ItalianiLiberi,
21 Novembre 2000
Nel giugno del 1996 Ida Magli e io
pubblicammo un libro-intervista (Baldini&Castoldi) dal titolo "Per
una rivoluzione italiana". Vi si esaminavano i problemi della politica,
della scuola, della sanità ecc. da punti di vista talmente originali
(per merito dell'intervistata) che il volume cadde in un pauroso silenzio.
Però, come si vede dal capitolo terzo, che ripubblichiamo con il
permesso dell'editore, a fare paura era soprattutto la novità delle
interpretazioni magliane, come quelle sull'Europa, oggi diventate attuali.
Si noterà anche che a quei
tempi difendevo l'Europa, con i più banali argomenti ancora oggi
in uso: non me ne vergogno affatto, all'antieuropeismo sono arrivato comunque
in anticipo, grazie a un eccellente maestro e dopo averci pensato bene.
Giordano Bruno Guerri
PER UNA RIVOLUZIONE ITALIANA
Capitolo terzo:
L'INTEGRITA' CULTURALE
Giordano Bruno Guerri
Hai detto che "la logica degli uomini
segue le stesse strade" in ogni Paese. Però hai scritto anche che
"il popolo è un Io", e che ogni popolo ha una sua identità.
Ida Magli
In genere il concetto di popolo è
stato collegato con il territorio, oppure con la lingua, oppure con la
struttura dello Stato. La religione, invece, non è stata quasi mai
riconosciuta come un tratto costitutivo di un popolo, tranne che per gli
ebrei. L'Occidente ha dato sempre rilievo, come fatto primario, alla storia
politica - battaglie, papi, re - e mai alla religione, sempre considerata
un fattore che accompagna un popolo, non che lo costruisce. E' stata l'antropologia
dei popoli "altri" ad avere messo in rilievo la religione, sia pure senza
definirla come vera e propria religione ma piuttosto magia, feticismo ecc.
Invece ogni religione è una cultura, una visione del mondo, e quindi
un popolo va definito prima di tutto in base alla sua religione.
Affermo che un popolo è un Io proprio
perché alcune delle strutture indispensabili alla formazione della
personalità di un individuo sono le stesse indispensabili alla struttura
della personalità di un popolo. Per esempio, un individuo difficilmente
è pensabile senza una sua convinzione riguardo alle persone care
che ha perso, al rivederle nell'aldilà; ossia senza sentimenti sui
rapporti che ha con gli altri e con la morte.
Allo stesso modo un individuo difficilmente
è pensabile senza consapevolezza di sé, senza il suo vedersi
al centro del passato e del futuro. Succede lo stesso per lo spazio: ognuno
di noi vede il mondo collegato geograficamente intorno al punto dove risiede.
Temporalmente il 1996 è l'anno che stiamo vivendo, contando dalla
nascita di Cristo, che è il passato in rapporto a noi. Spazialmente
ci consideriamo al centro di tutto il resto del territorio, che sarà
a nord o a sud, a est o a ovest rispetto a noi: non c'è differenza
fra la propria casa per un individuo e il proprio Paese per un popolo.
Infine è fondamentale la lingua, costitutiva dell'individuo come
di un popolo.
Dunque un popolo è un Io perché
possiede tratti che lo identificano come una "personalità", e gli
permettono di creare e di far sussistere - malgrado il passaggio delle
generazioni - dei legami fra tutti gli individui appartenenti allo stesso
gruppo. Per quanto oggi in Occidente questo bisogno di continuità
con le altre generazioni sia molto ridotto, tuttavia l'individuo non riesce
a pensarsi, a collocarsi nella storia, se non conosce almeno i suoi stretti
ascendenti, anche soltanto un solo genitore, come difficilmente sopporta
di non avere un figlio. E' il motivo (che non ha nulla a che fare con l'affetto,
retoricamente invocato dalla commozione della nostra società di
"buoni") per cui un figlio di ignoti non si dà pace nel tentativo
di rintracciare la madre, e molte coppie sterili vogliono un figlio a tutti
i costi: senza riferimenti nel passato e nel futuro l'individuo non riesce
a dimostrare di esistere.
