Eagle Forum
La
lezione della Danimarca all'Euro
DI
PHYLLIS SCHLAFLY
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La drammatica decisione
della Danimarca di scaricare l'euro reca in sé una lezione importante
sia per gli europei che per gli americani: la marcia verso l'economia globale
è fondamentalmente anti-democratica. Oggi l'abisso che separa i
sostenitori dell'euro e gli euroscettici si chiama deficit democratico.
Il referendum della Danimarca
il 28 settembre ha segnato la prima volta che veniva dato ai cittadini
di un paese la possibilità di esprimersi con il voto sull'abbandono
della propria moneta in favore dell'euro, la nuova divisa europea, ed è
stata rigettata da una maggioranza del 53 percento dei votanti. Nel
1998, i politici di undici paesi si erano riuniti per adottare l'euro,
appena inventato, senza dare ai loro elettori, cioè ad oltre 300
milioni di europei, la possibilità di votare sì o no.
Il referendum della Danimarca,
che ha registrato un'affluenza dell'88 percento, ha segnato uno smacco
di proporzioni record per i suoi sostenitori. Tutti i grossi nomi della
politica, del mondo degli affari e della stampa in Danimarca si erano impegnati
in una campagna appassionata in favore della moneta unica, il Primo Ministro
si era perfino unito ai cantanti di strada per comporre filastrocche che
esortavano a votare sì.
Il ripudio dell'euro
in Danimarca sta provocando seri contraccolpi in Inghilterra, dove sta
contribuendo all'improvvisa caduta libera dell'euro-entusiasta Tony Blair
nei sondaggi sull'opinione pubblica. Ciò evidenzia il fatto che la
battaglia dell'euro è soprattutto politica, non economica, dato
che la situazione economica dell'Inghilterra non è particolarmente
simile a quella della Danimarca.
Inizialmente il piano
sembrava tanto razionale, suonava così bene aiutare la storia a dispiegarsi
in una marcia inesorabile verso quello che il Cancelliere tedesco Helmut
Kohl chiamava il processo "irreversibile" dell'unificazione europea. Proprio
come gli Stati Uniti sono cresciuti e hanno prosperati evolvendosi dalle
tredici colonie iniziali, attraverso la maldestra Confederazione, fino
a diventare il potente paese di oggi, l'Europa doveva progredire attraverso
il mercato comune, l'Unione europea, la moneta unica chiamata euro e pervenire,
infine, agli Stati Uniti d'Europa.
Questa falsa analogia
non è riuscita a ingannare i danesi, che sono stati abbastanza accorti
da riconoscere l'euro come il cavallo di Troia necessario per aprire la
strada ad un super-Stato europeo che avrebbe annegato l'identità
e la sovranità nazionale sui confini, sulla difesa e perfino sulle
leggi interne di ogni nazione. Una moneta globale, o anche solo regionale,
permette che gravi decisioni politiche ed economiche vengano prese senza
tenere conto delle elezioni nazionali, il che chiaramente erode il potere
dell'auto-governo democratico.
I danesi si sono resi
conto che era in pericolo la sovranità del loro paese, e si sono
rifiutati di cederne il controllo a dei burocrati stranieri che non sono
tenuti a rendere conto di niente a nessuno. Come ha detto un leader danese,
"Se rinunciamo alla corona, non saremo più padroni in casa nostra".
Non c'è niente
di più antidemocratico delle burocrazie globali che mirano a controllare
le questioni monetarie internazionali. Si tratta di organismi come la Banca
Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), e l'Organizzazione Mondiale
del Commercio (Wto). Lo stipendio al top del FMI è di 364,000
dollari (circa 750 milioni di lire, ndt.) netti, ovvero più del
doppio dello stipendio lordo del Presidente Clinton.
A differenza di chi viene
eletto dai cittadini, per quanto possano essere disastrose le loro politiche,
questi burocrati globali non sono tenuti a risponderne davanti agli elettori.
