Il
ministro Ferrero invita a fare una riflessione seria sul fenomeno
dell’immigrazione. «Gli esiti della tragica vicenda che ha
interessato Erba interrogano la nostra società civile e chiedono
a tutti noi un surplus di autocritica», dice. E lamenta il fatto
che si parli degli immigrati soltanto quando si verificano episodi di
cronaca nera creandone un’immagine negativa, mentre il loro
lavoro produce il 5 per cento del Pil. Bene: parliamone. È il
ministro stesso a fornire il primo dato sulla tragica realtà
nella quale gli italiani si trovano a vivere: siamo governati da gente
che ha come solo valore di riferimento l’accrescimento della
ricchezza, il Pil. Tutto il resto non conta. Persone che parlano
un’altra lingua, che professano un’altra religione, che
sono portatrici di una cultura psicologicamente, socialmente,
storicamente del tutto diversa; persone che non possono produrre
né poesia italiana, né musica, né pittura,
né architettura, né passione per il passato e per il
futuro dell’Italia come «patria», ed è questo
che gli italiani percepiscono con angoscia e con rabbia nella presenza
invasiva degli immigrati. Una immensa perdita e la fine molto rapida
della propria identità.
Ferrero ricorda poi le solite, banali sciocchezze e falsità
sugli italiani che in passato sono emigrati in gran numero. Il maggiore
flusso emigratorio si è svolto verso gli Stati Uniti quando
questi avevano assoluto bisogno di popolare un immenso territorio,
molte zone del quale ancora non conosciute dagli americani stessi, ed
è inutile dire (ma probabilmente il ministro non lo sa) che
è una legge demografica naturale la fine di una popolazione
quando la densità è troppo bassa in rapporto al
territorio. L’America, poi, aveva una storia brevissima dietro di
sé, nella quale gli stessi americani erano degli immigrati che
avevano sterminato o ridotto nelle riserve gli abitanti del posto,
portandone alla morte la cultura. (Così come faranno gli
immigrati con noi). Né si creda che l’America, pur
costituita da immigrati che hanno conquistato il territorio, non
conosca razzismi, violenze etniche gravissime e, anche parlando una
sola lingua, ha cominciato soltanto da poco a produrre una letteratura.
Possibile che i nostri governanti, che vantano al loro interno anche il
gruppo dei Verdi, non vogliano capire che siamo troppi, che ancora oggi
siamo al 20 per cento in più per chilometro quadrato in
confronto agli Stati Uniti? E che dire del Canada,
dell’Australia, della Russia, che sono i Paesi più estesi
del mondo, pochissimo popolati, e che pure hanno emanato delle leggi
estremamente rigorose per limitare al massimo l’immigrazione? Ma
lì non ci sono governanti che odiano la propria civiltà,
che ne vogliono cancellare il più rapidamente possibile le
ricchezze storiche, culturali, religiose; che odiano la propria patria,
i propri sudditi!
C’è, poi, nella dichiarazione di Ferrero, qualche altra
cosa da notare: una volontà autoritaria e pedagogica tipica dei
totalitarismi, certamente non delle democrazie. Secondo Ferrero gli
italiani debbono imparare ad apprezzare la società multietnica e
a non dimostrare nessuna insofferenza perché questo è
segno di inciviltà, di mancanza di solidarietà. Dunque,
l’idea che in una democrazia debbano essere i governanti a
«rappresentare» la volontà dei rappresentati, che
debbano essere loro a comprendere i motivi e le preoccupazioni dei
cittadini, non sfiora i nostri politici che non aprono bocca senza
ripetere la parola «democrazia». L’immigrazione
è stata imposta con le menzogne più incredibili, di volta
in volta dalla impossibilità di arrestarla alla sua
necessità perché ci sono lavori che gli italiani non
vogliono più fare, oppure perché fanno pochi figli... Di
fatto i politici hanno voluto e vogliono l’immigrazione proprio
per ottenere un miscuglio di popoli. Questa è la verità e
gli italiani lo intuiscono, anche se non riescono a spiegarsene i
motivi.
La spiegazione però c’è, ed è semplice:
l’Unione Europea vuole a tutti i costi somigliare
all’America e l’Italia è la nazione più
ossequente ai desideri dell’Europa. Il bello è che
l’Europa vuole somigliare all’America pur odiandola,
perché ritiene così di poterle fare concorrenza. Nulla di
più sbagliato, naturalmente. Ma a che serve dirlo? Si sente dire
spesso che nel nostro tempo le ideologie sono morte. Ebbene, non
è vero. Quella dell’Europa è una ideologia e, come
tutte le ideologie, nessun ragionamento razionale può riuscire a
debellarla.
Il Giornale - n. 12 del 2007-01-14 pagina 1
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