Sarebbe un passo fatale
verso la fine della società
La dissoluzione del gruppo sociale
nasce
quando si abbandona la guida della natura
per piegarla al singolo
di Ida Magli
il Giornale |
1 Agosto 2003 |
Secondo un comunicato dell'Ansa il Vaticano,
in un documento in data del 31 Luglio, definisce le unioni omosessuali
«nocive» per il retto sviluppo della «società umana» ed esorta i politici
a non commettere «l’atto gravemente immorale» di legalizzare in alcun modo
le coppie gay. Inoltre non deve essere consentito alle unioni omosessuali
nessun tipo di adozione di bambini. Sarebbe un atto di «violenza» contro i
minori, una «pratica immorale» in contrasto con i princìpi dell’Onu. Ho
riportato per esteso alcune frasi di questo comunicato per poterle
commentare senza la massa di reazioni retoriche con le quali sono state
immediatamente accolte e che vanno dall’accusa di ingerenza della Chiesa
nella società laica a quelle dell’omofobia, o all’incapacità della Chiesa
di riconciliarsi nel Regno dell’amore di Dio con i gay credenti, fino
all’immancabile protesta dei radicali che adoperano la Chiesa quando fa
loro comodo (per esempio il famoso indulto) ma che adesso invocano
l’intervento dell’Unione Europea, nuovo santuario dell’infallibilità.
Prescindiamo, dunque, dal concetto di
«immoralità» legato al patrimonio della fede cristiana sulla santità del
matrimonio e analizziamo, invece, la situazione così com’è per qualsiasi
società umana. Il matrimonio, pur in forme diversissime, è una istituzione
che è esistita in tutte le epoche e in tutti i luoghi, inventata
dall’umanità per assicurare la prosecuzione del gruppo attraverso la
procreazione e l’assistenza indispensabile alla lunghissima infanzia della
specie umana. L’antropologia ha accumulato una immensa documentazione
sulle «strutture della parentela», ma la conclusione è sempre la stessa:
niente è più organizzato, curato, previsto, obbligatorio quanto
l’istituzione matrimoniale e la cura della prole. E il motivo, del resto,
per il quale la società partecipa ovunque con tanta gioia alle cerimonie
nuziali: le nozze appartengono al gruppo, testimoniano che il gruppo
esiste ed esisterà. Perfino l’abito della sposa, malgrado l’erosione
subìta nel nostro tempo da ogni tipo di rituale, continua ad essere
importantissimo segno che è «lei» il personaggio centrale: il velo bianco,
la corona di fiori sulla testa, rappresentano la trascendenza di chi va al
di là della morte assicurando la vita.
Non è dunque questione che riguardi i
credenti (anche se ovviamente i dettami della Chiesa nel nostro mondo sono
importanti), ma questione che riguarda tutti noi come gruppo, come
società, come specie. Non c’entra né l’omofobia, né la libertà dei gay. Se
è stato ingiusto perseguitarli, disprezzarli, condannarli, a maggior
ragione, oggi, possiamo e dobbiamo rispettarli incitandoli a rispettare a
loro volta la struttura ordinata della società. Si rivolterebbe, infatti,
contro di loro, riportando alla memoria antiche convinzioni, la volontà di
omologare la società a se stessi, a quella che rimane comunque una scelta
individuale.
Non c’è dubbio, quindi, che la
legalizzazione dell’unione fra gay costituisca un gravissimo passo verso
la dissoluzione della società umana, una dissoluzione che, del resto, già
pericolosamente si intravede in molte forme delle biotecnologie. La
dissoluzione del gruppo nasce quando si abbandona la guida della natura:
natura che, anche quando è assunta a cultura, come appunto nelle strutture
della parentela, rimane sempre alla base dei comportamenti sociali,
collettivi. Si abbandona questa guida quando si mette il gruppo al
servizio del singolo individuo. Affermazione grave e complessa, ma alla
quale nessuno può sottrarsi. Se viene costretto a mettersi al servizio del
singolo individuo (come avverrebbe nell’istituzionalizzazione matrimoniale
delle coppie gay) il gruppo segna la propria fine. Perché, ovviamente,
l’individuo comunque muore.□ |