Editoriale  

Università di Padova: l'Antropologia scomparirà

 
di Ida Magli
Il Giornale | 11 Gennaio 2003

Parlare in Italia di una disciplina come l'Antropologia significa parlare di uno degli argomenti più scottanti che esistano. Può sembrare un’affermazione assurda agli occhi della maggioranza dei lettori, abituati semmai a sempre più precise discussioni di carattere medico, la cui importanza appare logica ed evidente a tutti. Eppure c’è qualcosa nell’ambito dell'antropologia che è stata volutamente tenuta nascosta all'opinione pubblica proprio perché la sua valenza sociale, culturale, politica, religiosa, è immensamente più grande di quella medica, ed anzi la ingloba. Antropos è l’Uomo e l’antropologia studia l’uomo. E’ proprio questo il punto. Che cosa è l'uomo? Come facciamo a studiarlo? Di qui la lunghissima storia di una disputa che dai filosofi greci a quelli romani, a quelli cristiani, a quelli rinascimentali, a quelli illuministi, a quelli positivisti, non ha praticamente mai trovato una vera tregua e che, ancor oggi, sia pure negli astiosi e segretissimi corridoi delle Università, continua a dilaniare gli studiosi di tutte le discipline.

Ma perché la polemica più forte, la battaglia più sanguinosa si è svolta e si svolge nelle Università italiane? Per due motivi principali. Il primo è quello che ci trasciniamo, molto di più che gli altri popoli d’Occidente, nel vissuto religioso-cattolico e in quello social-comunista, ossia l’uomo composto di anima e di corpo, oppure l’uomo plasmato dall’ambiente. Non bisogna credere che il conflitto fra l’una e l’altra concezione sia nato nell’epoca moderna. E’ questa la grandezza del sapere che ha contraddistinto le Università italiane fin dalle origini, ossia fin dalla nascita del concetto stesso di “università”, la cittadella di tutti i saperi. Le più antiche Università sono italiane, e una delle più antiche, e delle più gloriose, è quella di Padova, nel cui ambito ancor oggi si dibatte che cosa fare dell’Antropologia. La “grandezza” alla quale accennavo si fonda proprio sul presupposto che l’Uomo sia un tutt’uno, e che tutte le discipline scientifiche, tutti i saperi, alla fine debbano convergere per tentare di conoscere davvero l’Uomo. Nell’Università di Padova l’Antropologia è collocata tutt’ora nell’insieme delle scienze naturali, alle quali fa capo anche la biologia. Ai cattolici da una parte, ai marxisti dall’altra, questo principio cognitivo – l’uomo come totalità - non piace perché pone tanti problemi che non si possono risolvere con l’assolutizzazione dell’uno o dell’altro. Di qui, una soluzione “politica” distruttiva: eliminiamo l’Antropologia.

A poco a poco l’Antropologia culturale è stata ridotta alle produzioni “popolari”: il folclore, le tradizioni, i proverbi, le processioni, i Santi locali, i cibi, i dialetti... Un processo inaugurato dai marxisti ma che, alla fine, è piaciuto anche ai cattolici se non altro perché a dar ragione al popolo non si sbaglia mai. L’altra Antropologia, a sua volta, quella più pericolosa perché includeva fisicità individuale e gruppo, ambiente naturale e ambiente culturale, è stata fatta sparire, con la scusa del pericolo del “razzismo”, riassorbendola nelle singole discipline, dalla genetica alla demografia fino alla medicina. E così, eccoci qua, noi Italiani, i più grandi produttori di ”pensiero” vero, quello teorico, quello che pone i problemi al centro del sapere e che non li evita fingendo che l’Uomo sia o un cuore o un fegato, o un dialetto o una processione, e che pertanto soltanto così produce scienza perché, nel momento stesso in cui la produce, già sa di doverla superare, accoci qua, dicevo, a rinunciare all’Antropologia.

Non è una battuta, uno scherzo. In questi giorni sta per andare in pensione l’unico professore ordinario di Antropologia dell’università di Padova. Se, come pare, al suo posto non subentrerà nessuno, a Padova l’Antropologia scomparirà. A Padova, sì, proprio a Padova. Noi non possiamo crederlo, non riusciamo a crederlo. I governanti spingono spesso gli Italiani a produrre di più. Ma cosa è più importante che produrre pensiero?

Ida Magli

 

 

 

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