La volontà di
dare il voto agli immigrati da parte di Gianfranco Fini è stata tanto
autoritaria e improvvisa da fornire la prova, diversamente da ciò che
viene affermato nei vari commenti che l’accompagnano, che il capo del
vecchio MSI è sempre il capo del vecchio MSI: privo di una sia pur
minima buona grazia democratica, incurante di ciò che si aspettano i
suoi elettori e gli iscritti al suo stesso partito, convinto che
l’unica cosa che conti è comandare. Non è vero, dunque, che adesso
Fini sia diventato più vicino ai partiti moderni e tanto meno a
quello prospettato da Berlusconi, leggero nella struttura e legato con
una firma contrattuale ai cittadini negli impegni da rispettare. Se
qualcuno lo ha interpretato in tal senso, questo dipende dalla
ingenuità con la quale è caduto nella trappola preparatagli: il voto
agli immigrati come apertura democratica. Trappola temibile, non
soltanto in se stessa, ma soprattutto per l’astuzia arrogante e cinica
con la quale è stata usata.
Intendiamoci: l’interpretazione
“ingenua” riguarda i poveri sudditi, perché le discussioni che vengono
fatte sui motivi che possono aver spinto Fini a gettarsi in una
operazione conflittuale come quella del voto agli immigrati superano
anche le più pessimistiche convinzioni sulla realtà fine a se stessa
del mondo della politica. Dalle sottili analisi di Veneziani a quelle
tranquillamente “oggettive” di Panebianco, dagli scontati consensi
degli esponenti più qualificati delle sinistre a quelli dei cosiddetti
“cattolici” sparsi qua e là nelle coalizioni di destra e di sinistra,
quello che balza più chiaramente è soltanto un interrogativo: cosa
vuol raggiungere Fini con questa mossa?
Che cosa ci guadagna? La maggioranza
farà fuori la Lega? Si andrà ad elezioni anticipate oppure Berlusconi
riuscirà ad acquietare gli animi fino alle elezioni europee? Non una
parola sugli Italiani, sugli eventuali interessi del popolo-bue, mai
tanto bue come da quando i politici vivono al sicuro sotto il mantello
pacioso e protettivo della democrazia. Non si tiene fede al patto,
firmato in televisione davanti agli elettori? Niente paura: si faranno
altre elezioni. Dalle amministrative a quelle europee i sudditi non
hanno che da votare, votare, votare in base alla sicurezza di
principio che è nel voto il loro “non-potere”. Ma questa volta
l’inganno è troppo plateale (nessun politico prima di Berlusconi aveva
mai firmato un contratto con gli Italiani), ed è anche plateale il
danno, concreto e simbolico, che proviene dall’inserimento a pieno
titolo degli immigrati nella cittadinanza italiana. Su questo non ci
sono dubbi ed è soltanto con la malafede e con l’ipocrisia che si può
affermare il contrario.
Proviamo ad
analizzare i fatti dal punto di vista degli interessi degli Italiani
visto che i politici hanno (avrebbero) questo unico dovere: rappresentare e
difendere gli interessi degli Italiani. Essere “italiano”, incarnare
l’identità, la nazionalità-cittadinanza italiana, significa vivere, lavorare,
pagare le tasse in Italia, da sei anni o da otto o da dieci? Se è
questo il concetto che i governanti hanno del popolo italiano, della
sua storia, del suo spirito, della sua lingua, letteratura, arte,
diritto, religiosità, allora non siamo perduti soltanto noi che
purtroppo siamo ad essi affidati, ma anche loro perché – sarebbe bene
che vi riflettessero – non avranno nessun “popolo” da governare. Gli
immigrati si riuniranno in un partito proprio, ovviamente islamico,
ben lontano da qualsiasi concetto di cittadinanza in quanto è la
religione che ne definisce l’identità.
Fini vuol
togliere anche il limite delle quote, del tutto incurante del rapporto
fra territorio e densità demografica, forse memore dell’importanza
numerica delle baionette. Che importa ai governanti il formicolio
degli abitanti in un paese nel quale sarebbe necessario ridurre la
popolazione di almeno quindici milioni? Che importa se gli italiani
fanno sempre meno figli stretti fra la percezione ben chiara di non
possedere nessun futuro come italiani e quella altrettanto chiara di
non voler lasciare nessuna eredità agli stranieri? Che importa ai
governanti se anche il meschino calcolo della necessità di mano
d’opera (quella di cui parlano gli industriali) è privo di senso? Nel
giro di pochissimi anni i figli degli immigrati, giustamente educati
nella scuola di stato obbligatoria, non faranno nessuno dei lavori dei
quali cianciano gli industriali, per cui il circolo della necessità
dell’immigrazione è di per sé senza fine.
Si potrebbe
continuare a lungo ad elencare tutti gli aspetti negativi
dell’improvviso entusiasmo da parte della destra per la
disintegrazione, già tanto osannata dalla sinistra, dell’italianità.
Ma è sufficiente dire ad alta voce quello che gli Italiani pensano in
silenzio, al di là dei sondaggi nei quali è di prammatica la menzogna
conformista, ma cui sembrano non poter sfuggire: il destino del
tradimento è forse l’unica, vera costante della loro storia? □ |