di Giordano Bruno Guerri
il Giornale
| 24
Aprile 2003 |
La sinista
(sinistra pacifista) si sbraccia e si svocia per indicare al
presidente del Consiglio dove dovrebbe trascorrere il 25 aprile,
ovvero a Marzabotto, simbolo italiano della guerra contro il
nazifascismo. Allora voglio suggerirglielo anche io, a Berlusconi,
dove andare a celebrare la data fatidica: ad Aviano. E lo spiego.
Per i primi
venticinque anni circa, fino al termine degli anni Sessanta, la Festa
della Liberazione è stata né più né meno che la celebrazione dei vincitori
sui vinti, e meno male che i vincitori erano dalla parte giusta, quella
delle democrazie contro le dittature, anche se ad attribuirsi vittoria e
festa erano coloro (i comunisti) che avrebbero volentieri sostituito una
dittatura con un’altra. Nei successivi venticinque anni circa la nobile
ricorrenza, ormai logora, non è stata altro che un’autoesaltazione della
sinistra, in pura polemica contro qualsiasi governo che di sinistra non
fosse: festa di parte, che si attribuiva l’esclusiva di una vittoria che
non aveva affatto e che soprattutto la usava strumentalmente contro
l’affermarsi di studi storici “revisionisti”, in definitiva contro quello
spirito democratico che sosteneva di voler difendere.
Il crollo del comunismo,
nel 1989, e la ragionevolezza del revisionismo – ormai riconosciuta anche
a sinistra – avrebbero dovuto far cessare l’esaltazione di un 25 aprile
visto più in chiave filocomunista che democratica, più di odio per il
nemico “repubblichino” che di amore per la libertà. In Italia però,
avvenne l’opposto a causa della “discesa in campo” di Berlusconi: il
successo di nuove forze politiche come la Lega e FI, senza dubbio
democratiche, spinse di nuovo la sinistra a fare di quella data un
grimaldello antidemocratico e unilaterale sotto l’apparenza della
democrazia e della libertà.
Occorsero (ma non
bastarono) la svolta di Fiuggi del Msi e il provocato crollo del primo
governo Berlusconi perché nel 1996 si levasse civilmente la voce di
Luciano Violante, diessino allora presidente della Camera, per dire che il
25 aprile deve essere soprattutto una data di pacificazione nazionale in
cui si possono e si debbono comprendere anche le ragioni di chi ha
combattuto nella Repubblica Sociale Italiana.
Fu un fuoco di paglia.
La stessa mancanza di idee e prospettive della sinistra la spinse a
riappropriarsi con virulenza del 25 aprile come valore in sé, di sé e
soprattutto per sé; il trionfo del centrodestra, poi, ne ha fatto di nuovo
un falso simbolo di lotta contro tutte le “oppressioni”, anche quelle
sorte da elezioni democratiche, anche contro le guerre nate dal bisogno di
giustizia e libertà. (E, a mio parere, ha fatto male il presidente della
Repubblica Ciampi a definire “improponibile” ogni revisionismo a proposito
della Resistenza, finendo così per appoggiarne un’interpretazione distorta
e faziosa. Il revisionismo è alla base di qualsiasi scienza e ricerca,
perché di nient’altro si tratta che di “rivedere” le vecchie teorie in
base a nuove acquisizioni della ricerca: il revisionismo “è” la scienza.
Anche riguardo alla Resistenza.)
Questo 25 aprile 2003,
venuto a fagiolo subito dopo la guerra di liberazione americana dell’Irak,
sembra fatto apposta per rinnovare, mutatis mutandis, un’interpretazione
fanatica e distorta della Liberazione dai nazifascismi, il cui vero merito
non si è mai voluto davvero riconoscere agli Alleati, deponendolo tutto
sulle spalle di una Resistenza dagli effetti soltanto simbolici, pur di
non riconoscere quanto dobbiamo agli angloamericani.
Oggi le bandiere
multicolori della sinista, invocanti la pace e pronte a convertirsi in
bandiere resistenziali, sono soprattutto simboli antiamericani. Se fossero
davvero bandiere di pace non si capirebbe perché sono spuntate solo ora e
non in occasione di tanti altri conflitti in cui gli Usa non hanno avuto e
non hanno ruolo: per esempio nei conflitti dello Zaire, che negli ultimi
anni hanno provocato oltre 3 milioni di morti fra i congolesi, per lo più
civili sgozzati.
E qui sta l’orribile,
insopportabile contraddizione di questo 25 aprile. Se quello del 1945 fu
davvero una vittoria della democrazia contro le dittature, anche la guerra
a Saddam è stata una vittoria della democrazia contro le dittature, i
fanatismi politici, le ideologie totalizzanti. Se è stato bene intervenire
contro Mussolini, Hitler e Hiro-Hito, è stato bene intervenire anche
contro Saddam. Anzi, il fatto che stavolta gli Usa non siano stati
attaccati direttamente, come nel 1941, aumenta e non diminuisce il loro
merito. E’ per questo, caro Berlusconi, che domani mi piacerebbe vederla
ad Aviano, unico luogo-simbolo, in Italia, di una giusta e recentissima
guerra di liberazione.
Giordano Bruno
Guerri |