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Che cos'è veramente
il comunismo?
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di Ida Magli
ItalianiLiberi
| 28
Maggio 2003 |
Si è discusso molto in
quest'ultimo periodo di comunismo. Si sono susseguiti anche numerosi
dibattiti giornalistici e televisivi ai quali hanno partecipato alcuni
dei maggiori esponenti del Partito Comunista Italiano, oggi dispersi
nei diversi rami dei partiti della sinistra. Ma vi hanno partecipato
anche alcuni, che dopo aver dichiarato apertamente la loro precedente
militanza nel comunismo,
adesso appartengono allo schieramento di centro destra
berlusconiano. Quello che colpisce maggiormente in tutti questi
dibattiti è la cecità di fronte al problema fondamentale nel quale
siamo invischiati, il problema che rende così aspra e praticamente
irrisolvibile la vita politica, sociale, economica, come pure quella
familiare e personale degli Italiani. Si tratta di una cecità
che discende direttamente da Marx e che testimonia già di per sé che
il
nostro è un mondo comunista. Alludo alla cecità di fronte ai
"significati" che sottendono e al tempo stesso provocano i
comportamenti; alludo alla cecità di fronte al "sistema logico" che
regge in maniera necessitante il pensiero dell'uomo e che induce,
anche in forma non sempre consapevole, ad associare nell'ambito degli
stessi significati i diversi campi d'azione che diventano così
talmente ovvi da non poter nemmeno essere "visti".
Faccio subito gli
esempi. E' stato Marx a teorizzare per primo il primato dell'economia
su tutte le altre strutture della società: come è evidente, sia
l'Italia sia l'erigenda Unione europea è guidata da valori economici,
da banchieri ed economisti; il presente e il futuro si fonda su dati
economici, le preghiere del mattino e della sera con le quali si
aprono e si chiudono i notiziari televisivi sono gli indici delle
Borse, e il loro segno più, e meno, testimonia se siamo stati buoni o
cattivi. Si dirà che anche il capitalismo fonda il suo massimo valore
sull'economia, ed è vero. Ma
in Italia e in Europa la presenza del comunismo come valore fondante
rende praticamente impossibile una vita politica armonica e lo
sviluppo economico proprio perché, invece di rappresentare una delle
funzioni della società, l'economia ne è il valore (nel significato
spirituale del termine) primario, che determina tutti gli altri. E,
come è successo negli altri paesi comunisti, li sterilizza e li
annienta.
Naturalmente tutti sappiamo bene che Marx (oltre alla sua
insensibilità psicologica) era partito dall'economia perché, volendo
eliminare qualsiasi differenza fra individui e nella società, la cosa
più funzionale era equiparare i salari, ossia ridurre gli uomini
all'uguaglianza dei bisogni primari: puoi essere intelligente o
stupido, creatore di poesia o di musica, figlio di nobili o di operai,
ma hai per prima cosa bisogno di mangiare, di ripararti dal freddo e
dalla pioggia, di rifugiarti sotto un tetto, di curarti nelle
malattie. Il Lavoro ti assicurerà questi bisogni primari: avrai un
salario soltanto se lavorerai. E' sufficiente leggere le prime parole
della Costituzione italiana per sapere che viviamo nel
regno di Marx: dire che siamo "fondati sul lavoro" significa dire che
intanto siamo uomini in quanto dipendiamo dalla divinità "Lavoro".
L'eliminazione delle
differenze: di nascita, di classe, di patria aveva dettato a Marx
l'internazionalismo, un internazionalismo che cancellava qualsiasi
legame salvo quello del lavoro proletario.
Bene: l'Unione Europea
è nata su questi stessi presupposti. Superamento-eliminazione delle
nazioni, delle patrie, delle lingue; primato della moneta e dei
sistemi economici con un solo centro propulsore che è appunto la Banca
Centrale Europea. Né ci possono essere dubbi sui valori comunisti dai
quali è partito il governo europeo: alla pari con il leninismo e con
lo stalinismo, per prima cosa sono stati ridotti alla dipendenza
assoluta e quasi all'annientamento gli agricoltori. Non si chiama
sterminio dei contadini perché viviamo in tempi diversi, nei quali non
si deve mai vedere scorrere il sangue, ma il risultato, come la
battaglia per le
quote latte dimostra anche se sembra non avere ancora insegnato niente
a nessuno, è lo stesso.
Tornando, dunque,
all'Italia, a che serve discutere partendo dal presupposto che il
comunismo sia morto? Sono finiti i governi esplicitamente comunisti e,
manco a dirlo, i politici non riescono a credere che qualcosa esista
se non esistono i politici, ma il comunismo è vivissimo e, proprio
perché è radicato nelle idee senza quasi nessuna rappresentanza
politica dichiarata, la sinistra non sa
cosa dire e cosa fare. Dirsi post-comunisti significa appunto non
sapere cosa si è; mentre i partiti che si dichiarano esplicitamente
comunisti hanno scarsa possibilità di aumentare il proprio elettorato
perché sono danneggiati dal crollo politico dell'Unione Sovietica, che
è impossibile negare. D'altra parte un vero cambiamento dovrebbe
iniziare dal restituire libertà all'individuo, libertà di pensiero, di
responsabilità, di coscienza, di giudizio.
Oggi questa libertà, in ossequio al marxismo, è stata delegata allo
Stato, ossia alla coscienza collettiva, rappresentata e gestita dallo
Stato. Gli esempi sono innumerevoli, ma basterà accennare alla scuola
obbligatoria fino ai diciotto anni; al sistema sanitario di Stato che
rende tutti complici, attraverso il pagamento delle tasse,
di scelte etiche gravissime di cui soltanto la coscienza individuale
può assumersi la responsabilità (aborto, cambiamento di sesso,
trapianti, fecondazione artificiale...); il pagamento attraverso lo
Stato di tutte le confessioni religiose, che annienta il diritto a
credere nella verità della propria religione... sarà finalmente lecito
cominciare a dibattere su che cosa sia realmente "comunismo"?
Ida Magli |