Gli anni di Berlinguer
Un uomo nella politica

 

di Ida Magli
Critica Marxista | n. 2-3, 1985

 
 

          

    Tutti ci siamo domandati, qualche volta, negli anni della leadership di Berlinguer, dove fosse collocato il suo carisma, da dove provenisse la forza che si percepiva nel suo parlare scarno e lento, nella sua stessa fisicità che somigliava tanto al suo linguaggio. Una domanda che diventava ancor più assillante di fronte al fatto che gli uomini politici italiani, in quanto uomini, non suscitano nessun interesse, e, tolti dal loro ruolo, non esistono come persone agli occhi della gente.    La caratteristica del tutto singolare di Berlinguer era appunto questa: si percepiva in lui la ritrosia a rivelarsi, in quanto politico, come “persona” e al tempo stesso la sua persona nell’essere un “politico”. Si manifestava perciò in lui con straordinaria chiarezza il nucleo più profondo di ciò che forma il mistero dell’individuo: essere tanto più inconoscibile ed inafferrabile nella sua unicità, quanto più è autentico, quando non si “rappresenta”, nel manifestarsi agli altri. E’ stato proprio questo aspetto a rivelarsi nell’adesione così profonda al dolore per la sua morte. Il “mistero” che si coglieva in lui era la forza del suo carisma, la potenza “trascendente” che ha scatenato ai suoi funerali la dinamica del sacro. Ovviamente tutto questo non ha niente a che fare con la religione; le religioni si fondano su forze di questo genere ma non sono queste forze, proprio perché, nel momento in cui rispondono, spiegandolo, al “mistero” dell’uomo, lo privano del suo connotato essenziale: essere sempre al di là di se stesso, nella tensione verso la ricerca, nella forza morale che ne scaturisce.
   Tensione verso la ricerca, forza morale che ne scaturisce: non era questo Berlinguer? Due aspetti che sembrano essersi intensificati in lui col passare degli anni, di fronte ai problemi posti alla sua coscienza politica da due fenomeni che non riusciva a capire del tutto: l’involuzione etica di una società democratica come quella italiana e il problema delle donne. Si può dire che in un certo senso il suo rispetto aumentava di fronte a quello che non gli era chiaro, tanto da sviluppare una sorta di colloquio introverso, di riflessione sul “dubbio”, un impaccio quasi fisico che la gente percepiva con tenerezza.
   Le donne non hanno trovato in nessun uomo politico italiano una così autentica perplessità sui loro problemi. Berlinguer era “sorpreso” di fronte al femminismo perché lo turbava il fatto che l’ingiustizia, la sopraffazione, la disuguaglianza avessero potuto esistere sotto ai suoi occhi senza che lui, democratico e comunista, se ne fosse reso conto; così come, del resto, era sorpreso con una forma quasi di ingenuità, di fronte al fatto che potesse venir meno l’etica politica in una democrazia.
  Il “sospetto” che questi due fenomeni avevano generato nella sua coscienza, il dubbio che anche chi è autenticamente democratico, comunista, potesse non cogliere la disuguaglianza, l’ingiustizia, si percepiva così fortemente negli ultimi anni da destare, in tutti coloro che gli si avvicinavano, un senso di fiducia, di sicurezza, malgrado le sue caparbietà; quasi il desiderio di consolarlo, di proteggerlo da una sofferenza troppo forte, da una delusione ingiusta per lui.
   Il femminismo lo metteva a disagio, in profondità, perché sentiva bene di non avere, negli strumenti usuali della democrazia, il modo per risolverlo. Ma era l’unico ad esserne consapevole. (E per questo era autoritario nell’imporre che donne fossero elette a tutti i costi nelle votazioni). L’esitazione, la perplessità con le quali, pur pronunciando le parole ovvie che tutti i partiti adoperano nei confronti delle donne, guardava al problema, erano fortissime e si coglievano nel fatto che non riusciva a sottrarsi come “maschio” al dubbio che suscitava in lui. In realtà Berlinguer si rendeva conto che cambiare la posizione delle donne significava cambiare totalmente la società: non si trattava di inserire nel modello un fattore aggiuntivo; il modello era “”sbagliato”. Per questo era esitante… Ma se ne sentiva in colpa, tanto che ogni donna che ha avuto l’occasione di un contatto, ha percepito la sincerità del suo disagio, del suo “rimorso”.
   Berlinguer era diventato, perciò, sempre più “giovane”, man mano che la vita politica italiana si induriva, si ottundeva nella perdita di qualsiasi sensibilità etica, in una lotta per il potere sempre più bassa. Giovane nell’angoscia, come è “giovane” chi si accorge che il mondo non è quello che sperava, quello per il quale ha lavorato e combattuto. La sua caparbietà, la sua ostinazione, erano appunto il suo modo di essere giovane nella speranza, il suo modo di “credere”, anche quando l’evidenza gli era contro. Il sentimento di dolore, di sorpresa, di “ingiustizia” che di fronte alla sua morte ha attraversato, sconvolgendoli, tutti gli italiani, era appunto l’incapacità ad accettare la morte dei “giovani”, di quelli in cui la società spera perché, proprio in quanto giovani, non sono induriti dalla vita e dall’esperienza.
   Dire che Berlinguer non era un “professionista” della politica, è dire una cosa banale. Ma è profondamente vero che, con la sua morte, gli italiani hanno capito di essere consegnati ormai alla “macchina” implacabile della politica, una macchina in cui, senza la tensione degli uomini, anche nel sistema democratico si diventa oggetto e strumento. □

 

 

 

 

 

 

 

Premessa 

     Le sinistre discutono, in questi giorni, su Enrico Berlinguer, criticandone l’azione politica, e il ruolo da lui svolto nel Partito Comunista. Appare abbastanza chiaro, a chi guarda dall’esterno i Partiti oggi, e soprattutto alle Sinistre, prive di ogni pur minima capacità e volontà di riflettere obiettivamente su se stesse, che esse giudicano la tensione etica, il dubbio morale che ha attraversato l’era Berlinguer, come un errore. E’ questa, infatti, la “coscienza”  (si fa per dire) dei politici moderni: il potere è morale soltanto in funzione del Potere, dell’accrescimento del Potere.
      Pubblichiamo, quindi, come contributo alla discussione quanto scrisse allora,  alla morte di Berlinguer, un osservatore esterno su Critica Marxista (n. 2-3, 1985)

Roma, 21 gennaio 2004

 
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