E un disastro del genere è avvenuto con il meccanismo della moneta
unica messo in piedi dai mondialisti europei.
Quando l'euro fu lanciato
con grande fanfara il 4 gennaio, 1999, il cambio era un salutare 1.18 per
ogni dollaro Usa. C'era qualcuno in Europa che sognava addirittura che
l'euro arrivasse a sostituire il dollaro come moneta di scambio mondiale
e ai finanzieri internazionali piaceva l'idea di avere un'alternativa al
dollaro.
Ma l'euro ha perso continuamente
terreno, scendendo a meno del 75 percento del suo valore, fino ad arrivare
a valere, nel settembre 2000, solo 85 centesimi di dollaro. Il 22
settembre, la Federal Reserve ha unito gli sforzi con le banche centrali
europee per comprare euro e impedire cosìche continuasse questo
declino.
Il Ministro del Tesoro
Lawrence Summers e Alan Greenspan non vogliono dirci quanto ci è
costata questa operazione, ma si stima che sia nell'ordine di 10 miliardi
di dollari (ben oltre ventimila miliardi di lire, ndt). Naturalmente, né
ai cittadini americani e nemmeno ai parlamentari è stato permesso
di votare su questo uso del nostro denaro per frenare la discesa dell'euro,
così come non ci hanno permesso di mettere bocca sulla costosa serie
di salvataggi di paesi del Terzo Mondo effettuati da Clinton.
Sarà colpa della
mia distrazione, ma non mi sembra che qualcuno abbia sollevato queste questioni
durante i dibattiti presidenziali. O no?
Una moneta globale o
anche regionale, che sia controllata da dei burocrati in un paese straniero,
i quali non devono rendere conto di niente a nessuno, limita l'autogoverno
democratico in maniera drammatica. Toglie agli elettori non solo il controllo
della loro moneta ma anche di tutte le politiche economiche che ne conseguono,
di modo che decisioni importanti possono essere prese al di fuori delle
elezioni nazionali.
Uno dei lasciti principali
dell'Amministrazione Clinton, che lavora in tandem con le multinazionali,
è la cessione di pezzetti di controllo sulla nostra economia alle
burocrazie di Bruxelles, di Ginevra, dell'Aia, di Città del Messico
e di Pechino. E il peggio deve ancora venire, con la sfacciata pretesa
del Wto di far cambiare una certa tassa nazionale americana e con
quella del nuovo presidente del Messico, Vincente Fox, che esige che la
sua economia, che fa acqua da tutte le parti, venga integrata con la nostra.
Si potrà discutere
se l'economia americana tragga dei vantaggi o degli svantaggi dalle normative
di NAFTA, GATT, WTO e PNTR (Permanent Normal Trade Relations with China,
ovvero Rapporto Normali Permanenti con la Cina), ma èfuor di dubbio
che la democrazia americana ne esce sminuita. Mentre l'Inghilterra sembra
cominciare a rendersi conto della saggezza di Margaret Thatcher nel difendere
l'importanza della sovranità nazionale, ci chiediamo se gli americani
riusciranno ad imparare la lezione finché sono ancora in tempo.
Traduzione di Alessandra
Nucci
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Oct. 11, 2000
Eagle Forum
Lessons Of The
Euro
by PHYLLIS SCHLAFLY
Denmark's dramatic decision to ditch the euro holds an important
lesson for both Europeans and Americans: the march toward the
global economy is fundamentally anti-democratic. The gulf between
the euro advocates and the euroskeptics is now being called the
"democratic deficit."
Denmark's referendum on September 28 was the first time that the
people in any country were given the chance to vote on abandoning
their own country's money for the euro, the new European currency,
and they rejected it with a 53 percent majority. The politicians in 11
EU countries banded together in 1998 and adopted the newly created
euro without giving their constituents, 300,000,000+ Europeans, the
chance to vote aye or nay.
