Da noi per “condanna
esemplare” si intende automaticamente – compiacendosene - quella
micidiale, tremenda, che distrugge per implacabilità la vita del
condannato. “Esemplare” – cioè di esempio - invece può e dovrebbe
essere la condanna che applica la legge e punisce il cittadino senza
per questo sprofondarlo in un inferno senza ritorno.
E’ quello che è
accaduto ieri in Francia, Paese liberale sul serio, dove il pubblico
ministero ha chiesto otto mesi di carcere con la condizionale per l’ex
premier Alain Juppé. Il delfino del presidente Jacques Chirac è sotto
processo a Nanterre per un grave scandalo di impieghi fittizi che
servivano a finanziare il suo partito. Accusandolo di appropriazione
indebita, il pubblico ministero René Grouman ha chiesto la pena
relativa senza però infierire, senza “dare l’esempio” con la richiesta
di ineleggibilità a cariche pubbliche ovvero con la rovina della
carriera politica, che sarebbe stata una pena in più: “I fatti
contestati ad Alain Juppé giustificano la sua messa fuori gioco dalla
politica?” si è chiesto l’illuminato magistrato: “Non spetta ai
giudici ma al popolo francese deciderlo”, si è risposto dimostrando
con questo di credere che la democrazia sia il primo dei valori cui un
funzionario dello Stato deve attenersi.
Nello scandalo è
coinvolto anche Chirac, che in quanto presidente della Repubblica non
è perseguibile, ma è chiaro che una condanna segnerebbe la fine delle
ambizioni di Juppé, capo del partito maggioritario di centrodestra che
punta alla successione di Chirac nelle elezioni del 2007 e nega ogni
addebito. Difficilmente l’elettorato gli perdonerebbe una condanna e
proprio qui sta il punto: sia l’elettorato a decidere, come del resto
avvenne qualche anno fa in Germania a Kohl, non una magistratura che –
accade da noi – tende a soprapporsi al giudizio popolare,
anticipandolo dall’alto e quindi di per ciò negandolo con l’arroganza
di un potere divino. □
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