Editoriale  

il Giornale


 

Un genio italiano
che sa che per gli Italiani
non c'è speranza

 

 
di Ida Magli
il Giornale | Giovedì 27 Febbraio 2003

 

Ho parlato con Alberto Sordi poco più di un anno fa. Due conversazioni, le prime che avessimo mai fatto di persona, drammatiche e decisive sia per lui che per me. In occasione dell’abbandono della lira per il passaggio all’euro, Sordi aveva proposto — e tutti i giornali ne avevano parlato con entusiasmo — di innalzare alla lira un monumento. E’ stato allora che, nella disperata battaglia che conducevo per convincere gli Italiani a non rinunciare alla sovranità monetaria e, con l’adesione all’unione europea, all’indipendenza e alla libertà, ho telefonato ad Alberto e l’ho supplicato di spendere la sua fama e i suoi soldi, non per fare un monumento di addio, ma per salvare la lira.

Non ero pazza nel rivolgermi a lui e lui lo sapeva bene. Troppo bene. Mi ha ascoltato con sorpresa perché stavamo toccando il nucleo più profondo, quello vero, di tutto il suo messaggio artistico. Un messaggio nascosto così bene da aver fatto di lui un genio “piccolo” (checché oggi se ne dica) piccolo perché rappresentativo degli Italiani, dei Romani, e non dell’umanità, non universale. Tutti gli hanno riconosciuto che era grande in questo, anzi, tanto più grande quanto più si nascondeva dietro alle debolezze, alle meschinità, alle vigliaccherie "tipiche" — si diceva— dei Romani e che comunque gli stranieri sopportano volentieri perché immerse nella bellezza indistruttibile di un passato che a Roma è eternamente presente, ma che i Romani sono costretti a portare sulle spalle fingendo una disinvoltura che nasconde una vergogna troppo pesante per poter essere detta.

Dunque Sordi non era Chaplin. Era infinitamente più grande di Chaplin. Lo sapeva, ma sapeva anche che se avesse provato a dirlo, a rivelarlo, anche in un solo film, avrebbe distrutto la sua fama, la condiscendenza con la quale sia gli umili che i potenti si divertivano alle sue timide prese in giro del potere, ai suoi goffi, ed inutili, tentativi di rappresentarne le sopraffazioni, le storture. Era questo, infatti, il suo segreto. Quel segreto che per un brevissimo istante è stato sul punto di tradire quando gli ho chiesto di combattere per salvare, con la lira, la libertà degli Italiani. Due sole conversazioni, in tutta la nostra vita: romano lui, romana io. Innamorato di Roma lui, innamorata di Roma io. Due conversazioni drammaticissime perché, forse per la prima volta, si è trovato di fronte a qualcuno che capiva bene il suo segreto e che voleva farsi aiutare da lui a rivelarlo: la storia dei Romani, degli Italiani, durante i duemila anni trascorsi dalla fine dell’Impero, è la storia assolutamente unica di un popolo ostaggio di due poteri, usato di volta in volta dall’uno e dall’altro come strumento per la grandezza dei governanti, Papi, Duchi, Re, Imperatori; da essi sempre venduti al migliore offerente, mandati a combattere e a morire per lo straniero di turno, mai per se stessi, per la propria libertà. Per questo il compito di Chaplin è stato immensamente più facile: l’universalità dell’uomo e l’universalità della sua piccolezza davanti al Potere. Tutti gli uomini, di qualsiasi epoca, di qualsiasi nazione, vi si riconoscono. Ma la storia dell’Italia è una storia assolutamente diversa da quella di tutti gli altri popoli. Lo è stata ieri; lo è nell’identico modo oggi. Per un momento — lo spazio di tre giorni fra la prima conversazione e l’ultima - Sordi è rimasto incerto sul da farsi: diventare Italiano nella vita, nell’azione, smascherando quel potere che lui conosceva talmente bene da essere riuscito a giocarvi capovolgendone lo specchio. L'ho supplicato di uscire allo scoperto. Ho cercato di convincerlo che la sua grandezza di artista, adesso che era giunto alla fine della carriera, sarebbe finalmente apparsa nella sua reale dimensione, e che nessuno più avrebbe identificato l' "uomo Sordi" con il suo personaggio, piccolo nella vigliaccheria, piccolo nella furberia, piccolo nelle aspirazioni, piccolo nel coraggio. Credo che, sia pure nella drammaticità del momento, gli abbia fatto piacere sapere che qualcuno conosceva il segreto della sua grandezza. Ma la sua convinzione che per gli Italiani non ci fosse speranza; che non si potesse in nessun modo combattere contro, non soltanto il Potere in generale, ma i due Poteri che dominano da duemila armi su di noi, ha avuto la meglio.

Oggi, prima al Campidoglio, sotto la statua di Cesare, poi a San Giovanni, nella prima Basilica romana, i due poteri gli rendono omaggio. Non glielo avrebbero reso se avesse combattuto contro l’euro e l’Unione europea.

Ida Magli

 

 

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