Il fondamentalismo
democratico

 

di Ida Magli
il Giornale | 9 Ottobre 2003

 

La scienza, la medicina soprattutto, da lungo tempo ci ha convinto che la terapia più efficace è la prevenzione. Ma la prevenzione è sistema valido e necessario in tutti i campi, ed è giunto il momento in cui i politici sono chiamati a rendersi conto di quali responsabilità si siano caricati davanti agli Italiani per non averlo messo in atto nei confronti dell'immigrazione. L'affermazione di Gianfranco Fini sul voto da dare agli immigrati alle elezioni amministrative si può considerare già come una conseguenza della mancata prevenzione. Troppi, troppi immigrati sono stati fatti entrare in Italia, con le motivazioni più varie, senza pensare a quali ne sarebbero state le pericolosissime ricadute sulla vita culturale, religiosa, sociale, politica degli Italiani. Adesso, però, non si finga di dover per forza andare avanti sulla strada già imboccata. Se, in base alla democrazia, si porta il proprio popolo verso conflitti, sofferenze e alla fine perdite laceranti della propria identità, allora bisogna che i politici abbiano il coraggio di non fare della democrazia una divinità intangibile. Il "fondamentalismo" è un pericolo in agguato ovunque, ed è tale quando, in omaggio ad un principio, si distrugge la vita invece di costruirla. La proposta di Fini è democrazia fondamentalista.

Perché è così pericoloso inserire nel potere istituzionale gli immigrati? Diciamolo chiaramente: perché la stragrande maggioranza degli immigrati è oggi, e lo sarà sempre di più domani a causa della loro alta prolificità, di religione musulmana. Non esiste nessuna etichetta del politicamente corretto che possa impedire di riconoscere le abissali differenze fra musulmani e cristiani. Non si tratta qui di soffermarsi su dispute teologiche. La religione, qualsiasi religione, è incarnata e incarna una cultura; e una cultura è plasmata e plasma la personalità di base del popolo nel quale si è sviluppata. Non si tratta, dunque, di giudicare, di valutare né un popolo, né una cultura, né una religione, ma di mettersi di fronte alla realtà. Gli Italiani hanno diritto a vivere secondo i propri costumi, le proprie tradizioni, la propria fede perché l'Italia è il loro territorio, la loro patria, la loro nazione; questi costumi, queste tradizioni, questa fede sono agli antipodi di quelli arabo-islamici. Su questo non ci sono dubbi, malgrado i tentativi fatti dai vari leader, anche della gerarchia cattolica, per trovare delle convergenze.

Le convergenze di esegesi biblica non hanno nulla a che fare con la storia concreta, con il carattere dei popoli, insomma con il loro modo di essere, di sentire, di pensare.

Mi permetto, nella mia veste di antropologo, di portare un esempio. Nell'Antico Testamento è vietato fare una qualsiasi rappresentazione di Dio. Per il timore di mancare a questo divieto, nella cultura ebraica non è stata mai sviluppata l'arte iconografica, pittura, scultura... Lo stesso è avvenuto nell'islamismo in quanto si fonda sull'Antico testamento: è il motivo per il quale nell'arte araba si trovano tante delicatissime raffigurazioni di piante, di foglie, che appunto non mettpono a rischio di rappresentare "idoli".

Si guardi intorno l'onorevole Fini, in questa Italia nella quale ha avuto la fortuna di nascere: cosa ne sarebbe stato della grandezza artistica degli Italiani se avessero dovuto obbedire a questo divieto? Chi verrebbe in Italia da tutte le parti del mondo se non ci fossero stati i Michelangelo, i Giotto, i Raffaello e i Botticelli? Ma l'antropologo si permette di dire di più: nessun apostolo, né Pietro, né Paolo, avrebbe potuto convertire i Romani ad una religione che avesse vietato la contemplazione della bellezza nella scultura, nella pittura, nel mosaico, nell'affresco. Questo è il profondo mistero del rapporto fra personalità e cultura, fra religione e personalità; un rapporto che può essere disgregato e infranto con la violenza, ma che non può essere cambiato né con la buona volontà né con le leggi.

Naturalmente so bene che i problemi immediati sarebbero ben altri che non l'arte, e tutti gravissimi. Il modo di concepire il matrimonio, la sessualità, il ruolo delle donne, tanto per fare un solo esempio, è del tutto opposto a quello che viviamo in Italia. E' di ieri l'uccisione di una missionaria italiana in Somalia quasi certamente perché si batteva contro la clitoridectomia e l'infibulazione. Può darsi che le leggi italiane riuscirebbero ad impedire tale operazione, ma rimane il fatto che non c'è possibilità di comprensione, non ci sono valichi possibili fra la personalità di uomini che hanno inventato e voluto tale mutilazione e quelli che, nel cristianesimo, sono passati dall'uccisione concreta della vittima al sacrificio simbolico, dalla mutilazione del pene alla dolce acqua del battesimo.

La tensione in Italia per l'eccessiva presenza di moschee, per l'abitudine a vivere di mercatini ambulanti che invadono marciapiedi e piazze incuranti di leggi e tasse, per il timore ben fondato di possibili terrorismi, è già molto alta. Tocca ai politici fare in modo che la pazienza non si esaurisca, che la tolleranza non diventi una drammatica colpa di chi governa. E' probabile che nell'Unione Europea si sia proclivi a concedere molti privilegi agli immigrati musulmani in base a calcoli che appunto, come dicevamo all'inizio, non tengono conto delle conseguenze per il domani. Sia per una volta l'Italia a dimostrarsi previdente; e, comunque, non accetti per sé provvedimenti che preludono a sicuri conflitti.  □

 

 

 

 

 
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