Quasi tutti questi tratti sono (o diventano)
simultaneamente sia biologici sia culturali. Pensiamo alla mimica, che
appartiene alla fisicità e tuttavia è dettata da un insieme
di atteggiamenti acquisiti culturalmente. Konrad Lorenz e altri etologi
hanno fatto molte ricerche per individuare una somiglianza mimica, in determinate
situazioni, fra l'uomo e altre specie animali. L'espressione del dolore
fisico, per esempio, si riconosce subito in molte specie, anche se in questo
caso la somiglianza è in parte condizionata dalla percezione simile
dello stimolo doloroso. Mentre l'insieme normale e stabile dell'atteggiamento
mimico è sicuramente culturale: parlare in fretta, gesticolare molto,
appaiono i tratti distintivi degli italiani perché‚ la mimica è
così contagiosa che l'individuo l'assume senza volerlo, sia che
la tragga da una famiglia sia che la tragga da un popolo. Si dice persino
che le coppie di sposi vissute insieme per molti anni alla fine si somigliano:
è la "plasticità biopsichica" di cui parla Franz Boas, uno
dei più grandi antropologi, purtroppo conosciuto pochissimo in Italia.
Facciamo un altro esempio: quando un italiano
arriva in Svezia, anzitutto lo colpisce che parlano tutti sottovoce. La
verità è che non parlano sottovoce ma che, siccome noi parliamo
a voce più alta, ci sembra che loro parlino sottovoce, mentre è
il loro tono normale. Basta questo per capire come ogni giudizio sia relativo
alle culture; ma anche come sia difficile non equivocare nei rapporti interculturali:
ci accorgiamo più difficilmente di quanto qualcuno sia arrabbiato
se - contrariamente a noi - non alza la voce quando litiga: cosa certo
pericolosa, perché non saremo in grado di valutare se sta per aggredirci.
Su questi problemi gli antropologi hanno accumulato moltissimi materiali
di ricerca che, ovviamente, i nostri politici ignorano.
GBG
Fatta questa premessa possiamo affrontare
due problemi: l'immigrazione e il nostro rapporto con l'Europa. Cominciamo
dai cosiddetti extracomunitari. La mia fin troppo facile impressione è
che per la maggior parte della gente siano degli invasori, sgradevoli,
antipatici, e che quasi soltanto le autorità - politici, intellettuali,
Chiesa - dimostrino tolleranza e apertura.
IM
Soprattutto la Chiesa. L'ansia distruttiva
della Chiesa nei confronti dell'Italia la spinge a incitare a tutti i costi
le autorità italiane e l'opinione pubblica ad accogliere gli immigrati.
Certo, la Chiesa non è consapevole di questa motivazione profonda,
che ritengo sia anche dovuta all'odio contro le donne italiane che adesso,
per la prima volta, non le obbediscono, le sfuggono. Nel mondo islamico
le donne sono del tutto sottomesse all'autorità del padre o del
marito, vivono in funzione della casa e della procreazione. Rappresentano
insomma quel perno della stabilità della famiglia che la Chiesa
ha sempre ritenuto indispensabile per una ordinata società cristiana
e che Wojtyla invoca ormai ogni giorno, condannando tutto quello che la
pone a rischio. In questo improvviso entusiasmo per l'Islam la Chiesa è
sicuramente fiancheggiata dagli uomini di punta dell'Occidente, perché
il femminismo - anche se apparentemente accettato in nome dell'uguaglianza
- ha lasciato e lascia troppi conti in sospeso nel rapporto tra i sessi.
Gli italiani, in genere, sopportano male
l'immigrazione, anche perché non possono discutere il problema nei
suoi termini reali, accuratamente nascosti e mistificati nel consueto meccanismo
della falsità. A impedire una valutazione obiettiva delle emozioni,
dei sentimenti, delle motivazioni dei cittadini scattano immediatamente,
infatti, il tabù del razzismo da una parte, la carità piagnona
dall'altra. Si verifica così una specie di razzismo alla rovescia,
un'etichetta pregiudiziale che cataloga e definisce i cittadini senza ammettere
verifiche e riscontri. Anche in questo caso perciò, come sempre
in Italia, si scontrano due "fedi".
Gli extracomunitari sono visti come invasori
dalla maggior parte degli italiani perché qualsiasi specie difende
il proprio territorio. Nella specie umana, per di più, il territorio
non è soltanto indispensabile alla sopravvivenza biologica, ma è
anche un tratto costitutivo della sua identità di "popolo". Quindi
se supero i confini di quel territorio, invado quel popolo. Non è
vero che l'invasione avviene solo se il numero degli stranieri è
talmente grande da sopraffarli. Anche se il numero è modesto, come
nel caso degli zingari, può scattare l'insofferenza. Ognuno di noi
si sente invaso se entra in casa anche una sola persona estranea non invitata.
