editoriale

Stop ai soldati

di Ida Magli
il Giornale | 31 Agosto 2006



Nel discorso fatto al Meeting di Rimini Berlusconi ha detto che era costretto a «rimanere in politica» e che si sarebbe preso cura degli Italiani. Ebbene il momento di dimostrarlo è venuto subito: deve votare No alla missione in Libano. Quella presa da Prodi è una decisione scriteriata, sufficiente da sola a testimoniare che persegue esclusivamente gli interessi della propria immagine di potere in Europa e quella di potenza di una Unione Europea che di fatto come tale è inesistente, calpestando, annullando gli interessi e la vita stessa degli italiani.
Si tratta infatti di una decisione gravissima, dalle conseguenze imprevedibili, tanto che nessuno dei governanti europei ha ritenuto di poterla prendere e la Francia vi si è decisa soltanto per non lasciare allo sbaraglio il comando all’Italia. L’abbandono del principio di realtà quando gli uomini di governo inseguono una proiezione sempre più forte del proprio potere, è una costante della storia, presente ovunque e che gli Italiani in particolare hanno sperimentato molte volte, trasformati in oggetto e «strumento» al servizio di questo potere. Purtroppo però non è vero che la storia è maestra di vita.
La situazione in Medio Oriente è gravissima di per sé; ma, come tutti sanno, è gravissima soprattutto per gli estranei che vogliano metterci le mani perché non si possono prevedere i comportamenti delle varie forze in campo, né quelli psicologici, né quelli religiosi, né quelli politici. Inoltre l’egida dell’Onu è ormai logora, oggettivamente molto debole in quanto sono del tutto cambiate le condizioni del mondo da quando è stata istituita. Tanto più è debole in questa circostanza nella quale nessun Paese sa bene quale sia la direzione giusta verso cui muoversi. La decisione di Prodi, unico uomo di governo sicuro di sé, sarebbe addirittura grottesca (e tale appare agli occhi del mondo) se non comportasse conseguenze drammatiche per gli italiani. Per l’Italia, infatti, quella del Libano si configura come una impresa folle: folle per la sperequazione fra le motivazioni e l’impegno che richiede (forse sarebbe stata giustificabile soltanto se l’Italia fosse stata aggredita direttamente e messa in pericolo sul proprio territorio); folle per il rischio della vita fisica di molti giovani italiani sul terreno d’operazione e per la vita fisica dei cittadini in Italia, che nessuna distanza garantisce da ritorsioni terroristiche (non escluse quelle dei musulmani all’interno); folle per la mancanza, e la impossibilità, di previsione dei tempi e dei costi finanziari, costi che sappiamo bene di non poter affrontare.
Aver preso una decisione di tale portata in poche ore, aver fatto partire gli uomini prima della discussione e della approvazione del Parlamento, significa aver perso la testa e venire meno allo spirito e alle garanzie della democrazia; un comportamento più che sufficiente a far rimuovere qualsiasi governo.
Berlusconi, dunque, deve votare no; e non soltanto per tutti questi motivi ma anche perché della guerra in Libano l’Italia non si libererà più, e non potrà liberarsene perciò nessun governo, quando ci sarà, successivo a questo. Soltanto dicendo no a questa impresa, che nessun cittadino italiano vuole, né a destra né a sinistra, Berlusconi può ritenere di essere credibile con il suo voler «rimanere in politica», può rilanciare la sua leadership accentuando la sua distanza dalla politica di sinistra e dimostrare di voler tenere fede alla parola data pochi giorni fa: aver cura degli italiani.

il Giornale n. 205 del 31-08-06 pagina 1

 
 
  
 
 
  

 

 
 
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