La forza di credere

 

di Ida Magli
il Giornale | Mercoledì 29 Ottobre 2003

 

  I musulmani hanno intenzione di conquistare «pacificamente» l’Europa e di far vincere la propria religione in tutto il mondo? In Italia ne siamo sicuri quasi tutti già da diversi anni, ma fino ad oggi chiunque si fosse arrischiato a dirlo ad alta voce, sarebbe stato immediatamente smentito e messo a tacere dalle due forze più qualificate: i governanti e la Chiesa. Eppure si tratta di un fenomeno evidente. Ma soprattutto: logico. Logico perché ogni uomo,  così come ogni gruppo ed ogni popolo, quando crede in una verità, sente l’impulso, la necessità di convincerne gli altri uomini, ed anzi il più delle volte lo considera un dovere. Del resto, in che cosa saremmo «uomini» se non ci assillasse il pensiero di conoscere e di far conoscere, di condividere ed espandere le idee in cui crediamo, siano queste di carattere scientifico, artistico, politico, religioso? Dunque, diamolo per scontato: siamo noi, soltanto noi, in questa Italia, in questa Europa progettata dopo la seconda guerra mondiale, sconvolta dall’immane catastrofe da cui si era appena usciti, ad aver timore perfino di possederla una «idea», esortati dai politici a considerare come unica «idea»  quella  di non doverne difendere nessuna come nostra, ma  quelle di tutti gli altri  fino a morirne. E infatti, di questo stiamo morendo.
  Non poter credere in nulla ha ucciso il pensieri creativo, ha ucciso il cristianesimo, ha ucciso la speranza in un futuro tanto che perfino le esortazioni che vengono dal mondo dell’industria, della finanza, dell’economia ad essere «più competitivi» non possono aver successo. Per essere competitivi bisogna  «credere», bisogna impegnare energie aggressive «contro» qualcuno o qualcosa. Come pensano i politici di poter governare popoli intimoriti perfino dai propri pensieri, nel dubbio che qualsiasi  riflessione sull’«altro» possa configurarsi come razzista, come colpa, come mancanza di tolleranza?
  I musulmani sono forti perché credono nella propria  religione e nel potere della propria cultura; ed hanno ben valutato la debolezza (la vigliaccheria) di chi, o non crede in nulla, oppure non ha il coraggio di difendere ciò in cui crede. Questo non significa (ma a questo punto è difficile trovare vie d’uscita del tutto pacifiche) che dobbiamo farci la guerra; ma che i governanti debbono usare tutti i mezzi per rispettare l’unico dovere nel quale si sono impegnati con un giuramento, quello di servire l’Italia  e gli Italiani, e mettere fine al comportamento tenuto fino ad oggi. E’ stato posto il problema del crocifisso; ma questo è soltanto un «primo-ultimo» passo verso l’eliminazione delle immagini che è alla base del divieto presente nell’Antico Testamento. Quindi è inutile girarci intorno con scappatoie contingenti. Oggi si tratta della scuola di Stato nella quale i bambini musulmani sono ancora in minoranza. Ma di crocifissi sono piene le edicole ai crocicchi di tutte le nostre strade; domani anche questi offenderanno musulmani bambini e adulti. Perciò decidiamoci.
  Può darsi che molti Italiani non siano praticanti o credenti nel senso stretto del termine; ma non esiste «cultura» senza religione e quella dell’Italia (e del cristianesimo occidentale) poggia sulla novità radicale dei Vangeli in confronto all’Antico Testamento. Tanto nuova da poter instaurarsi  esclusivamente nel mondo permeato dal diritto romano, dall’organizzazione giuridica e amministrativa espressa nella lingua latina che la Chiesa d’Occidente ha fatto sua. Tanto nuova da cancellare nel pensiero di un innamorato della bellezza, di un poeta dell’umano come Gesù di Nazaret, anche soltanto l’idea di uccidere animali da offrire a Dio, di tagliare un pezzo di pene per testimoniare la propria fede. Come si può leggere i Vangeli e non sentire subito che è nato un mondo del tutto nuovo, del tutto diverso, perché è quello della bellezza della vita, della bellezza dell’uomo che «guarda», che ammira, senza timore? Guardare significa amare il «rappresentare».
     Gli sforzi che sono stati fatti negli ultimi anni dalla Chiesa per ricondurre i Vangeli nell’alveo dell’Antico Testamento, anche se dettati dal desiderio di ridurre le occasioni di conflitto, non sono utili perché hanno soltanto indebolito l’Occidente cristiano, e soprattutto hanno tolto ai cristiani la gioia di creare bellezza con la poesia, con la musica, con la pittura, con la forza esclusiva della parola. Quella parola di cui  Gesù ha sottolineato la forza quando ha detto: «Le vostre parole siano: sì, sì,  no, no».
     Delle ambiguità dei politici, dei sacerdoti, non se ne può più perché testimoniano del fatto che vogliono rendere facile  all’Islam la conquista dell’Europa eliminando confini, cittadinanze, patrie, nazioni, identità.  Non è tolleranza, non è solidarietà, non è rispetto, ma tutto il contrario: la convinzione che abbiamo già perso, e forse la speranza che almeno così non abbiano motivo per distruggerci.  □

 

 

 

 

 
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