La logica della specie umana
non sopporta contraddizioni
di Ida Magli
il Giornale |
8 Agosto 2003 |
Nelle discussioni
suscitate in questi giorni dall'interrogativo sull’eventuale
riconoscimento giuridico delle coppie gay, ha fatto spesso la sua
apparizione un problema fondamentale: quello del «relativismo». Problema
tanto fondamentale e difficile da risolvere per i detentori del potere che
si è preferito emarginare o ridurre a chiacchiere da salotto la disciplina
che lo aveva introdotto. Visto che ne ha parlato sul nostro Giornale
anche il Cardinal Ratzinger, vorrei non lasciar passare l’occasione
offerta dalle sue parole per riuscire finalmente a chiarire il punto
essenziale intorno al quale girano gli equivoci. Sì tratta, infatti, di
equivoci gravi per le loro conseguenze nelle strategie politiche in quanto
si saldano, almeno in superficie, con quelle di origine marxista.
Nel 1980 si tenne
all’Università dell’Aquila un importante convegno storico per celebrare la
nascita di S. Bernardino da Siena e fu allora che, unico antropologo fra
molti illustri storici, mi trovai ad affrontare il problema del
relativismo in quanto per un antropologo, diversamente che per uno
storico, non poteva essere indifferente il fatto che si stava discutendo
di un «santo», di una figura paradigmatica ed esemplare, proposta alla
devozione e alla imitazione dei fedeli. Insomma ci si trovava a discutere
della categoria della santità, concepita come universale e atemporale
dalla Chiesa, non sottoposta a giudizio dallo storico, mentre per
l’antropologo l’uomo-Bernardino viene studiato e compreso nell’ambito
della sua cultura, di cui appare un eccezionale rappresentante (a parte il
fatto che, come apparve evidente alla fine del convegno, soltanto
l’antropologo riusciva a conservare un occhio benigno nei confronti di
Bernardino).
L'incitamento di
Bernardino a mandare al rogo i sodomiti di Firenze, a tagliare mani e
piedi agli ebrei usurai, la sua violenta condanna per tutte le donne,
responsabili, a causa della loro sciatteria e della loro stolta loquacità,
perfino dell’omosessualità dei mariti, rivela una sicurezza di odio che
non lascia adito a dubbi e che gli fa affermare cose che agli occhi di
oggi appaiono atroci: «O donne, fate voi che non mandiate più attorno i
vostri figlioli; mandate le vostre figliole che se pure esse fossero
prese e disonestate, almeno non v'è elli tanto pericolo e tanto peccato
quanto è quello (sodomitico)». (Le Prediche volgari, Siena, 1884).
Mi sono soffermata su
questo aspetto dell’azione della Chiesa perché il concetto di relativismo
adoperato dagli antropologi non può essere accantonato con facilità (per
esempio chiedendo scusa per il passato) dato che implica un continuo
dubbio sulle proprie certezze, salvo che si assuma quella straordinaria
sintesi della consapevolezza umana espressa da Georg Gadamer con la
formula «La coscienza storica è coestensiva alla vita».
Naturalmente sono sempre
esistiti ed esistono individui forniti di una particolare sensibilità ed
intelligenza, quei rari artisti, poeti, pensatori, scienziati di genio,
che riescono a porsi al limite, al confine della propria cultura, con un
piede al di là di ciò che appare ovvio e giusto nel contesto nel quale
vivono, e che intravedono gli errori del presente e dell’immediato futuro.
Ma quasi sempre non sono quelli di cui la maggioranza si entusiasma, o
quelli che la Chiesa dichiara santi. Nel caso di Bernardino, per esempio,
sarebbe facile dimostrare che egli condivideva le idee sugli ebrei, sui
sodomiti, sulle streghe, sulle donne comuni ai politici e ai teologi del
suo tempo; ma questo riconoscimento porrebbe definitivamente la categoria
della santità nella relatività della storia. E il santo sarebbe, come
l'eroe, colui che porta all’estremo limite i valori della sua «cultura».
Ma nessun antropologo si è mai sognato di affermare come «santa» nessuna
cultura.
Non esisterebbero, allora,
valori universali? La domanda, terribile, è appunto questa. Ma la cosa
ancor più terribile è il semplicismo con il quale i detentori del potere
hanno deciso oggi, di comune accordo fra laici e religiosi, di eliminarla.
Un esempio è sotto gli occhi di tutti, almeno in Europa: se in nessuna
epoca e in nessuna società è stato mai considerato ovvio uccidere
all’interno del proprio gruppo (valore universale), basta eliminare il
concetto di «gruppo» per far sì che non si uccida. Togliamo i confini
territoriali, togliamo i confini linguistici, togliamo i confini politici,
togliamo i confini etnici, religiosi e così via. Ma la specie umana è
fornita di un sistema logico che non sopporta contraddizioni. E la prima
contraddizione che la Chiesa trova sul suo cammino è quella di voler
difendere la «famiglia» nello stesso tempo in cui vuole universalizzare il
«gruppo». (Perciò non è un caso se il problema matrimoniale dei gay
viene alla ribalta in Europa insieme all'annientamento dei gruppi).
Universalizzare il gruppo
è una strada pericolosissima: non è stato sempre affermato che la famiglia
è la prima cellula della società? □ |