La Polonia ha
presentato il suo biglietto da visita all’Unione Europea prima ancora
di entrare formalmente a farne parte: al vertice di Bruxelles di
dicembre, è stata lei, insieme con la Spagna, a bloccare la nuova
Costituzione che, per l’adozione di un diverso metodo di «pesare» i
voti nei Consigli europei, avrebbe ridotto la sua influenza. Anche ora
che mancano solo tre mesi al fatidico 1° maggio, in cui nascerà
l’Unione a 25, il governo di Varsavia continua a battersi con tenacia
per migliorare le condizioni della sua adesione, tanto da diventare
una specie di incubo per gli eurocrati. I polacchi sanno che, almeno
per il momento, possono permettersi di tirare la corda: con una
superficie superiore a quella dell’Italia e 39 milioni di abitanti, il
Paese è infatti l’unico «grande» tra i dieci nuovi membri, e
soprattutto l’unico che, per la sua storia e la sua posizione
geografica, doveva entrare nella Ue con 11 primo gruppo anche se non
aveva ancora tutte le carte in regola.
Lo scontro di dicembre è stato solo
l’ultimo di un negoziato decisamente burrascoso. All’inizio, i
polacchi si aspettavano che l’Unione li avrebbe premiati per essere
stato il primo Paese dell’Est a ribellarsi al potere sovietico, avere
dato un contributo determinante alla caduta del muro e avere
consentito senza storie alla riunificazione tedesca. Quando si sono
resi conto che questo credito esisteva solo nelle loro speranze, sono
stati sul punto di abbandonare la trattativa e di accontentarsi del
solo ingresso nella Nato sotto l’ombrello americano. Alla fine, hanno
deciso di procedere egualmente, ma decisi a vendere cara la pelle. A
un'élite che guarda all’Europa come a una specie di taumaturgo
dei mali nazionali ed è perciò disponibile a concessioni, si
contrappone infatti una popolazione in cui è diffuso il timore che
l'Unione si trasformi in un «superstato centralista» e finisca con il
privare la Polonia di quella piena sovranità faticosamente
riconquistata nel 1989 dopo oltre due secoli di traversie.
I dossier che in
questi anni hanno contrapposto Varsavia a Bruxelles sono numerosi. Il
più delicato è stato quello dell’agricoltura, che per la Polonia, con
un quinto della popolazione tuttora impiegata in campagna (contro una
media Ue inferiore al 4%) e un territorio frazionato in tante piccole
proprietà scarsa mente produttive, riveste tuttora un’importanza
fondamentale. I polacchi pretendevano che ai loro agricoltori
venissero riconosciuti i medesimi generosi sussidi attualmente
concessi a quelli dei Quindici, ma visto che questo avrebbe
fatto saltare tutti i conti alla fine di un lungo braccio di
ferro hanno dovuto accontentarsi del 25%. Ovviamente, questo ha fatto
infuriare la popolazione delle campagne, che dopo avere cercato
inutilmente di bloccare il referendum sull’ingresso in Europa, ha
fondato il partito populista Autodifesa che si preannuncia come un
concorrente assai agguerrito alle elezioni del prossimo anno. Comunque
vada, questa consultazione segnerà un punto di svolta. Il partito
socialista, erede dei vecchi comunisti, che ha portato il Paese nella
Ue e guida attualmente un governo di minoranza, è precipitato dal 40
al 17 per cento dei consensi e sembra avviato a una umiliante
disfatta. All’orizzonte si profila perciò un governo guidato da
Piattaforma civica, a forte connotazione cattolica, che potrebbe avere
bisogno proprio dell’appoggio di Autodifesa. Una coalizione del
genere, di ispirazione nazionalista, potrebbe rendere la Polonia un
partner ancora più scomodo di quanto non sia già. Nelle sue file, c’è
poca simpatia per un’ Unione in cui l’aborto è diventato la regola, il
Parlamento vota a favore del matrimonio tra gay e si rifiuta di
inserire nella Costituzione quel riconoscimento delle radici
giudaico-cristiane dell’Europa fortemente voluto dal Papa. C’è,
parallelamente, un diffuso timore che la Germania, approfittando
dell’apertura delle frontiere, finisca con il riannettersi
virtualmente le province perdute nel ‘45, con massicci acquisti di
case e terreni da parte di dieci milioni di esuli ansiosi di ritrovare
le proprie radici. Né il contenzioso finisce qui. I polacchi avrebbero
voluto ottenere fin da subito la possibilità di andare a lavorare,
legalmente e liberamente, nei Paesi più ricchi dell’Unione, ma
Germania e Austria (e ora anche l’Olanda) hanno alzato le barricate e
imposto per i primi sette anni un rigoroso contingentamento. L’Unione,
dal canto suo, continua a strigliare i polacchi per la cattiva qualità
della loro pubblica amministrazione, per il loro farraginoso apparato
giudiziario, per le colpevoli lentezze nella ristrutturazione
dell’agricoltura e dell’industria siderurgica e per la diffusa
corruzione che ha lambito anche i vertici del governo. Di una adesione
all’euro, poi, non si parla nemmeno, vista la distanza dei parametri
polacchi da quelli di Maastricht.
In questo clima non
proprio idilliaco, la Polonia sta cercando almeno di ricucire i
rapporti con l’asse francotedesco, seriamente compromessi dalla sua
decisa presa di posizione filoamericana riguardo alla guerra irachena.
A Bruxelles si spera che finirà col cedere sulla Costituzione,
contribuendo a sbloccare il negoziato. Ma questo comporterebbe una
rivolta dell’opinione pubblica, che un governo già in difficoltà
farebbe fatica ad affrontare.□ |