Infatti la legge italiana è severissima su questo: nessuno, neanche
un poliziotto se non è autorizzato, può entrare in una casa.
Costringere gli italiani a non temere invasioni è una vera e propria
violenza psicologica, sociale e culturale: anche per la configurazione
territoriale aperta da tutti i lati tranne il nord, e la storia di invasioni
continue dalla fine dell'Impero romano all'ultima guerra.
GBG
Però ci sono delle distinzioni
spontanee di cui si deve tenere conto: nessuno ha mai avuto da ridire sull'arrivo
massiccio dei filippini. E' perché rispetto ai mussulmani hanno
una cultura più simile alla nostra, in quanto cattolici?
IM
Probabilmente è per questo. Ma
anche perché arrivano per prime le donne, che comunque appaiono
meno pericolose, a parte il fatto che assolvono a una funzione che in Italia
non vuole più svolgere nessuno, quella del servizio domestico. Ormai
la cultura occidentale si muove verso il modello svedese, dove il servizio
domestico è proibito. Neanche le famiglie più ricche se lo
permettono, e non si possono fare lavori domestici per altri, neanche a
titolo amichevole. Inutile dire che, se non fosse una "democrazia socialista"
a imporlo, tutti si accorgerebbero della incredibile dittatura che viene
esercitata e della tacita ma feroce vendetta contro la libertà delle
donne, che infatti lavorano come pazze in Svezia perfino di più
che negli altri Paesi europei.
La cura del corpo è la più
bassa, la più umiliante, tanto che vi sono sempre stati adibiti
gli schiavi, oltre alle donne. In Italia le figure più "basse" sono
state sempre le "serve" (ritenute, insieme alle infermiere, poco diverse
dalle donne di malaffare): per questo nessuno lo vuole fare anche se è
un lavoro ben retribuito. Tuttavia non si vuole esplicitare neanche il
motivo, tanto è ancora imbarazzante, dolorosa, umiliante, la storia
che lo riguarda: il "servizio del corpo".
GBG
Quindi l'immigrazione è sentita
come invasione problema soprattutto in base a chi arriva: in questo caso
i mussulmani.
IM
Non è proprio così, perché
qualsiasi inserimento estraneo è sentito come trauma: e solo in
base alle motivazioni l'uomo accetta o non accetta anche i traumi. Durante
la seconda guerra mondiale la maggioranza degli italiani ha desiderato
e atteso lo sbarco delle truppe americane reprimendo lo spontaneo senso
di smarrimento di fronte all'invasione. Naturalmente c'è anche il
fatto che il pericolo non si percepisce nella sua gravità fino a
quando non c'è una numerosità stabile e tale da diventare
visibile: anche se fossero molti tedeschi, molti inglesi a comprare la
casa e a stabilirsi in Italia, svilupperemmo ostilità contro di
loro.
Comunque à vero, gli italiani sentono
come invasore proprio il mussulmano: in gran parte perché è
facilmente riconoscibile, perché è povero e perché
ha una cultura diversa dalla nostra. Non solo terribilmente diversa ma
anche superata: il mussulmano in realtà è un uomo dell'Antico
Testamento, fermo a un'epoca prima di Cristo, sebbene Maometto sia vissuto
cinque secoli dopo Cristo. E ci sta fermo davvero: anche gli ebrei stanno
fermi all'Antico Testamento, però si sono occidentalizzati quanto
alla modernizzazione della vita; le donne israeliane fanno il servizio
militare, sono del tutto equiparate agli uomini, e così pure le
ebree americane o quelle tedesche. In molti Paesi mussulmani invece la
legislazione è ancora quella del taglione, quella dell'Antico Testamento.
Tagliano le mani ai ladri, fustigano in piazza gli omosessuali, lapidano
le adultere Tutte cose che in passato abbiamo fatto anche noi e che - proprio
perché le abbiamo superate trovandole sbagliate e ingiuste - oggi
ci ripugnano. Suscitano minore ostilità religioni del tutto estranee
come il buddhismo o l'induismo, perché non ci mostrano quella nostra
stessa faccia che con tanta fatica abbiamo ripudiato.
