le mode, i linguaggi, i simboli, l'esigenza di identità
Quale futuro per i nostri giovani?

 

di Raffaello Volpe
ItalianiLiberi | 20 Febbraio 2004

 

  Lo sviluppo delle individualità, dall’infanzia all’essere adulti è uno dei momenti più complessi e fondanti: fondante perché da esso dipende il futuro di un popolo, dato che ogni popolo, come la persona, ha un proprio Io; complesso, perché imprevedibile, dato che le relazioni fra individuo – in quanto organismo bioculturale -  e gruppo, nel "tutto insieme" della cultura sono ancora in parte sconosciute. Nessuno di noi saprebbe dire fino in fondo perché è così come è.
  In questo senso la scuola avrebbe dovuto essere uno dei luoghi più importanti per dare spazio a questa idea, per liberare in ognuno il senso della diversità come ricerca nella vita, visto che su di essa si fondano l’identità e il pensiero.
  Nelle scuole, invece, dove insegno peraltro, osservo un disegno comportamentale generale che mostra un percorso opposto alla costruzione di un qualsivoglia futuro e i cui contorni coincidono spesso con l’autodistruzione.
  Ovunque si soffermi lo sguardo, ciò che vediamo in Belgio come in Germania, in Francia o in Italia, sono sempre gli stessi vestiti, le stesse scarpe e gli stessi cibi, che tutti insieme rivelano non similitudini, ma omologazione. Si rivelano uguaglianze inquietanti, ritualità iniziatiche, da cui scaturiscono anelli, spilli e borchie – che bucano il volto e il corpo dei nostri giovani – “monili”, il cui uso sottende un primitivismo protestatario senza via d’uscita, se non quelle dell’odio, che minaccia l’altro da me: ”Stai in guardia! Se trafiggo il mio corpo, anche il tuo può esserlo!”.
  Oppure si utilizzano vestiti rigorosamente neri - come se la vita fosse un unico lutto – pantaloni, jeans o mimetiche militari che, senza cintura per simulare un’improbabile povertà, calano inevitabilmente fin quasi all’altezza del cavallo – come se vestire dovesse negare la forma e i movimenti del corpo – o magliette così corte da lasciare scoperto l’ombelico anche d’inverno – e che, nel più vasto processo di islamizzazione dei paesi europei, fanno eco alle danzatici del ventre musulmane.
  Gli scarponi militari tenuti slacciati e apparentemente indossati per “comodità”, esprimono, invece, implicitamente il desiderio di dichiarare guerra a tutti, tranne agli “uguali” che usano lo stesso codice di riconoscimento.
  Al mondo degli adulti, quindi, che progressivamente va allontanandosi dalla propria corporeità – perché l’Uomo, attraverso il linguaggio, la scienza e la tecnologia, è ormai giunto al massimo grado di proiezione al di fuori di sé – si oppone quello dei giovani, il quale, attraverso il fenomeno del piercing e del tatuaggio, cerca di ancorarsi al corpo trasformandolo in simbolo. Anche se ognuno di noi fa uso della tecnologia, nessuno sarebbe in grado di riprodurla al di fuori della catena di montaggio, il che presuppone una straordinaria mancanza di controllo sulle cose. La tecnologia fa paura, perché allontana l’Uomo dalla propria fisicità.
  Il modo di vestire, correlato com'è al modo di essere, è un tassello comportamentale che può mostrare con quanta contraddittorietà oggi l’idea di libertà viene vissuta dai giovani.
  La necessità di “appartenere”, e al tempo stesso “distinguersi” è un paradosso generato dalla paura di essere soli, in un contesto in cui i giovani non hanno ancora la forza per inserirsi. Sentimenti, questi, più forti oggi rispetto al passato.
  La moda, soprattutto dal ’68 in poi, testimonia il “benessere-malessere” in cui le ultime generazioni si sono trovate a vivere, sempre sospese fra l’uguaglianza del conformismo, necessaria per identificarsi in un gruppo, e il desiderio di essere diversi.
  La libertà, che la moda sembra offrire, in effetti, ha contribuito a nascondere una libertà assoluta, che si è affermata, proprio come conseguenza diretta  dell’economia a tutti i costi, una delle conseguenze del comunismo. Il “vestito”, che comunica ribellione non è più ribelle nel momento in cui, comprato, diviene accessibile a tutti, perdendo di senso, come se si trattasse di un sacrificio, proprio perché viene “consumato”. Non solo il “vestito”, anche la libertà e la ribellione sono inutili perché sacrificate nel momento dell’acquisto: dipendiamo dal denaro come valore assoluto e non più da noi stessi. Per questo non siamo più liberi. La libertà di acquistare tutto e sempre è solo una nuova forma di dittatura, più subdola perché difficilmente riconoscibile a chi è permessa la massima libertà che non ha più confini ma un unico limite, non più lingue ma un’unica parola (ma quale?), non più regole “vecchie”  ma nuove regole in realtà più rigide, non più dominatori ma un unico dominatore.
  Comprare un motorino, acquistare un cellulare, avere la tuta mimetica alla moda è solo libertà apparente – una  delle armi nelle mani dei potenti dell’unione europea che hanno deciso di donare l’Occidente ai musulmani  - un’apparenza che ha permesso di allargare le maglie fra le regole quando quest’ultime erano espressione di valori forti, ma che ormai plasmano la cultura occidentale sempre più debolmente, permettendo ad altre culture di inserirsi con facilità.
  L’infibulazione "soft" proposta in Toscana, dove vive una delle comunità islamiche più grandi in Italia, è solo l’inizio: venti anni fa nessuno avrebbe immaginato il fenomeno del  piercing di oggi. Ma se nel caso del piercing il corpo diviene simbolo “esteticamente” apprezzabile per i maschi occidentali, così come il corpo delle donne infibulate per i maschi musulmani, cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro, che anche le donne italiane si faranno infibulare?
  La realtà culturale islamica è incompatibile con quella laica d’Occidente poiché, dietro apparenze “pacifiche”, l’obbiettivo è quello di conquistarci. Ma questo già si sa. Quello che sembra essere stato dimenticato è che la forza dell’Uomo, lontana dalle influenze o distorsioni ritualistiche tipiche delle religioni (l’uso di tatuaggi e piercing era appannaggio di sciamani, stregoni, guerrieri) consiste nella possibilità di creare una propria realtà vitale con l’altro da noi.
  Cos’è l’intelligenza, non misurabile in nessun modo, se non quel complesso insieme di molte parti generosamente presenti nella singola personalità di un individuo?
  Di fronte al “nemico” che si sta avvicinando, proprio quello islamico, destinato col tempo a divenire sempre più incombente, abbiate il coraggio di dire ai nostri giovani che la realtà è anche questo, che le “sventure” esistono, invece di abbandonarli a protestare al pari di chi è avvolto da un chiasmo senza forma, senza senso, senza luce, semplicemente in attesa della morte e in taluni casi rendendola addirittura “estetica”.
  A questo punto, un dubbio vorrei assillasse i nostri giorni, come quello di Eracle nella omonima tragedia di Euripide; quando, nel dichiarare il senso dell’Uomo nel Mondo, dice che Noi tutti siamo vittime del destino voluto dagli dei, ma, come in un urlo di ribellione agli stessi dei, in alternativa al suicidio, afferma che: “[…] colui che non sa opporsi alle sventure, non saprebbe nemmeno tenere fronte alle armi di un nemico”. □

 

 

 

 

 
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