Editoriali


 

Eutanasia

 

di Giordano Bruno Guerri
il Giornale | 15 Ottobre 2003

 

Quella assunta da Rita Levi Montalcini è una posizione che non fa una piega, da vero scienziato: se la vita è mia – come è mia – devo essere io a poter decidere quando e come terminarla, senza che possano intervenire altri, né medici, né parenti, né divinità.

 I medici infatti ne farebbero un discorso di semplice pratica clinica, di elettroencefalogrammi più o meno piatti, che possono non tenere conto del dolore del paziente, della sua disposizione a vivere, della sua voglia di lottare; o, peggio ancora, di un accanimento terapeutico che può avere più il sapore di un esperimento che di una volontà salvifica: “Si deve aiutare a guarire, non a rimanere in vita se non c’è più speranza.” Quanto ai parenti, presunti portatori di ultime volontà (“è pura follia” affidarsi a loro, ha detto chiaro Levi Montalcini), meglio tenerli fuori da queste decisioni, soprattutto quando si diventa clinicamente un peso da vegliare in ospedale e – cinicamente – una possibile fonte di introiti ereditari. Rimane la discriminante divina, la convenzione religiosa per cui chi ti ha dato la vita deve essere anche l’unico a potertela togliere, nel modo e nei tempi che gli sembrano più opportuni. Per un non credente tutto ciò non ha senso, ma mi sforzerei di richiamare l’attenzione dei credenti su qualche aspetto che forse può portare a una conclusione diversa; primo fra tutti che, se Dio ha deciso quando farti nascere, forse può lasciar decidere a te quando morire; secondo aspetto, se Dio ha deciso di inviarti la malattia che ti sta portando alla fine, è forse il caso di andargli incontro; terzo, il Dio buono e generoso che ci ha voluto in vita, una vita di gioia, non può volere che tutto si esaurisca in un lungo strascico di dolore.

Che ognuno sia padrone della propria morte, almeno, come dovrebbe esserlo della propria vita.   □

 

 

 

 

 www.italianiliberi.it

SOMMARIO