In Occidente si è presa l'abitudine
di chiamare "integralisti" tutti quei gruppi che, per ragioni religiose,
compiono gesti che a noi appaiono eccessivi, irrazionali o violenti. Ma
si tratta di un errore macroscopico, dettato da quel che ci piacerebbe
fossero le religioni: tutte belle, buone e accettabili. In realtà
una religione è sempre integralista, ossia "assoluta", perché
si fonda su una fede. E il mondo occidentalizzato non è integralista
soltanto perché non è più "religioso" nel senso vero
del termine. Ci sono ebrei non credenti che continuano a fare la circoncisione
perché rappresenta un sigillo etnico, di appartenenza di gruppo,
non soltanto religioso. Ma il mussulmano non credente è difficile
trovarlo. E' inutile illudersi: l'islamico non è né fanatico
né non fanatico. E' islamico, ossia è credente. Come eravamo
credenti noi quando facevamo le crociate.
Insomma, è impensabile che una religione
forte - e quella islamica è forte - si subordini al cristianesimo,
dato che il cristianesimo è una religione sui generis e in definitiva
debole, perché troppo simbolica. E' una religione che ha permesso,
sia pure dando soltanto i primi input, l'itinerario dell'Occidente, ossia
il cammino verso la laicità. Dunque l'unica speranza per noi è
tenere i mussulmani il più possibile a distanza. Anche perché,
pur volendo tenere conto di sentimenti umanitari - ai quali comunque non
credo - l'Italia non può salvare il mondo. E' un'idea predicata
solo dalla Chiesa, come se dipendesse da noi la salvezza di miliardi di
poveri... D'altra parte non ha senso salvarne uno, salvarne due, salvarne
dieci, quando ci sono miliardi di esseri umani che non possiamo "salvare".
GBG
Affronteremo questo problema. Ma, intanto,
lo Stato cosa dovrebbe fare? La legislazione sugli extracomunitari viene
giudicata o troppo debole o troppo dura, comunque non accontenta nessuno.
IM
E' indispensabile una legislazione rigida
per fare in modo che almeno non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici
sono una popolazione forte, con una religione forte, che non possono in
alcun modo essere integrati nel nostro contesto (come in nessun altro contesto:
vedi l'esempio francese), anche se lo volessero, ma naturalmente non lo
vogliono. L'integrazione è impossibile già al livello, che
sarebbe indispensabile, delle leggi: perché il Corano è un
codice sia civile sia religioso. Questo rende l'islamismo fortissimo e
immodificabile, perché un testo sacro non lo si può manipolare
secondo i bisogni. Questo significa anche che tutto quello che noi abbiamo
così duramente conquistato nel corso della storia, ossia l'affermazione
di un'etica scissa dal sacro, è incompatibile con la loro visione
del mondo. Noi non dobbiamo imporre a loro la nostra: è una cosa
che abbiamo fatto in passato ed era una violenza gravissima. Ma proprio
perché sappiamo bene a quali irrimediabili conflitti si va incontro,
abbiamo il dovere e il diritto di prevenirli.
Oltretutto tra le religioni monoteiste
quella islamica, essendo radicata nel pensiero dell'antichità, è
più vicina alla sensibilità dei popoli meno sviluppati culturalmente.
Per questo in Africa nel confronto tra cristianesimo e islamismo, vince
l'islamismo. Il cristianesimo ha inglobato le due massime creazioni del
mondo greco-romano, la filosofia e il diritto, ed è quindi troppo
colto, troppo complesso per popoli così poco allenati alla riflessione
sistematica. L'islamismo invece corrisponde, almeno per gli aspetti di
affidamento rituale e magico, a certi loro atteggiamenti culturali, perciò
è immediatamente comprensibile.
GBG
Insomma, sarebbe conveniente non accogliere
molti mussulmani. Si può essere d'accordo sulla convenienza, ma
un provvedimento che discrimini gli uomini in base alla religione andrebbe
contro la Carta dei Diritti dell'Uomo, il diritto internazionale, la Costituzione...
IM
Gli islamici, nei loro Paesi, non rispettano
la Carta dei Diritti verso le donne, quindi non hanno diritto a imporre
a noi - venendo in Italia - di non rispettarla a nostra volta. Anzi, questo
dovrebbe essere esplicitamente il motivo dell'Italia, e dell'Occidente,
per rifiutare l'accoglienza. Anche in base alla Costituzione i governi
hanno il dovere di difendere il nostro territorio. E difenderlo, oggi,
non significa certamente soltanto difenderlo dalle aggressioni armate.
