EDITORIALE
Le rivelazioni
del Corriere Economia
di Ida Magli
ItalianiLiberi |
15 Dicembre 2005
Ci
fa piacere far conoscere ai nostri Lettori questo articolo sulla
questione delle monete forti e deboli scritto da un fine analista
finanziario come Geminello Alvi, in quanto vi sonno espressi
chiaramente dei giudizi del tutto negativi sia sull’euro che
sull’Unione europea. In sintesi: i ricchi venditori di petrolio
degli Emirati e qualche altro riccone residente in Russia investono in
dollari. In circa un anno la proporzione dei depositi Opec detenuti in
dollari è cresciuta dal 61,5% al 69,5%; la parte detenuta in
euro è calata dal 24 al 16%. Che l’Unione europea sia un
disegno in fallimento, dopo i referendum, è elementare intuito -
ne deduce Alvi - qualcosa che capiscono anche a Mosca o negli Emirati.
Ma sullo stesso numero del Corriere Economia
c’è anche un altro articolo assai pessimista riguardo al
destino dell’Unione europea, intitolato Unione Europea, divisioni crescenti
e firmato da Ivo Caizzi. Si tratta dell’annosa questione del
bilancio che non si sa come gestire in quanto le spese aumentano, il
numero dei Paesi fra i quali dividerle pure, ma nessuno, e in primis la
Gran Bretagna, vuol rinunciare a quello che gli spetta. Ormai è
a tutti evidente, scrive Caizzi, la grave crisi dello spirito europeo
e, cosa che forse non era stata prevista dai sapientoni del Trattato di
Maastricht, c’è chi se ne infischia (come il ministro
delle finanze tedesco, Peer Steinbrueck) delle minacce della
Commissione e delle sanzioni che dovrebbero essere inflitte a chi viola
il patto di stabilità. Al vertice dei Capi di Stato e di Governo
in svolgimento proprio oggi e domani appare chiaro che bisogna trovare
un accordo non solo sul bilancio ma anche su come arginare il rischio
di tracollo dell’UE.
Bene. Se questo affermano firme famose di un giornale
tanto schierato dalla parte dell’Unione europea da portare fin
dalla nascita dell’euro sulla propria testata la bandiera
dell’Europa, significa che siamo ormai giunti a non poter
più nascondere la verità. Soltanto che l’Unione
europea era un disegno fallimentare fin da quando è stato
progettato e non soltanto adesso dopo i referendum, ed io so bene che
molti ne erano convinti quanto ne ero convinta io. Tuttavia, quando gli
ho chiesto di informare più chiaramente e con il peso della loro
indiscussa competenza i poveri Italiani della falsità di un tale
progetto e del suo inevitabile crollo, mi è stato risposto che
“bisognava aspettare che crollasse da sé”.
Evidentemente erano certi che i politici non avrebbero
rinunciato al loro folle, ma troppo facile disegno di potere imperiale
e che ogni battaglia era inutile. Adesso, però, alla luce anche
delle parole che mi sono state dette allora, posso dedurre che
“sta per crollare”? Ora che il momento sembra venuto,
è necessario però che siano messi in guardia tutti gli
Italiani e non soltanto quelli che hanno dei soldi da investire. □
Roma, 15 Dicembre 2005
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CORRIERE ECONOMIA
Tornano i petrodollari
di Geminello Alvi
Corriere Economia |
12 Dicembre 2005
Il buon senso, da che esistono i soldi,
riconosce ad essi potenti virtù, come mandare l’acqua per
l’in su, far diventare belli i brutti, e guarire persino. Il
potere della fiducia che emana da chi ha i soldi, quando sono veri, la
loro aura insomma seduce, come nel Medioevo riusciva solo alle
reliquie. E come riesce ormai al dollaro che ha vinto la legge di
gravità e fa i miracoli. A Greenspan e a Bush, che se lo
è tenuto accanto sino all’ultimo, è riuscito il
miracolo di vincere persino la gravità di un conto
merci con l’estero che seguita a precipitare. Da gennaio il
dollaro è cresciuto del 16% e del 17% rispetto ad euro e yen. E
questo malgrado siano diminuiti gli acquisti delle banche centrali. Il
dollaro s’è impennato per gli acquisti dei privati, e
mentre il prezzo dell’oro s’accresceva. Altro fatto che
aggiunge miracolo a miracolo, giacché euro e yen si sono
svalutati di un terzo del loro valore rispetto all’oro. E chi
sfigura di più fra i due è l’euro. Moneta da
burocrazia francese, gestita a Francoforte, ma con avarizia e senza
molta maestria, dagli stessi impiegati che vivacchiano a Bruxelles.
