Lo
sviluppo delle individualità, dall’infanzia all’essere adulti è uno
dei momenti più complessi e fondanti: fondante perché da esso dipende
il futuro di un popolo, dato che ogni popolo, come la persona, ha un
proprio Io; complesso, perché imprevedibile, dato che le relazioni fra
individuo – in quanto organismo bioculturale - e gruppo, nel "tutto
insieme" della cultura sono ancora in parte sconosciute. Nessuno di
noi saprebbe dire fino in fondo perché è così come è.
In questo senso la scuola avrebbe dovuto essere uno dei luoghi più
importanti per dare spazio a questa idea, per liberare in ognuno il
senso della diversità come ricerca nella vita, visto che su di essa si
fondano l’identità e il pensiero.
Nelle scuole, invece, dove insegno peraltro, osservo un disegno
comportamentale generale che mostra un percorso opposto alla
costruzione di un qualsivoglia futuro e i cui contorni coincidono
spesso con l’autodistruzione.
Ovunque si soffermi lo sguardo, ciò che vediamo in Belgio come in
Germania, in Francia o in Italia, sono sempre gli stessi vestiti, le
stesse scarpe e gli stessi cibi, che tutti insieme rivelano non
similitudini, ma omologazione. Si rivelano uguaglianze inquietanti,
ritualità iniziatiche, da cui scaturiscono anelli, spilli e borchie –
che bucano il volto e il corpo dei nostri giovani – “monili”, il cui
uso sottende un primitivismo protestatario senza via d’uscita, se non
quelle dell’odio, che minaccia l’altro da me: ”Stai in guardia! Se
trafiggo il mio corpo, anche il tuo può esserlo!”.
Oppure si utilizzano vestiti rigorosamente neri - come se la vita fosse
un unico lutto – pantaloni, jeans o mimetiche militari che, senza
cintura per simulare un’improbabile povertà, calano inevitabilmente
fin quasi all’altezza del cavallo – come se vestire dovesse negare la
forma e i movimenti del corpo – o magliette così corte da lasciare
scoperto l’ombelico anche d’inverno – e che, nel più vasto processo di
islamizzazione dei paesi europei, fanno eco alle danzatici del ventre
musulmane.
Gli scarponi militari tenuti slacciati e apparentemente indossati per
“comodità”, esprimono, invece, implicitamente il desiderio di
dichiarare guerra a tutti, tranne agli “uguali” che usano lo stesso
codice di riconoscimento.
Al mondo degli adulti, quindi, che progressivamente va allontanandosi
dalla propria corporeità – perché l’Uomo, attraverso il linguaggio, la
scienza e la tecnologia, è ormai giunto al massimo grado di proiezione
al di fuori di sé – si oppone quello dei giovani, il quale, attraverso
il fenomeno del piercing e del tatuaggio, cerca di ancorarsi al
corpo trasformandolo in simbolo. Anche se ognuno di noi fa uso della
tecnologia, nessuno sarebbe in grado di riprodurla al di fuori della
catena di montaggio, il che presuppone una straordinaria mancanza di
controllo sulle cose. La tecnologia fa paura, perché allontana l’Uomo
dalla propria fisicità.
Il modo di vestire, correlato com'è al modo di essere, è un tassello
comportamentale che può mostrare con quanta contraddittorietà oggi
l’idea di libertà viene vissuta dai giovani.
La necessità di “appartenere”, e al tempo stesso “distinguersi” è un
paradosso generato dalla paura di essere soli, in un contesto in cui i
giovani non hanno ancora la forza per inserirsi. Sentimenti, questi,
più forti oggi rispetto al passato.
La moda, soprattutto dal ’68 in poi, testimonia il “benessere-malessere”
in cui le ultime generazioni si sono trovate a vivere, sempre sospese
fra l’uguaglianza del conformismo, necessaria per identificarsi in un
gruppo, e il desiderio di essere diversi.
La libertà, che la moda sembra offrire, in effetti, ha contribuito a
nascondere una libertà assoluta, che si è affermata, proprio come
conseguenza diretta dell’economia a tutti i costi, una delle
conseguenze del comunismo. Il “vestito”, che comunica ribellione non è
più ribelle nel momento in cui, comprato, diviene accessibile a tutti,
perdendo di senso, come se si trattasse di un sacrificio, proprio
perché viene “consumato”. Non solo il “vestito”, anche la libertà e la
ribellione sono inutili perché sacrificate nel momento dell’acquisto:
dipendiamo dal denaro come valore assoluto e non più da noi stessi.
Per questo non siamo più liberi. La libertà di acquistare tutto e
sempre è solo una nuova forma di dittatura, più subdola perché
difficilmente riconoscibile a chi è permessa la massima libertà che
non ha più confini ma un unico limite, non più lingue ma un’unica
parola (ma quale?), non più regole “vecchie” ma nuove regole in
realtà più rigide, non più dominatori ma un unico dominatore.
Comprare un motorino, acquistare un cellulare, avere la tuta mimetica
alla moda è solo libertà apparente – una delle armi nelle mani dei
potenti dell’unione europea che hanno deciso di donare l’Occidente ai
musulmani - un’apparenza che ha permesso di allargare le maglie fra
le regole quando quest’ultime erano espressione di valori forti, ma
che ormai plasmano la cultura occidentale sempre più debolmente,
permettendo ad altre culture di inserirsi con facilità.
L’infibulazione "soft" proposta in Toscana, dove vive una delle
comunità islamiche più grandi in Italia, è solo l’inizio: venti anni
fa nessuno avrebbe immaginato il fenomeno del piercing di
oggi. Ma se nel caso del piercing il corpo diviene simbolo
“esteticamente” apprezzabile per i maschi occidentali, così come il
corpo delle donne infibulate per i maschi musulmani, cosa dobbiamo
aspettarci per il prossimo futuro, che anche le donne italiane si
faranno infibulare?
La realtà culturale islamica è incompatibile con quella laica d’Occidente
poiché, dietro apparenze “pacifiche”, l’obbiettivo è quello di
conquistarci. Ma questo già si sa. Quello che sembra essere stato
dimenticato è che la forza dell’Uomo, lontana dalle influenze o
distorsioni ritualistiche tipiche delle religioni (l’uso di tatuaggi e
piercing era appannaggio di sciamani, stregoni, guerrieri)
consiste nella possibilità di creare una propria realtà vitale con l’altro
da noi.
Cos’è l’intelligenza, non misurabile in nessun modo, se non quel
complesso insieme di molte parti generosamente presenti nella singola
personalità di un individuo?
Di fronte al “nemico” che si sta avvicinando, proprio quello islamico,
destinato col tempo a divenire sempre più incombente, abbiate il
coraggio di dire ai nostri giovani che la realtà è anche questo, che
le “sventure” esistono, invece di abbandonarli a protestare al pari di
chi è avvolto da un chiasmo senza forma, senza senso, senza luce,
semplicemente in attesa della morte e in taluni casi rendendola
addirittura “estetica”.
A questo punto, un dubbio vorrei assillasse i nostri giorni, come quello
di Eracle nella omonima tragedia di Euripide; quando, nel dichiarare
il senso dell’Uomo nel Mondo, dice che Noi tutti siamo vittime del
destino voluto dagli dei, ma, come in un urlo di ribellione agli
stessi dei, in alternativa al suicidio, afferma che: “[…] colui che
non sa opporsi alle sventure, non saprebbe nemmeno tenere fronte alle
armi di un nemico”. □ |