Non c'è euro senza spine

 

di Stefano Lorenzetto
il Giornale | 2 Marzo 2004

 

  Ma Ciampi che giornali leggerà la mattina, su nella reggia di Monte Cavallo? Non ha dintorno qualche “bravo giovine”, come avrebbe detto Pertini, che gli prepari un po’ di rassegna della stampa estera? E sì che dispone di (in ordine di apparizione) un Segretario Generale Consigliere di Stato , un Vice Segretario Generale e Direttore dell’Ufficio della Segreteria Generale, un Consigliere per le Relazioni Esterne, un Consigliere Capo della Segreteria del Presidente, un Consigliere Direttore dell’Ufficio per la Stampa e l’Informazione, un Segretario Particolare del Presidente. Lo informassero, dunque: non esiste nazione dell’Unione europea dove il costo della vita non sia aumentato a dismisura solo ed esclusivamente per effetto dell’introduzione dell’euro. Punto.
  Invece, a leggere un colloquio col capo dello Stato apparso ieri sul Messaggero, «sui benefici dell’euro il Presidente non ha dubbi e non condivide le critiche di chi in seno al governo si serve degli aumenti di prezzi per mettere sotto accusa la moneta unica». Dichiarazione testuale di Ciampi: «Il recente aumento dei prezzi è avvenuto in Italia ma non in Europa. E dunque non può essere attribuito all’euro».
  Anche chi non ha studiato per diventare fine politologo capisce qual è la partita che si sta giocando sull’argomento, se i prezzi sono aumentati soltanto in Italia, significa che non è colpa dell’euro, quindi di Romano Prodi, bensì è colpa del governo che non riesce a tenerli sotto controllo, quindi di Silvio Berlusconi.
  Allora vediamo di aggiornarla noi, signor Presidente. «I francesi delusi dall’euro», titola Le Nouvel Observateur nel numero del 15 gennaio.  Fonte non sospetta: il settimanale francese tira a sinistra e vanta tra i suoi ispiratori nientemeno che Jacques Delors, colui che è stato definito «il santo patrono d’ Europa», già presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995. La stroncatura della moneta unica è senza appello, avvalorata da un’indagine demoscopica della Sofres (Société francaise de recherche d’estimation et de sondage): «Carton ruoge pour l’euro». Occorre la traduzione ? Il 95%  del campione interpellato sostiene che l’euro ha fatto aumentare i prezzi. Domanda: a vostro avviso chi ha più approfittato dell’adozione dell’euro ? Il 56% ha risposto: «I mercati finanziari». L’1% «I cittadini». Talché, a una successiva domanda, il 56% ha sbrigativamente concluso che l’arrivo dell’euro è stato «una brutta cosa» per i francesi.
  Passiamo in Germania. Stessa settimana. Stern mette in copertina: «Due anni di euro: la verità sui prezzi» un’etichetta – euro 1 – appiccicata sopra un’altra etichetta DM 1 – mentre una giovane signora guarda perplessa il giochetto di prestigio che avviene sopra la sua testa. Trasparente il concetto; anche lì, come in Italia, i commercianti hanno fatto il cambio uno a uno, mille lire uguale un euro (che invece ne vale quasi 2mila, di lire). Il marco veniva appunto cambiato intorno alle mille lire. Del resto il pasticciere messinese Sergio Billè, presidente della Confcommercio, nel recente passato ha ammesso onestamente: «In Italia esistono piccoli e grandi furbi nella distribuzione e nella produzione». Non si offendano i signori commercianti, ma già nel ‘700 l’economista Adam Smith aveva osservato che raramente la gente dello stesso mestiere si ritrova insieme senza che la conversazione sfoci in un qualche espediente per far alzare i prezzi. Mi pare evidente che questa predisposizione genetica dei negozianti sia andata peggiorando nei successivi due secoli.
  «All’euro dovrebbe essere conferito l’Oscar come miglior attore per aver recitato, mentendo clamorosamente, la parte di chi non ha portato con sé alcun rincaro», scrive Stern. «In realtà gli aumenti ci sono stati, eccome, e in alcuni casi hanno superato il 100 per cento». Sotto l’immagine di un borsellino strappato, da cui scivola fuori la nuova moneta europea, il settimanale tedesco passa in rassegna ben 100 prodotti di largo consumo.
  Ketchup Heinz da 1,32 marchi a 2,49 euro, un aumento dell’88,6% (sarà contenta la moglie di John Kerry, prossimo candidato democratico alla Casa Bianca, che lo produce). Ma anche l’italianissima Nutella è rincarata dell’88,1%. E la colla Pritt in stick, prodotta in Germania, del 65,2%, tanto che sabato scorso, al supermercato, io stesso mi sono rifiutato ad acquistarla ai miei figli, avendo scoperto che costa 159 euro il chilo, tre volte più del filetto di manzo: la Coccoina col pennellino viene un decimo e gli andrà benissimo.
  Stern riferisce che se prima la signora di Friburgo – il corrispettivo teutonico della casalinga di Voghera, par di capire – riusciva a farsi la cotonatura nel Friseursalon Habich con 17 marchi, adesso deve scucire 16,50 euro, cioè il 90% in più. Si comprende perché l’euro sia stato ribattezzato dai tedeschi Teuro, per assonanza con l’aggettivo teuer, caro.
  Andiamo in Spagna.
El Pa
ís, quotidiano progressista, ha pubblicato questa lettera di Rubén Escalona: «”Attenzione! 50 euro non sono 5000 pesetas”, gridava il pappagallo di plastica degli spot televisivi che annunciavano in Spagna l’avvento dell’euro. Due anni dopo, bisogna ammettere che anche se 50 euro non sono 5000 pesetas, hanno di fatto lo stesso valore. Il cambio ufficiale non è coerente con l’evoluzione dei prezzi. Non è necessario moltiplicare o dividere per 166,386 per avere l’equivalenza tra le due monete: senza divisione i conti risultano molto più veritieri. Com’è possibile che il caffè che prima costava 100 pesetas (0,6 euro), ora costi un euro ? E che il filone di pane da 60 pesetas costi ora 60 centesimi ? Quello spot non ha senso: mentivano».
  Per avere il polso di un Paese, a volte basta solo leggere la rubrica delle lettere sui giornali.

 

 

 

 

 
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