I DUBBI SULLA POLONIA
Da Varsavia
un'altra spina per l'Ue

 

di Livio Caputo
il Giornale| 26 Gennaio 2004

 
 

          

La Polonia ha presentato il suo biglietto da visita all’Unione Europea prima ancora di entrare formalmente a farne parte: al vertice di Bruxelles di dicem­bre, è stata lei, insieme con la Spagna, a bloccare la nuova Costituzione che, per l’adozione di un diverso metodo di «pesare» i voti nei Consigli europei, avrebbe ridotto la sua influenza. Anche ora che mancano solo tre mesi al fatidico 1° maggio, in cui nascerà l’Unione a 25, il governo di Varsavia continua a battersi con tenacia per migliorare le condizioni della sua adesione, tanto da diventare una specie di incubo per gli eurocrati. I polacchi sanno che, almeno per il momento, possono permettersi di tirare la corda: con una superficie superiore a quella dell’Italia e 39 milioni di abitanti, il Paese è infatti l’unico «grande» tra i dieci nuovi membri, e soprattutto l’unico che, per la sua storia e la sua posizione geografica, doveva entrare nella Ue con 11 primo gruppo anche se non aveva ancora tutte le carte in regola.

Lo scontro di dicembre è stato solo l’ultimo di un negoziato decisamente burrascoso. All’inizio, i polacchi si aspettavano che l’Unione li avrebbe premiati per essere stato il primo Paese dell’Est a ribellarsi al potere sovietico, avere dato un contributo determinante alla caduta del muro e avere consentito senza storie alla riunificazione tedesca. Quando si sono resi conto che questo credito esisteva solo nelle loro speranze, sono stati sul punto di abbandonare la trattativa e di accontentarsi del solo ingresso nella Nato sotto l’ombrello americano. Alla fine, hanno deciso di procedere egualmente, ma decisi a vendere cara la pelle. A un'élite che guarda all’Europa come a una specie di taumaturgo dei mali nazionali ed è perciò disponibile a concessioni, si contrappone infatti una popolazione in cui è diffuso il timore che l'Unione si trasformi in un «superstato centralista» e finisca con il privare la Polonia di quella piena sovranità faticosamente riconquistata nel 1989 dopo oltre due secoli di traversie.

I dossier che in questi anni hanno contrapposto Varsavia a Bruxelles sono numerosi. Il più delicato è stato quello dell’agricoltura, che per la Polonia, con un quinto della popolazione tuttora impiegata in campagna (contro una media Ue inferiore al 4%) e un territorio frazionato in tante piccole proprietà scarsa mente produttive, riveste tuttora un’importanza fondamentale. I polacchi pretendevano che ai loro agricoltori venissero riconosciuti i medesimi generosi sussidi attualmente concessi a quelli dei Quindici, ma  visto che questo avrebbe fatto saltare tutti i conti  alla fine di un lungo braccio di ferro hanno dovuto accontentarsi del 25%. Ovviamente, questo ha fatto infuriare la popolazione delle campagne, che dopo avere cercato inutilmente di bloccare il referendum sull’ingresso in Europa, ha fondato il partito populista Autodifesa che si preannuncia come un concorrente assai agguerrito alle elezioni del prossimo anno. Comunque vada, questa consultazione segnerà un punto di svolta. Il partito socialista, erede dei vecchi comunisti, che ha portato il Paese nella Ue e guida attualmente un governo di minoranza, è precipitato dal 40 al 17 per cento dei consensi e sembra avviato a una umiliante disfatta. All’orizzonte si profila perciò un governo guidato da Piattaforma civica, a forte connotazione cattolica, che potrebbe avere bisogno proprio dell’appoggio di Autodifesa. Una coalizione del genere, di ispirazione nazionalista, potrebbe rendere la Polonia un partner ancora più scomodo di quanto non sia già. Nelle sue file, c’è poca simpatia per un’ Unione in cui l’aborto è diventato la regola, il Parlamento vota a favore del matrimonio tra gay e si rifiuta di inserire nella Costituzione quel riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell’Europa fortemente voluto dal Papa. C’è, parallelamente, un diffuso timore che la Germania, approfittando dell’apertura delle frontiere, finisca con il riannettersi virtualmente le province perdute nel ‘45, con massicci acquisti di case e terreni da parte di dieci milioni di esuli ansiosi di ritrovare le proprie radici. Né il contenzioso finisce qui. I polacchi avrebbero voluto ottenere fin da subito la possibilità di andare a lavorare, legalmente e liberamente, nei Paesi più ricchi dell’Unione, ma Germania e Austria (e ora anche l’Olanda) hanno alzato le barricate e imposto per i primi sette anni un rigoroso contingentamento. L’Unione, dal canto suo, continua a strigliare i polacchi per la cattiva qualità della loro pubblica amministrazione, per il loro farraginoso apparato giudiziario, per le colpevoli lentezze nella ristrutturazione dell’agricoltura e dell’industria siderurgica e per la diffusa corruzione che ha lambito anche i vertici del governo. Di una adesione all’euro, poi, non si parla nemmeno, vista la distanza dei parametri polacchi da quelli di Maastricht.

In questo clima non proprio idilliaco, la Polonia sta cercando almeno di ricucire i rapporti con l’asse francotedesco, seriamente compromessi dalla sua decisa presa di posizione filoamericana riguardo alla guerra irachena. A Bruxelles si spera che finirà col cedere sulla Costituzione, contribuendo a sbloccare il negoziato. Ma questo comporterebbe una rivolta dell’opinione pubblica, che un governo già in difficoltà farebbe fatica ad affrontare.□

 

 

 

 

 

 

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