Lo Stato italiano tradisce i cittadini quando protegge gli immigrati -
perfino i clandestini - con normative troppo blande, perché ha garantito
la difesa del territorio della nazione, che oggi viene invasa "pacificamente".
Lo Stato ha garantito la proprietà individuale: ma imporre la presenza
degli zingari, addirittura usando la polizia contro i cittadini residenti
come stanno facendo alcuni sindaci - sapendo bene che la loro caratteristica
culturale è proprio quella di non rispettare la proprietà
- è tradire i cittadini.
Dove vanno a finire gli infiniti salamelecchi
alla democrazia in cui siamo soliti sprofondare? Non so immaginare quale
orrore, quale mobilitazione susciterebbe un governo politico che osasse
imporre ai sudditi la privazione dei più importanti diritti sociali
e perfino dell'integrità fisica, come avviene presso diverse popolazioni
musulmane africane con le mutilazioni sessuali femminili. Le mutilazioni,
quelle sessuali in particolare, sono estranee alla cultura europea fin
dalle epoche più primitive che conosciamo. I romani, che conoscevano
la mutilazione del pene attraverso gli Ebrei, ne avevano orrore. Le mutilazioni
imposte alle donne, con la clitoridectomia e la cucitura della vagina (chiamata,
per ragioni di evitazione linguistica, infibulazione), sono però
di una gravità che non ha confronto con la circoncisione. E, sebbene
si cerchi di tenerle nascoste, l'Organizzazione Mondiale della Sanità
calcola che le donne mutilate siano attualmente circa 90 milioni.
L'infibulazione è un problema molto
vivo già in Francia, anche se non si ama parlarne e i giornali danno
risonanza solo alla questione dello chador; ma lo diventerebbe presto anche
in Italia. Se ne discusse, sia pure molto confusamente, durante il governo
Craxi. C'era chi sosteneva che siccome lo Stato italiano garantisce a tutti
le cure sanitarie, le USL avrebbero dovuto operare anche la clitoridectomia
e l'infibulazioneà
GBG
L'obiezione che molti oppongono è:
se non li aiutiamo noi, lo fanno lo stesso e senza precauzioni igieniche
o tecniche mediche. In Somalia, Etiopia, Egitto, lo Stato proibisce quelle
pratiche: ma per evitare che vengano fatte in casa, in condizioni disastrose,
molti medici occidentali che lavorano negli ospedali del posto le eseguono
con l'anestesia, gli strumenti sterilizzati, la camera operatoria e suturazioni
che danneggino il meno possibile.
IM
Mi sembra una scelta inaccettabile: è
la loro cultura, mi batto per cambiarla, ma se non ci riesco non sarà
loro complice neanche a fin di bene: non bisogna mai accettare il principio
per cui il fine giustifica i mezzi. E' come se dicessi: non accetto la
condanna a morte però, siccome si soffre meno con l'iniezione che
con l'impiccagione, allora ti faccio l'iniezione.
Comunque, non bisogna mai dimenticare che
ogni cultura è un tutto, con una sua logica interrelata di significati,
di valori, di comportamenti: non si può né esportare né
importarne un pezzo senza tutto il resto. Di conseguenza lo scontro sarebbe
inevitabile. Proprio perché rientra nell'ambito di un progetto scientifico
fare previsioni, anche se a lungo termine, il problema dell'immigrazione
va visto anche e soprattutto in funzione delle difficoltà che creerà
inevitabilmente in futuro.
Ad esempio, nella nuova legge sugli extracomunitari
si riconosce il diritto al ricongiungimento con i familiari. Ma siccome
la legge italiana ammette una sola moglie, è stato stabilito che
il musulmano che ne avesse più d'una ne potrà far venire
una sola: non è giusto. E cosa faremo quando troverà la moglie
con l'amante e - in base ai suoi diritti - l'ammazzerà?
GBG
Lo si condannerà: ogni Paese fa
rispettare il proprio codice penale agli stranieri.
IM
D'accordo: ma gli si farà un tremendo
torto culturale, come loro lo farebbero a noi se, nei loro Paesi, ci condannassero
"giustamente" alla fustigazione per avere bevuto alcool. Per questo ogni
popolazione ha il suo territorio e per questo - anche - ogni popolazione
dovrebbe rimanere nel suo territorio.
