editoriale

Aiutiamo il prof in fuga
dall'Islam

di Ida Magli
il Giornale | 04 Ottobre 2006



  La disavventura del professore francese costretto, per ragioni di sicurezza personale, a vivere nascosto sotto la protezione della polizia per aver criticato Maometto e il Corano, può essere, o forse sarebbe meglio dire che deve essere l'occasione per mettere tutti noi con chiarezza di fronte alla realtà. L'Occidente, l'Europa è andata fiera fino ad oggi della libertà di pensiero, di espressione, di giudizio assicurata a tutti i suoi cittadini dai sistemi di governo laici. I governi laici hanno assicurato a loro volta alle religioni la libertà di parola e di culto e, per quanto a volte ci si sia trovati a discutere duramente riguardo ai problemi che inevitabilmente si pongono alla ragione e alla coscienza dell'uomo nell'ambito dell'etica, tuttavia le discussioni sono rimaste discussioni che hanno semmai fornito la prova di quanto ambedue le parti fossero sicure della propria libertà. Adesso appare ormai molto chiaro che non è più così. La convivenza fra culture diverse è in linea di massima impossibile, o perlomeno difficilissima, cosa che purtroppo i nostri governanti non vogliono ammettere riempiendo la nostra casa di stranieri e andando, con la giustificazione di voler portare la pace, a mettere i piedi nella casa altrui. Ma i popoli sono come gli individui: hanno diritto a vivere nella propria casa con la sicurezza che soltanto la propria casa riesce a dare. Cosa fare allora?
Cerchiamo tutti per prima cosa di guardare la realtà della storia. L'Islam è stato fondato da Maometto basandosi sui primi cinque libri dell'Antico Testamento, ossia su uomini e comportamenti di vita di oltre tremilacinquecento anni fa (si calcola che Abramo sia vissuto intorno al 1850 a. C.). Erano pastori nomadi che vivevano di razzie, che scambiavano le proprie donne per instaurare rapporti con il nemico, che praticavano la poligamia, che sgozzavano gli animali per offrirne il sacrificio al loro Dio... tutto vero e tutto simile a quello che hanno fatto tanti altri popoli studiati dagli storici e dagli antropologi. Perché offendersi se viene detto? Sono cose che esistono nel passato di tutti i popoli, compreso il nostro. L'importante è appunto storicizzarlo così come siamo soliti fare per il coltello di pietra e per le case di fango. Il punto, perciò, è questo: gli Ebrei che hanno in comune con i musulmani i primi cinque libri dell'Antico Testamento hanno rivisto molti dei loro costumi e delle loro teorie teologiche quando, con il giudaismo illuministico dell'epoca napoleonica, hanno eliminato il sacrificio degli animali, e hanno rinviato il principio dell'attesa messianica a livello universale e non più soltanto ebraico, il che significa che si sono reimmessi nel corso della storia insieme a tutti gli altri uomini.
A loro volta i musulmani dovrebbero capire che il riconoscimento del passaggio della storia è ciò che fa dell'uomo l'Uomo; che adoperare l'automobile, o la radio o la televisione invece che il cammello o il piccione viaggiatore non è un cambiamento diverso dal cambiare il proprio modo di trattare le donne riconoscendone il diritto ad essere soggetti delle proprie azioni e dal cambiare il proprio modo di rivolgersi a Dio perché l'acquisizione consapevole della «storia» è la più importante delle «tecniche», quella che permette all'uomo di maturare anche i propri costumi e la propria fede religiosa. Se i musulmani non si offendessero, vorrei dire loro che, volendo conservare lo spirito con il quale venivano offerti a Dio gli agnelli (un sacrificio perché erano un bene prezioso) oggi bisognerebbe offrire distruggendoli nei templi automobili, televisori, telefonini... Insomma, non si può e non si deve attribuire a Dio la volontà che tutto debba essere osservato «alla lettera» perché allora non avrebbe fornito l'uomo di intelligenza e di raziocinio.
E i cosiddetti «fondamentalisti»? Se vogliamo continuare a dirci la verità, allora dobbiamo riconoscere che le motivazioni religiose sono state utilizzate quasi sempre per ragioni di potere, di conquista, di dominio sugli altri popoli. Noi oggi non possiamo chiudere gli occhi di fronte al fatto che l'Islam vuole conquistare l'Europa e che le continue rimostranze per tutto quello che offenderebbe le convinzioni religiose dei musulmani rappresentano soltanto uno strumento per ridurre sempre di più al silenzio e al timore di reazioni violente i cittadini europei così da renderne facile la conquista sia dall'interno, dove giungono a frotte i clandestini, sia dall'esterno.
A questo punto il problema deve essere preso in mano dai governanti. La limitazione alla libertà di espressione, di giudizio, di comportamento non è accettabile sotto nessun punto di vista. Se si viene meno a questo non sarà più possibile fermarsi sulla strada dell'accettazione di qualsiasi altra richiesta. Anche perché il coraggio non sembra in questo momento essere la più forte delle virtù dell'Occidente. Noi siamo ancora traumatizzati dalla mancanza di una adeguata reazione all'attacco fatto ad un discorso del Papa (che ha anch'egli ovviamente diritto alla libertà d'espressione), una reazione che è mancata perfino da parte dell'«esercito» del Papa, quel milione e più fra sacerdoti, monaci e suore che hanno consacrato la loro vita a Cristo e alla Chiesa. Dove sono? Perché non parlano? Forse ritengono di dover seguire la linea data dal Papa nel giustificare le proprie parole, le proprie intenzioni? Se il motivo è questo, sbagliano, sbagliano gravemente perché così come l'Islam si presenta forte in quanto appare come un mondo omogeneo, al di là dei confini degli Stati e delle nazioni, così i consacrati alla vita religiosa formano, e tali debbono apparire, un mondo accomunato dalla fede in Cristo pronto a difenderlo.

Roma, 04-10-06

 
 
  
 
 
  

 

 
 
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