La disavventura del professore
francese costretto, per ragioni di sicurezza personale, a vivere
nascosto sotto la protezione della polizia per aver criticato Maometto
e il Corano, può essere, o forse sarebbe meglio dire che deve
essere l'occasione per mettere tutti noi con chiarezza di fronte alla
realtà. L'Occidente, l'Europa è andata fiera fino ad oggi
della libertà di pensiero, di espressione, di giudizio
assicurata a tutti i suoi cittadini dai sistemi di governo laici. I
governi laici hanno assicurato a loro volta alle religioni la
libertà di parola e di culto e, per quanto a volte ci si sia
trovati a discutere duramente riguardo ai problemi che inevitabilmente
si pongono alla ragione e alla coscienza dell'uomo nell'ambito
dell'etica, tuttavia le discussioni sono rimaste discussioni che hanno
semmai fornito la prova di quanto ambedue le parti fossero sicure della
propria libertà. Adesso appare ormai molto chiaro che non
è più così. La convivenza fra culture diverse
è in linea di massima impossibile, o perlomeno difficilissima,
cosa che purtroppo i nostri governanti non vogliono ammettere
riempiendo la nostra casa di stranieri e andando, con la
giustificazione di voler portare la pace, a mettere i piedi nella casa
altrui. Ma i popoli sono come gli individui: hanno diritto a vivere
nella propria casa con la sicurezza che soltanto la propria casa riesce
a dare. Cosa fare allora?
Cerchiamo tutti per prima cosa di guardare la realtà della
storia. L'Islam è stato fondato da Maometto basandosi sui primi
cinque libri dell'Antico Testamento, ossia su uomini e comportamenti di
vita di oltre tremilacinquecento anni fa (si calcola che Abramo sia
vissuto intorno al 1850 a. C.). Erano pastori nomadi che vivevano di
razzie, che scambiavano le proprie donne per instaurare rapporti con il
nemico, che praticavano la poligamia, che sgozzavano gli animali per
offrirne il sacrificio al loro Dio... tutto vero e tutto simile a
quello che hanno fatto tanti altri popoli studiati dagli storici e
dagli antropologi. Perché offendersi se viene detto? Sono cose
che esistono nel passato di tutti i popoli, compreso il nostro.
L'importante è appunto storicizzarlo così come siamo
soliti fare per il coltello di pietra e per le case di fango. Il punto,
perciò, è questo: gli Ebrei che hanno in comune con i
musulmani i primi cinque libri dell'Antico Testamento hanno rivisto
molti dei loro costumi e delle loro teorie teologiche quando, con il
giudaismo illuministico dell'epoca napoleonica, hanno eliminato il
sacrificio degli animali, e hanno rinviato il principio dell'attesa
messianica a livello universale e non più soltanto ebraico, il
che significa che si sono reimmessi nel corso della storia insieme a
tutti gli altri uomini.
A loro volta i musulmani dovrebbero capire che il riconoscimento del
passaggio della storia è ciò che fa dell'uomo l'Uomo; che
adoperare l'automobile, o la radio o la televisione invece che il
cammello o il piccione viaggiatore non è un cambiamento diverso
dal cambiare il proprio modo di trattare le donne riconoscendone il
diritto ad essere soggetti delle proprie azioni e dal cambiare il
proprio modo di rivolgersi a Dio perché l'acquisizione
consapevole della «storia» è la più
importante delle «tecniche», quella che permette all'uomo
di maturare anche i propri costumi e la propria fede religiosa. Se i
musulmani non si offendessero, vorrei dire loro che, volendo conservare
lo spirito con il quale venivano offerti a Dio gli agnelli (un
sacrificio perché erano un bene prezioso) oggi bisognerebbe
offrire distruggendoli nei templi automobili, televisori, telefonini...
Insomma, non si può e non si deve attribuire a Dio la
volontà che tutto debba essere osservato «alla
lettera» perché allora non avrebbe fornito l'uomo di
intelligenza e di raziocinio.
E i cosiddetti «fondamentalisti»? Se vogliamo continuare a
dirci la verità, allora dobbiamo riconoscere che le motivazioni
religiose sono state utilizzate quasi sempre per ragioni di potere, di
conquista, di dominio sugli altri popoli. Noi oggi non possiamo
chiudere gli occhi di fronte al fatto che l'Islam vuole conquistare
l'Europa e che le continue rimostranze per tutto quello che
offenderebbe le convinzioni religiose dei musulmani rappresentano
soltanto uno strumento per ridurre sempre di più al silenzio e
al timore di reazioni violente i cittadini europei così da
renderne facile la conquista sia dall'interno, dove giungono a frotte i
clandestini, sia dall'esterno.
A questo punto il problema deve essere preso in mano dai governanti. La
limitazione alla libertà di espressione, di giudizio, di
comportamento non è accettabile sotto nessun punto di vista. Se
si viene meno a questo non sarà più possibile fermarsi
sulla strada dell'accettazione di qualsiasi altra richiesta. Anche
perché il coraggio non sembra in questo momento essere la
più forte delle virtù dell'Occidente. Noi siamo ancora
traumatizzati dalla mancanza di una adeguata reazione all'attacco fatto
ad un discorso del Papa (che ha anch'egli ovviamente diritto alla
libertà d'espressione), una reazione che è mancata
perfino da parte dell'«esercito» del Papa, quel milione e
più fra sacerdoti, monaci e suore che hanno consacrato la loro
vita a Cristo e alla Chiesa. Dove sono? Perché non parlano?
Forse ritengono di dover seguire la linea data dal Papa nel
giustificare le proprie parole, le proprie intenzioni? Se il motivo
è questo, sbagliano, sbagliano gravemente perché
così come l'Islam si presenta forte in quanto appare come un
mondo omogeneo, al di là dei confini degli Stati e delle
nazioni, così i consacrati alla vita religiosa formano, e tali
debbono apparire, un mondo accomunato dalla fede in Cristo pronto a
difenderlo.
Roma,
04-10-06
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