Denmark's referendum, with an 88 percent voter turnout, was a record
repudiation of their leaders. All the political, business and press
leaders in Denmark campaigned passionately in favor of the euro, the
Prime Minister even joining street singers to compose campaign
jingles urging a yes vote.
Denmark's rejection of the euro is having a ripple effect in England
where it contributes to euro-advocate Tony Blair's sudden free fall in
public opinion polls. This illustrates the fact that the euro battle is
primarily political, not economic, since England's economic
circumstance is not particularly similar to Denmark's.
Originally, the plan sounded so rational, so much like helping history
to unfold in an inexorable march toward what German Chancellor
Helmut Kohl called the "irreversible" process of unifying Europe. Just
as America grew and prospered by evolving from 13 colonies through
the clumsy Confederation to a mighty United States, Europe was
supposed to progress through the common market, the European
Union (EU), the single currency called the euro, and finally to a
United States of Europe.
This false analogy failed to fool the Danes, who were keen enough to
recognize the euro as the stalking horse for a European superstate
that would submerge national identity and sovereignty over each
nation's borders, defenses, and even domestic laws. A global or even
a regional currency enables major political and economic decisions
to be made outside of national elections, which clearly erodes
democratic self-government.
The Danes realized that the sovereignty of their country was at stake,
and they were unwilling to relinquish control to unaccountable foreign
bureaucrats. As an anti-euro Danish leader said, "If we give up the
krone, we won't be masters in our own house any more."
Nothing could be more anti-democratic than the global bureaucracies
that purport to manage international monetary issues, such as the
World Bank, International Monetary Fund (IMF), and the World Trade
Organization (WTO). The top salary at the IMF is a tax-free
$364,000, more than twice President Clinton's after-tax salary.
Unlike elected officials, these global bureaucrats do not answer to
the public no matter how disastrous their policies. And such a
disaster has occurred with the common-currency ploy of the
European globalists.
When the euro was launched with much fanfare on January 4, 1999,
it traded at a healthy 1.18 to the U.S. dollar. Some Europeans
dreamed that the euro would replace the dollar as the world's medium
of exchange and international financiers liked the notion of an
alternative to the dollar.
But the euro steadily declined, losing more than 25 percent of its
value, dropping to only 85 cents in September 2000. On September
22, the Federal Reserve joined European central banks to stop further
decline by buying euros.
Treasury Secretary Lawrence Summers and Alan Greenspan won't
reveal how much money was poured into this intervention, but
estimates are $10 billion. Of course, American citizens and even
members of Congress were not permitted to vote on using our money
to stop the hemorrhaging in the euro's value any more than we were
permitted to have any say about Clinton's series of costly Third World
bailouts.
Did I miss something, or did anyone raise these issues in the
presidential debates?
A global or even a regional currency, controlled by unaccountable
bureaucrats in a foreign country, severely diminishes democratic self-
government. It disfranchises voters from control not only over their
currency but also over all related economic policies so that important
decisions can be made outside of national elections.
A major legacy of the Clinton Administration, working in tandem with
the multinationals, is the ceding of bits and pieces of control over our
economy to bureaucracies in Brussels, Geneva, the Hague, Mexico
City and Beijing. The worst is yet to come, with the World Trade
Organization now impudently demanding that we change a certain
tax law and the new president of Mexico, Vicente Fox, calling for
integrating his floundering economy with ours.
It may be debatable whether the American economy is helped or hurt
under the rule of NAFTA, GATT, WTO and PNTR (Permanent Normal
Trade Relations with China), but it is undebatable that American
democracy is diminished. While England appears to be waking up to
Margaret Thatcher's wisdom in defending the importance of national
sovereignty, we wonder if Americans will learn this lesson in time.
Phyllis Schlafly column
10-11-00
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http://www.eagleforum.org/column/2000/oct00/00-10-11.shtml
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