So bene che queste considerazioni appaiono
durissime all'abituale retorica del "vogliamoci bene" e dello "spirito
di tolleranza", ma il problema è sempre lo stesso: la specie umana
è contraddistinta dal sistema logico, prodotto dall'encefalo, e
sussiste solo per l'attività di questo sistema. In base a questo
giudizio-guida, la tolleranza del vogliamoci bene diventa necessariamente
l'abbattimento delle differenze. Ossia, per non incorrere nella "contraddizione"
che di per sé renderebbe inutilizzabile il sistema logico, è
il sistema logico stesso a indurre al non-giudizio: eliminare le differenze.
Infatti senza differenze è impossibile qualsiasi tipo di valutazione.
Perciò la strada sulla quale cammina la specie umana è quella,
convergente, del proprio annientamento attraverso l'annientamento delle
differenze su due fronti: sul fronte biologico l'eliminazione delle barriere
immunologiche poste dal DNA; sul fronte encefalico-cognitivo l'eliminazione
dei dati di giudizio. Questa convergenza, in campi così apparentemente
lontani l'uno dall'altro, è invece soltanto la prova che nella direzione
verso la quale si muove la cultura non sono possibili contraddizioni.
Anche lo scienziato è frutto dell'attività
encefalico-cognitiva che caratterizza la specie umana, quindi non può
fare altro che enunciare i termini logici in cui si manifesta la condizione
della specie: spera, affidando un'enunciazione come questa alla capacità
logica degli uomini, che la specie cambi direzione, in modo da sopravvivere.
E' un suo diritto in quanto organismo biologico, ma anche la sua ribellione
alla vittoria finale della stupidità.
GBG Allora andiamo fino in fondo:
se è un problema di territorio e di cultura, che ne sarebbe degli
zingari?
IM
Non possono essere considerati aggressori
perché sono poco numerosi, e perché la loro è una
cultura etnica, non fondata sulla religione, quindi non tendono a esportarla;
tuttavia è il loro stesso modo di vivere che è diventato
intollerabile per gli italiani. Il problema è che non si integrano
mai. E' una cosa veramente fuori della ragione. Non si può chiamarli
"nomadi" quando stanno da quarant'anni fissi in una città, ma si
ostinano a fingersi nomadi pretendendo di vivere in una casa con le ruote.
E' assurdo, e la specie umana non sopporta tutto quello che è assurdo.
GBG
E' nomade il popolo che si sposta da un
posto all'altro impossessandosi di quello che trova: proprio perché
è nomade non riconosce il concetto di proprietà, che costringe
a essere stanziali. Ancora oggi gli zingari vivono di furto, anche se non
si può dire. Quindi bisogna costringerli a integrarsi?
IM
Sicuramente si può porre loro l'alternativa:
o tornare nelle nazioni di provenienza o accettare il principio di realtà.
Del resto sarebbe nel loro interesse, perché vivono male.
GBG
Però anche la loro è una
cultura.
IM
Certo che è una cultura, ma esiste
il dramma delle culture finali, delle culture che muoiono, anche se non
sappiamo ancora perché. Quella degli zingari è morta. Infatti
non produce niente: anche gli ebrei spesso non si integrano, ma la loro
è una cultura viva. Proprio perché è viva, conservano
alcuni temi per loro essenziali e si fanno le loro scuole, i loro ospedali
ecc.; però accettano il lavoro, la tecnologia, si adattano alle
regole politiche principali del luogo dove vivono.
GBG
Sono quasi sempre d'accordo con te, ma
non su questa tenace difesa del territorio e della cultura. Amo l'idea
di un internazionalismo e di uno scambio continuo di culture che finirà
per mischiare tutti i popoli di un mondo in cui - per forza - prevarranno
gli usi, le culture, le tecniche migliori per l'uomo.
IM
L'internazionalismo non è possibile,
perché è antivitale per la specie. Le specie hanno bisogno
delle differenze: l'ha affermato perfino Claude Lèvi-Strauss, innamorato
delle culture che siamo abituati a definire come primitive. Le culture
non si devono omogeneizzare, perché senza differenze la natura muore.
Sai immaginarti un mondo in cui tutti i cani - è un esempio minimo,
ma lo faccio perché apprezziamo le varie razze - siano uguali? Per
la specie umana è la cultura che stabilisce la differenza; non la
pelle, il pelo, o l'altezza.
