IL CASO TOSCANA
No
all'infibulazione soft
Rispetto per le nostre leggi
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di Ida Magli
il Giornale
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23 Gennaio 2004 |
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Nella
democraticissima Firenze guidata da una giunta politicamente corretta
di sinistra, nel cuore della Toscana che vanta un governatore vicino
ai no global e sempre attento ai diritti delle minoranze, in questi
giorni si sta accarezzando un'ipotesi senza senso: un'infibulazione
"dolce" da praticare sulle immigrate in ospedale, sotto il patrocinio
della sanità regionale.
Quando nel 1974 uscì il mio libro “La donna un problema aperto“,
gli Italiani seppero per la prima volta dell’esistenza di una
mutilazione devastante per milioni di donne: la clitoridectomia e
l’infibulazione (dal latino fibula, fermaglio). Se mi sono
permessa di citare questo dato è perché fino ad allora gli unici che
ne erano a conoscenza erano i missionari, gli etnologi e, nelle zone
dell’Africa dove esisteva qualche piccolo ospedale occidentalizzato,
anche i medici. Nessuno, però, aveva parlato. Nelle enciclopedie
etnologiche e in quelle di storia delle religioni l’operazione
figurava (e spesso figura ancor oggi) sotto la voce “circoncisione
femminile”, cosa grottesca visto che le donne non possiedono il
prepuzio e che si tratta di una mutilazione di una gravità che non ha
confronto con quella maschile. Se con l’avvento delle antropologhe
donne è stato rotto il silenzio, continua però il tentativo di
attutire davanti all’opinione pubblica l’orrore che non può non
provocare la trasformazione chirurgica del corpo femminile in un corpo
chiuso. E’ questo infatti lo scopo cui si vuole giungere asportando
una parte delle grandi labbra, le piccole labbra e il clitoride: poter
riunire i lembi dei tessuti con l’eliminazione di qualsiasi sporgenza.
Il piccolissimo foro che viene lasciato per il deflusso del sangue
mestruale e dell’orina, molto spesso insufficiente ad impedire
ristagni e gravi infezioni, è soltanto una inderogabile necessità, ma
quello che conta è la “chiusura”. Per quanto possa apparirci
mostruoso, dobbiamo cercare di comprendere il senso di una operazione
così aberrante e che comporta conseguenze gravissime per tutta la vita
presso popolazioni, come quelle africane, dove il massimo compito
delle donne è la procreazione. La chiusura impedisce, infatti, il
passaggio della testa del bambino, obbligando quindi quasi sempre a
tagliare al primo e ad ogni parto visto che di solito il marito o il
padre, chiede all’operatore di “ricucire” la partoriente.
Prima di tutto bisogna convincersi che sono gli uomini ad avere
“inventato” questa trasformazione del corpo femminile, e che se le
donne, le madri, si preoccupano di farla eseguire è perché le ragazze
non troverebbero marito. Perfino le nostre missionarie, in tutti gli
anni nei quali hanno tenuto collegi ed orfanotrofi in Somalia, in
Etiopia e in altri paesi africani, si sono decise a fare operare le
bambine negli ospedali italiani (con le garanzie quindi della
chirurgia) altrimenti sarebbero state condannate alla prostituzione.
E’ difficile anche sapere quante siano perché in molti paesi, non
soltanto non c’è un’anagrafe efficiente, ma si tende a tenere nascosta
la morte, spesso dovuta al tetano per l’infibulazione, così che
l’Organizzazione mondiale della Sanità cerca di fare un computo
incrociando le cifre delle nascite fra maschi e femmine in quanto
statisticamente è più alta la mortalità dei maschi.
Purtroppo invece molte femmine mancano all’appello (anche perché è più
frequente l’infanticidio femminile). Comunque siamo intorno ai 150
milioni.
