Tutti ci siamo
domandati, qualche volta, negli anni della leadership di Berlinguer,
dove fosse collocato il suo carisma, da dove provenisse la forza che
si percepiva nel suo parlare scarno e lento, nella sua stessa fisicità
che somigliava tanto al suo linguaggio. Una domanda che diventava
ancor più assillante di fronte al fatto che gli uomini politici
italiani, in quanto uomini, non suscitano nessun interesse, e, tolti
dal loro ruolo, non esistono come persone agli occhi della gente.
La caratteristica del tutto singolare di Berlinguer era appunto
questa: si percepiva in lui la ritrosia a rivelarsi, in quanto
politico, come “persona” e al tempo stesso la sua persona nell’essere
un “politico”. Si manifestava perciò in lui con straordinaria
chiarezza il nucleo più profondo di ciò che forma il mistero
dell’individuo: essere tanto più inconoscibile ed inafferrabile nella
sua unicità, quanto più è autentico, quando non si “rappresenta”, nel
manifestarsi agli altri. E’ stato proprio questo aspetto a rivelarsi
nell’adesione così profonda al dolore per la sua morte. Il “mistero”
che si coglieva in lui era la forza del suo carisma, la potenza
“trascendente” che ha scatenato ai suoi funerali la dinamica del
sacro. Ovviamente tutto questo non ha niente a che fare con la
religione; le religioni si fondano su forze di questo genere ma non
sono queste forze, proprio perché, nel momento in cui rispondono,
spiegandolo, al “mistero” dell’uomo, lo privano del suo connotato
essenziale: essere sempre al di là di se stesso, nella tensione verso
la ricerca, nella forza morale che ne scaturisce.
Tensione verso la ricerca, forza morale che ne scaturisce: non era
questo Berlinguer? Due aspetti che sembrano essersi intensificati in
lui col passare degli anni, di fronte ai problemi posti alla sua
coscienza politica da due fenomeni che non riusciva a capire del
tutto: l’involuzione etica di una società democratica come quella
italiana e il problema delle donne. Si può dire che in un certo senso
il suo rispetto aumentava di fronte a quello che non gli era chiaro,
tanto da sviluppare una sorta di colloquio introverso, di riflessione
sul “dubbio”, un impaccio quasi fisico che la gente percepiva con
tenerezza.
Le donne non hanno trovato in nessun uomo politico italiano una
così autentica perplessità sui loro problemi. Berlinguer era
“sorpreso” di fronte al femminismo perché lo turbava il fatto che
l’ingiustizia, la sopraffazione, la disuguaglianza avessero potuto
esistere sotto ai suoi occhi senza che lui, democratico e comunista,
se ne fosse reso conto; così come, del resto, era sorpreso con una
forma quasi di ingenuità, di fronte al fatto che potesse venir meno
l’etica politica in una democrazia.
Il “sospetto” che questi due fenomeni avevano generato nella sua
coscienza, il dubbio che anche chi è autenticamente democratico,
comunista, potesse non cogliere la disuguaglianza, l’ingiustizia, si
percepiva così fortemente negli ultimi anni da destare, in tutti
coloro che gli si avvicinavano, un senso di fiducia, di sicurezza,
malgrado le sue caparbietà; quasi il desiderio di consolarlo, di
proteggerlo da una sofferenza troppo forte, da una delusione ingiusta
per lui.
Il femminismo lo metteva a disagio, in profondità, perché sentiva
bene di non avere, negli strumenti usuali della democrazia, il modo
per risolverlo. Ma era l’unico ad esserne consapevole. (E per questo
era autoritario nell’imporre che donne fossero elette a tutti i costi
nelle votazioni). L’esitazione, la perplessità con le quali, pur
pronunciando le parole ovvie che tutti i partiti adoperano nei
confronti delle donne, guardava al problema, erano fortissime e si
coglievano nel fatto che non riusciva a sottrarsi come “maschio” al
dubbio che suscitava in lui. In realtà Berlinguer si rendeva conto che
cambiare la posizione delle donne significava cambiare totalmente la
società: non si trattava di inserire nel modello un fattore
aggiuntivo; il modello era “”sbagliato”. Per questo era esitante… Ma
se ne sentiva in colpa, tanto che ogni donna che ha avuto l’occasione
di un contatto, ha percepito la sincerità del suo disagio, del suo
“rimorso”.
Berlinguer era diventato, perciò, sempre più “giovane”, man mano
che la vita politica italiana si induriva, si ottundeva nella perdita
di qualsiasi sensibilità etica, in una lotta per il potere sempre più
bassa. Giovane nell’angoscia, come è “giovane” chi si accorge che il
mondo non è quello che sperava, quello per il quale ha lavorato e
combattuto. La sua caparbietà, la sua ostinazione, erano appunto il
suo modo di essere giovane nella speranza, il suo modo di “credere”,
anche quando l’evidenza gli era contro. Il sentimento di dolore, di
sorpresa, di “ingiustizia” che di fronte alla sua morte ha
attraversato, sconvolgendoli, tutti gli italiani, era appunto
l’incapacità ad accettare la morte dei “giovani”, di quelli in cui la
società spera perché, proprio in quanto giovani, non sono induriti
dalla vita e dall’esperienza.
Dire che
Berlinguer non era un “professionista” della politica, è dire una cosa
banale. Ma è profondamente vero che, con la sua morte, gli italiani
hanno capito di essere consegnati ormai alla “macchina” implacabile
della politica, una macchina in cui, senza la tensione degli uomini,
anche nel sistema democratico si diventa oggetto e strumento. □ |