Il non-potere del voto

 

di Ida Magli
ItalianiLiberi | 18 Ottobre 2003

 

La volontà di dare il voto agli immigrati da parte di Gianfranco Fini è stata tanto autoritaria e improvvisa da fornire la prova, diversamente da ciò che viene affermato nei vari commenti che l’accompagnano, che il capo del vecchio MSI è sempre il capo del vecchio MSI: privo di una sia pur minima buona grazia democratica, incurante di ciò che si aspettano i suoi elettori e gli iscritti al suo stesso partito, convinto che l’unica cosa che conti è comandare. Non è vero, dunque, che adesso Fini sia diventato  più vicino ai partiti moderni e tanto meno a quello prospettato da Berlusconi, leggero nella struttura e legato con una firma contrattuale ai cittadini negli impegni da rispettare. Se qualcuno lo ha interpretato in tal senso, questo dipende dalla ingenuità con la quale è caduto nella trappola  preparatagli: il voto agli immigrati come apertura democratica. Trappola temibile, non soltanto in se stessa, ma soprattutto per l’astuzia arrogante e cinica con la quale è stata usata.

Intendiamoci: l’interpretazione “ingenua” riguarda i poveri sudditi, perché le discussioni che vengono fatte sui motivi che possono aver spinto Fini a gettarsi  in una operazione conflittuale come quella del voto agli immigrati superano anche le più pessimistiche convinzioni sulla realtà fine a se stessa del mondo della politica. Dalle sottili analisi di Veneziani a quelle tranquillamente “oggettive” di Panebianco, dagli scontati consensi degli esponenti più qualificati delle sinistre a quelli dei cosiddetti “cattolici” sparsi qua e là nelle coalizioni di destra e di sinistra, quello che balza più chiaramente è soltanto un interrogativo: cosa vuol raggiungere Fini con questa mossa?

Che cosa ci guadagna? La maggioranza farà fuori la Lega?  Si andrà ad elezioni anticipate oppure Berlusconi riuscirà ad acquietare gli animi fino alle elezioni europee? Non una parola sugli Italiani, sugli eventuali interessi del popolo-bue, mai tanto bue come da quando i politici vivono al sicuro sotto il mantello pacioso e protettivo della democrazia. Non si tiene fede al patto, firmato in televisione davanti agli elettori? Niente paura: si faranno altre elezioni. Dalle amministrative a quelle europee i sudditi non hanno che da votare, votare, votare in base alla sicurezza di principio che è nel voto il loro “non-potere”. Ma questa volta l’inganno è troppo plateale (nessun politico prima di Berlusconi aveva mai firmato un contratto con gli Italiani), ed è anche plateale il danno, concreto e simbolico, che proviene dall’inserimento a pieno titolo degli immigrati nella cittadinanza italiana. Su questo non ci sono dubbi ed è soltanto con  la malafede e con l’ipocrisia che si può affermare il contrario.

Proviamo ad analizzare i fatti dal punto di vista degli interessi degli Italiani visto che i politici hanno (avrebbero) questo unico dovere: rappresentare e difendere gli interessi degli Italiani.  Essere “italiano”, incarnare l’identità, la nazionalità-cittadinanza italiana, significa vivere, lavorare, pagare le tasse in Italia, da sei anni o da otto o da dieci? Se è questo il concetto che i governanti hanno del popolo italiano, della sua storia, del suo spirito, della sua lingua, letteratura, arte, diritto, religiosità, allora non siamo perduti soltanto noi che purtroppo siamo ad essi affidati, ma anche loro perché – sarebbe bene che vi riflettessero – non avranno nessun “popolo” da governare. Gli immigrati si riuniranno in un partito proprio, ovviamente islamico, ben lontano da qualsiasi concetto di cittadinanza in quanto è la religione che ne definisce l’identità.

Fini vuol togliere anche il limite delle quote, del tutto incurante del rapporto fra territorio e densità demografica, forse memore dell’importanza numerica delle baionette. Che importa ai governanti il formicolio degli abitanti in un paese nel quale sarebbe necessario ridurre la popolazione di almeno quindici milioni?  Che importa se gli italiani fanno sempre meno figli stretti fra la percezione ben chiara di non possedere nessun futuro come italiani e quella altrettanto chiara di non voler lasciare nessuna eredità agli stranieri? Che importa ai governanti se anche il meschino calcolo della necessità di mano d’opera (quella di cui parlano gli industriali) è privo di senso? Nel giro di pochissimi anni i figli degli immigrati, giustamente educati nella scuola di stato obbligatoria, non faranno nessuno dei lavori dei quali cianciano gli industriali, per cui il circolo della necessità dell’immigrazione è di per sé senza fine.

Si potrebbe continuare a lungo ad elencare tutti gli aspetti negativi dell’improvviso entusiasmo da parte della destra per la disintegrazione, già tanto osannata dalla sinistra,  dell’italianità. Ma è sufficiente dire ad alta voce quello che gli Italiani pensano in silenzio, al di là dei sondaggi nei quali è di prammatica la menzogna conformista, ma cui sembrano non poter sfuggire: il destino del tradimento è forse l’unica, vera costante della loro storia? □

 

 

 

 

 
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