Dunque: qual è il motivo? Scartiamo quelli proposti da etnologi e
antropologi propensi a rendere analoghi i riti che riguardano le donne
a quelli che riguardano gli uomini, e che hanno parlato d’iniziazione
femminile. “Iniziazione al matrimonio” con una operazione che rende
difficilissimo il coito, con grave pericolo di infezioni anche per il
partner, e che mette a rischio la procreazione? Oppure: presso
popolazioni dove gli uomini si allontanano per lunghi periodi di
caccia, impedire il possesso sessuale da parte di altri uomini. C’è
troppo disprezzo e troppa faciloneria; ma soprattutto è evidente il
disagio dei “maschi” nei confronti di un costume così tragico e che
riguarda la sessualità. Prendiamo in considerazione, invece, quello
che dicono, semplicemente, nel suo significato apparente, le donne
stesse: il loro corpo è così più bello per l’uomo che le sposerà. “Più
bello”… il corpo femminile è un corpo pieno di trascendenza,
attraverso il quale giunge sulla terra il nuovo nato, rappresentante
del padre nell’aldilà e che gli garantisce che quel posto per lui c’è,
che la strada fra il cielo e la terra è aperta per lui. Tanto più il
corpo femminile è “corridoio”, canale di comunicazione con il mondo
della morte e della vita dopo la morte, tanto più è pieno di mistero,
è potente, è pericoloso, fa paura. Bisogna quindi che il maschio ne
abbia pieno controllo, aprendone e chiudendone l’apertura (più piccola
possibile) dove nessun mistero lo possa aggredire.
E veniamo a noi. Proprio perché non possiamo considerarla
un’operazione senza senso (è il problema del delirio di gruppo che, in
quanto appartiene a molti, non può essere definito delirio, come
avverrebbe invece se fosse un solo marito a cucire il corpo della
moglie) dobbiamo fare soltanto quello che è giusto per noi, nel nostro
mondo: nessuna mutilazione, né grande né piccola né simbolica. I
musulmani debbono sapere, con assoluta certezza, attraverso tutti i
mezzi di diffusione e senza discussioni, che, vivendo in Italia, sono
obbligati alle leggi italiane. I medici, inoltre, sono tenuti a
denunciare tutti i casi di infibulazione dei quali vengono a
conoscenza dato che spesso le bambine vengono mutilate di nascosto,
oppure portate appositamente in Africa e poi ricondotte in Italia. Non
si pensi che le maniere morbide siano utili, proprio perché a questa
operazione sono sottesi significati profondi e quasi del tutto
inconsci. Perfino l’Egitto, che pure ha provato diverse volte a
mettere l’infibulazione fuori legge, non è riuscito ad eliminarla. Noi
ci aspettiamo che almeno in questo caso tutti gli uomini e tutte le
donne italiane siano d’accordo a dire: NO.
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NOTA AGGIUNTIVA
Nei vari commenti che sono stati fatti in questi giorni sulla questione
dell'infibulazione, si è rivelata, in modo stupefacente, la volontà di
non coinvolgervi gli uomini, i "maschi". In modo stupefacente e
tuttavia ovvio, come se fosse naturale e scontato che il corpo
sessuato femminile, la mutilazione dei suoi genitali, la
trasformazione dell'"apertura" per l'ingresso del pene e per l'uscita
del bambino in "chiusura" che garantisce al marito un possesso privo
di pericoli, non dipenda dal suo volere, dall'estetica della sua
libido, dalla concretizzazione dei suoi ordini.
Dunque, invece di chiamare i maschi musulmani, di interrogare e di
studiare i loro bisogni fantasmatici, si sono viste e sentite, nei
dibattiti radiofonici e televisivi, soltanto donne, cui i giornalisti,
maschi o femmine che fossero, hanno addossato (sì, sì, non
comprensione e tolleranza piena di delicatezza) la colpa di voler a
tutti i costi sottoporre le loro figlie all'infibulazione. Povere
donne! Sono così attaccate ad una così antica tradizione che non si
riesce a convincerle a rinunciarvi!
Tutto questo nella cultura islamica dove gli uomini sono padroni e
detentori di ogni potere e, come afferma il Corano: "Gli uomini
sono superiori alle donne... gli uomini hanno su di esse un grado di
superiorità" (II, Sûra della vacca, ed. Hoepli, Milano 1987).
Dunque perché, invece di fare i salti mortali per convincere le donne,
non si chiamano: un padre, un marito, un imâm? E' sufficiente che essi
diano l'ordine: le donne saranno obbligate ad obbedire. Ma questa è la
verità, con la quale non si vuole avere a che fare: la sessualità
maschile. La sessualità di quel maschio che è stato capace di ridurre
il corpo della donna a trasformarsi secondo le sue paure, seviziandolo
proprio quando lo sceglie come suo (le prostitute non gli appartengono
e sfuggono perciò all'infibulazione) nessuno la vuole guardare in
faccia, nessuno la vuole conoscere. Sì, è il Pene il vero mistero, un
tabù che anche nel nostro mondo non si riesce ad infrangere.
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