Ma Ciampi
che giornali leggerà la mattina, su nella reggia di Monte Cavallo? Non
ha dintorno qualche “bravo giovine”, come avrebbe detto Pertini, che
gli prepari un po’ di rassegna della stampa estera? E sì che dispone
di (in ordine di apparizione) un Segretario Generale Consigliere di
Stato , un Vice Segretario Generale e Direttore dell’Ufficio della
Segreteria Generale, un Consigliere per le Relazioni Esterne, un
Consigliere Capo della Segreteria del Presidente, un Consigliere
Direttore dell’Ufficio per la Stampa e l’Informazione, un Segretario
Particolare del Presidente. Lo informassero, dunque: non esiste
nazione dell’Unione europea dove il costo della vita non sia aumentato
a dismisura solo ed esclusivamente per effetto dell’introduzione
dell’euro. Punto.
Invece, a leggere un colloquio col capo dello Stato apparso ieri sul
Messaggero, «sui benefici dell’euro il Presidente non ha dubbi
e non condivide le critiche di chi in seno al governo si serve degli
aumenti di prezzi per mettere sotto accusa la moneta unica».
Dichiarazione testuale di Ciampi: «Il recente aumento dei prezzi è
avvenuto in Italia ma non in Europa. E dunque non può essere
attribuito all’euro».
Anche chi non ha studiato per diventare fine politologo capisce qual è la
partita che si sta giocando sull’argomento, se i prezzi sono aumentati
soltanto in Italia, significa che non è colpa dell’euro, quindi di
Romano Prodi, bensì è colpa del governo che non riesce a tenerli sotto
controllo, quindi di Silvio Berlusconi.
Allora vediamo di aggiornarla noi, signor Presidente. «I francesi
delusi dall’euro», titola Le Nouvel Observateur nel numero
del 15 gennaio. Fonte non sospetta: il settimanale francese tira a
sinistra e vanta tra i suoi ispiratori nientemeno che Jacques Delors,
colui che è stato definito «il santo patrono d’ Europa», già
presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995. La stroncatura
della moneta unica è senza appello, avvalorata da un’indagine
demoscopica della Sofres (Société francaise de recherche d’estimation
et de sondage): «Carton ruoge pour l’euro». Occorre la
traduzione ? Il 95% del campione interpellato sostiene che l’euro ha
fatto aumentare i prezzi. Domanda: a vostro avviso chi ha più
approfittato dell’adozione dell’euro ? Il 56% ha risposto: «I mercati
finanziari». L’1% «I cittadini». Talché, a una successiva domanda, il
56% ha sbrigativamente concluso che l’arrivo dell’euro è stato «una
brutta cosa» per i francesi.
Passiamo in Germania. Stessa settimana. Stern mette in copertina:
«Due anni di euro: la verità sui prezzi» un’etichetta – euro 1 –
appiccicata sopra un’altra etichetta DM 1 – mentre una giovane signora
guarda perplessa il giochetto di prestigio che avviene sopra la sua
testa. Trasparente il concetto; anche lì, come in Italia, i
commercianti hanno fatto il cambio uno a uno, mille lire uguale un
euro (che invece ne vale quasi 2mila, di lire). Il marco veniva
appunto cambiato intorno alle mille lire. Del resto il pasticciere
messinese Sergio Billè, presidente della Confcommercio, nel recente
passato ha ammesso onestamente: «In Italia esistono piccoli e grandi
furbi nella distribuzione e nella produzione». Non si offendano i
signori commercianti, ma già nel ‘700 l’economista Adam Smith aveva
osservato che raramente la gente dello stesso mestiere si ritrova
insieme senza che la conversazione sfoci in un qualche espediente per
far alzare i prezzi. Mi pare evidente che questa predisposizione
genetica dei negozianti sia andata peggiorando nei successivi due
secoli.
«All’euro dovrebbe essere conferito l’Oscar come miglior attore per aver
recitato, mentendo clamorosamente, la parte di chi non ha portato con
sé alcun rincaro», scrive Stern. «In realtà gli aumenti ci sono
stati, eccome, e in alcuni casi hanno superato il 100 per cento».
Sotto l’immagine di un borsellino strappato, da cui scivola fuori la
nuova moneta europea, il settimanale tedesco passa in rassegna ben 100
prodotti di largo consumo.
Ketchup Heinz da 1,32 marchi a 2,49 euro, un aumento dell’88,6% (sarà
contenta la moglie di John Kerry, prossimo candidato democratico alla
Casa Bianca, che lo produce). Ma anche l’italianissima Nutella è
rincarata dell’88,1%. E la colla Pritt in stick, prodotta in Germania,
del 65,2%, tanto che sabato scorso, al supermercato, io stesso mi sono
rifiutato ad acquistarla ai miei figli, avendo scoperto che costa 159
euro il chilo, tre volte più del filetto di manzo: la Coccoina col
pennellino viene un decimo e gli andrà benissimo.
Stern riferisce che se prima la signora di Friburgo – il corrispettivo
teutonico della casalinga di Voghera, par di capire – riusciva a farsi
la cotonatura nel Friseursalon Habich con 17 marchi, adesso deve
scucire 16,50 euro, cioè il 90% in più. Si comprende perché l’euro sia
stato ribattezzato dai tedeschi Teuro, per assonanza con l’aggettivo
teuer, caro.
Andiamo in Spagna. El País,
quotidiano progressista, ha pubblicato questa lettera di Rubén
Escalona: «”Attenzione! 50 euro non sono 5000 pesetas”, gridava il
pappagallo di plastica degli spot televisivi che annunciavano in
Spagna l’avvento dell’euro. Due anni dopo, bisogna ammettere che anche
se 50 euro non sono 5000 pesetas, hanno di fatto lo stesso valore. Il
cambio ufficiale non è coerente con l’evoluzione dei prezzi. Non è
necessario moltiplicare o dividere per 166,386 per avere l’equivalenza
tra le due monete: senza divisione i conti risultano molto più
veritieri. Com’è possibile che il caffè che prima costava 100 pesetas
(0,6 euro), ora costi un euro ? E che il filone di pane da 60 pesetas
costi ora 60 centesimi ? Quello spot non ha senso: mentivano».
Per avere il polso di un Paese, a volte basta solo leggere la rubrica
delle lettere sui giornali. □ |