editoriale

Non vogliamo
la festa del 25 Aprile

di Ida Magli 
ItalianiLiberi | 26 Aprile 2007

  No. Il 25 Aprile non è la festa di tutti; anzi non è, non può, non deve essere una festa. Noi, gli Italiani, non potremo mai perdonare ai partigiani di averci consegnato alla Storia come il più barbaro dei popoli, di aver fatto in nostro nome quello che né i selvaggi né i civili hanno mai fatto anche quando hanno condannato a morte i propri governanti, i propri re. Piazza Loreto non ci appartiene; ma noi non finiremo mai di piangere sulla nostra ignominia conservandone la memoria, perché  ben sappiamo che ha concluso in maniera oscena una guerra che tutti i responsabili, i governanti di ogni parte hanno condotto in modo osceno. Nessuno vuole farne davvero la storia? Nessuno vuole riconoscere che i popoli non hanno scelta quando i governanti perdono il principio di realtà? Non sono stati soltanto Hitler e Mussolini a perdere il principio di realtà. Lo ha perso anche Churchill che si è ostinato a non cercare altra alternativa che continuare la guerra, a porre guerra contro guerra, incurante della morte dei suoi soldati, dei suoi marinai, dei suoi piloti, fino alla distruzione delle città, allo sterminio dei civili inermi sotto i bombardamenti, privi di case, di cibo, intenti soltanto a piangere i loro morti, a tremare per i loro cari dispersi nei fronti più lontani dei quali fino al giorno prima non avevano mai conosciuto neanche il nome. Lo hanno perso i generali inglesi e americani con il loro incredibile progetto di invasione della Normandia, fieri del dispendio di mezzi e di vite che questo avrebbe comportato, fieri della fiducia richiesta a coloro che erano chiamati ad effettuarlo. Davvero non si poteva trovare un altro modo per eliminare Hitler ? E cosa dovrebbero dire gli Americani dei loro governanti che li hanno consegnati alla Storia come il popolo che ha sganciato la bomba atomica? Chi potrà mai cancellare dalla memoria del mondo la nube nera di Hiroshima, quella di Nagasaki ? Esiste, forse, soltanto la memoria degli Ebrei?
Vogliamo una buona volta deciderci a riconoscere che la seconda guerra mondiale avrebbe potuto svolgersi in modo molto diverso se i governanti di Francia, di Inghilterra, di Russia, di America avessero studiato preventivamente e con obiettività le mosse di Hitler e non fossero stati decisi a condurla in modo da annientare a qualsiasi costo e una volta per sempre la forza della Germania? Era quello che avevano voluto raggiungere già alla fine della prima Grande Guerra e, se i trattati di pace non fossero stati allora troppo pesanti e ingiusti, probabilmente il popolo tedesco non avrebbe obbedito a  Hitler con tanta convinzione. Comunque la storia è utile soltanto se la si fa dal punto di vista di tutti i popoli e non per esaltare i governanti vincitori.
Per quanto riguarda l’Italia, poi, i nostri politici non hanno ancora capito che vogliamo verità e non feste. La storia del loro rapporto di fiducia verso la casa Savoia, verso Mussolini, non è stata ancora fatta; o almeno quella che è stata fatta non corrisponde ai sentimenti degli Italiani. Sono stati sempre e soltanto i comunisti a odiare la monarchia e il fascismo e non per amore verso l’Italia ma perché guardavano all’Unione Sovietica, volevano che l’Italia ne seguisse l’esempio. Non è possibile soffermarsi qui su questo argomento, ma almeno  una cosa bisogna dirla: sono stati sempre i governanti, i generali, i re, i papi a tradire il popolo italiano durante i millenni che hanno alle spalle, tradendo anche di volta in volta i loro alleati e lasciando così che si formasse nella fantasia collettiva l’immagine della inaffidabilità e della vigliaccheria italiana. Festeggiare come una vittoria il 25 Aprile significa ribadire agli occhi del mondo questa immagine; tanto più poi se vi si associa, per sfruttarne la indicibile tragicità, l’evento di Cefalonia.
Nessun detentore del potere si azzardi ad appropriarsi di Cefalonia perché Cefalonia appartiene soltanto ed esclusivamente agli Italiani, al loro coraggio, alle loro assolute virtù militari ed umane, in una paradossale situazione bellica quale forse nessun drammaturgo avrebbe potuto immaginare, ma che si addice soltanto alla straordinaria storia dell’Italia.

Roma, 26 Aprile 2007

 
  
 
 
  

 

 
 
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