Certo anche lo Homeland Investment Act ha
giovato, col ritorno di almeno 214 miliardi di dollari di profitti
prima trattenuti all’estero per ragioni fiscali. Lascia peraltro
già intuire che vasta potenza nascosta, le multinazionali degli
Usa cumulino all’estero. Ma neanche questo sterminato potere di
liquidità sarebbe bastato a invertire un disavanzo del current
account pari al doppio dei criteri di Maastricht. A
decidere sono stati i ricchi arabi e russi, con un calcolo che ha
trasceso le loro fedi e le loro avversioni, e gabbato non pochi. Gli
esportatori di petrolio avevano decine di miliardi di dollari lucrati
in più, da collocare. Si sono andati a vedere i rendimenti reali
a dieci anni. A novembre erano ancora per dollaro, euro e yen, in
ordine decrescente: 2,02%, 1,36 e 0,95. Avvertita tutta la
determinazione con cui gli americani stavano elevando i tassi e i
tentennamenti, e gli indugi da politicanti degli europei, ne hanno
dedotto che l’America conveniva di più. Chi sa fare e ha
il vero potere, i giornali li legge poco, felicitandosi che non parlino
di lui. L’esatto opposto di tanti leader europei, più
vanitosi che potenti o ricchi davvero. Ma che l’Unione europea
sia un disegno in fallimento, dopo i referendum, è elementare
intuito, capirlo anche a Mosca o negli Emirati.
Così persino lo sceicco, magari cugino
o in simpatia con Bin Laden o il guevarista venezuelano si è
convinto. Del resto solo ipocriti o ragazzini in corteo possono negare
che in Medio Oriente gli americani abbiano vinto. E gli sceicchi o i
miliardari russi che amministrano il gas e il petrolio di stato,
avranno pure i loro difetti. Ma non devono imitare Prodi in rincorsa di
Bertinotti. Pertanto si sono dati tutti al revival, che per i
più vecchi era il ritorno al vecchio amore: i petrodollari,
pareggio del disavanzo americano appunto coi prezzi crescenti di gas e
petrolio. In circa un anno la proporzione dei depositi Opec detenuti in
dollari è cresciuto dal 61,5% al 69,5%. E la parte detenuta in
euro è calata dal 24 al 16%. L’America ha vinto. I magnati
russi, di Trichet non si fidano, e neppure gli sceicchi.
Risultato: il petrolio che va su giova al dollaro. E agli Stati Uniti
che da dieci anni stampano dollari e inflazionano l’economia
mondiale si è data la maniera di evolvere a modello di politica
monetaria e di crescita. Un paradosso. Ma solo chi non abbia capito i
soldi, può stupirsene.
E in Cina, tra polli influenzati e operai da
sfruttare, i comunisti non se ne spiacciono. La salute dei loro nervi e
delle banche dipende dal numero di espedienti che devono servire a
tenere lo yuan svalutato. Ma la banca centrale cinese, si
replica, dovrà gonfiarsi di troppi dollari. Non importa, a
decidere non è lei, ma un partito comunista ancora serio, non
come quello dei nostri democratici sinistri. O di quanti lodano
l’euro e la Bce, creatura malnata. Giacché in
Germania accorrerebbero tassi più bassi e invece in
Italia bisognerebbe alzarli per contenere il debito, ma la moneta
unica non lo permette. Il contenimento di disavanzi e debito si affida
tutto a dei criteri stupidissimi, persino a dire di quelli che li hanno
approvati, e peraltro sono già da tutti aggirati. E la Bce ci
aggiunge del suo: aumenta i tassi non a giugno, quando doveva, per la
massima crescita della base monetaria e il decollo del dollaro.
Ma in ritardo, col rischio di importare inflazione svalutando. E
così si trova a rincorrere. Dimostrando quello che purtroppo
è: l’euro così gestito è una reliquia
finta. Quanto al Giappone un dollaro forte è la cura per i
suoi guai da deflazione.
E lo yen non è moneta ancora in poco credibile rodaggio, come invece l’euro. □
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