italia crescerà. Era sottinteso che crescerà il suo Prodotto interno lordo, ed è questo che conta. Che importa se la lingua italiana deperisce e presto in Europa scomparirà? (Se ne è lamentato il presidente dell’Accademia della Crusca, ma non sembra che nessuno abbia raccolto il suo dolore). Che importa se scompariranno le maggiori espressioni artistiche che l’Italia ha donato al mondo? Che importa se scomparirà il cattolicesimo nella terra dove risiede il successore di Pietro? Questo deve essere detto chiaramente ai governanti: gli stranieri trasmetteranno la propria cultura ai propri figli, come è giusto e naturale che sia.
I governanti dicono che bisogna far venire gli stranieri perché gli italiani fanno troppo pochi figli, ma è inutile ripetergli quello che tutti i demografi sanno benissimo, ossia che siamo troppi e che è questa la prima causa della bassa natalità. Ai primi del Novecento eravamo 25 milioni, adesso siamo circa 60. Il territorio è sovraffollato, ed è legge della natura la regolazione demografica secondo il territorio. Bisogna aggiungere poi che è proprio la politica seguita dai governanti, la prospettiva di non avere un futuro che fa estinguere i popoli. Più stranieri circolano, meno figli faranno gli italiani. Che cosa hanno da amare tanto, infatti, da volerlo trasmettere ai propri figli? Non la patria, non la lingua, non la religione, non la storia, non le tradizioni, non i costumi, nulla.
Tante lamentele per la morte di Welby, ma almeno la voleva. Io spero ancora che gli italiani non la vogliano.

il Giornale del 2-1-07 pagina 1


NOTA:
Dal 1° Gennaio 2007 la Bulgaria e la Romania sono state ammesse a far parte dell'Unione Europea.
I politici e giornalisti ne hanno dato quasi tutti la notizia con grande allegria. L'Unione Europea è formata adesso da 27 Paesi che parlano 27 lingue diverse.
L'informazione televisiva non ha fornito neanche il minimo dato sulla realtà concreta, ed ha intervistato esclusivamente romeni e bulgari, tutti ovviamente felicissimi. Agli italiani non è stato  chiesto nulla venendo meno così perfino alla tanto vantata "par condicio", che è rispettata sempre anche quando si tratta delle squadre di calcio.
Segue un quadro sintetico che non ha altro scopo che fornire al lettore alcuni dati essenziali su i due Paesi. 
 
 
  
 
 
  

 

 
 
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