L'umanità ha bisogno di stimoli:
nelle culture primitive l'uguaglianza non permette lo sviluppo individuale,
e quindi la creatività. Lo stesso è accaduto con il marxismo
radicale nell'Est: culturalmente i Paesi sovietici non hanno prodotto quasi
nulla.
GBG
Ma è inevitabile che - con l'integrarsi
delle economie, la velocità degli spostamenti, la comunicazione
via computer - si arrivi prima o poi a rendere simili la vita e la cultura
di quasi tutto il pianeta.
IM
No, non ci si arriverà, a meno
che la specie non abbia deciso di uccidersi. Cosa che a me pare probabile.
Per fortuna però la specie umana può sempre correggersi,
grazie all'attività cerebrale che le permette di ragionare. Il pericolo
esiste soprattutto perché i potenti non vogliono che i popoli ragionino.
GBG
Ma si ha l'impressione che l'unione europea
non interessi agli italiani, nonostante sondaggi di opinione poco credibili.
E' un tema che non è entrato nelle coscienze, anche se stampa e
politici ne parlano retoricamente. Non soltanto gli italiani non si sentono
europei, ma anche il nostro Parlamento è sempre l'ultimo a recepire
le direttive comunitarie. Come vedi la nostra posizione e il nostro futuro
in Europa?
IM
E' vero che gli italiani non l'hanno mai
sentita: prima di tutto come "problema", ossia come qualcosa su cui riflettere.
In secondo luogo come "sentimento" cui in qualche modo aderire. Credo che
questo atteggiamento sia vero non soltanto per l'Italia ma per tutti i
Paesi europei. Sono stati i leader, i detentori del potere, i politici,
a ritenerlo importante. Per quanto riguarda gli italiani, i politici hanno
puntato sull'Europa (più o meno consapevolmente) perché,
non essendoci una forte identità nazionale italiana, si potesse
superare il problema della non appartenenza nazionale creando quella europea.
GBG
Mi sembra un'ipotesi ottimistica: ci sarebbe
già un pensiero "alto". L'idea dell'Europa unita è nata nel
dopoguerra soprattutto per motivi politico-militari-economici, come difesa
dallo strapotere sovietico e americano. Oggi si tratta più che altro
di una questione economica, di interesse.
IM
Ho sempre l'impressione (però è
solo un'impressione) che i politici intuiscano le cose anche quando non
sono intelligenti. La volontà di mantenere il potere aguzza l'ingegno,
li spinge a percorrere strade che li rafforzano. Questo spiega anche perché
in genere arrivano al potere persone mediocri, mentre quelle veramente
intelligenti non ci riescono. Oppure, anche se ci arrivano, dopo un po'
lo lasciano, o si fanno lasciare. Essere molto intelligenti non è
utile per dominare la gente.
I politici inoltre si rafforzano tra politici.
Anche per l'Europa hanno ragionato così: mi aggancio alle istituzioni
degli altri Paesi attraverso l'Europa, il Parlamento europeo, le commissioni
europee, e rafforzo il mio potere. Le motivazioni economiche non sono quelle
reali, anzi sono negative per tutti i popoli. L'avere accentrato il mercato
europeo ha portato più danni che vantaggi a tutti, ma soprattutto
all'Italia. Se si escludono due o tre grosse industrie che hanno interesse
a un mercato che però è mondiale, non soltanto europeo, per
il resto le piccole aziende, agricole o industriali, fanno benissimo da
sé il proprio scambio commerciale.
Quanto agli aspetti politico-militari,
i popoli europei si sono sempre dilaniati: non c'è un popolo d'Europa
che non abbia fatto la guerra contro gli altri, o che non si sia momentaneamente
alleato a uno per far meglio la guerra a un altro. E siccome la memoria
storica è genetica (anche la cultura si eredita) non c'è
bisogno di conoscerla o di averla vissuta. Gli inglesi odiano i francesi,
i francesi odiano i tedeschi e così via: noi, più o meno,
abbiamo sempre odiato tutti. Perciò l'appartenenza all'Europa come
comunità che superi le singole nazionalità, non soltanto
è utopica, ma assolutamente impossibile da raggiungere.
GBG
Tralasciamo l'economia e la storia, che
ci portano troppo fuori tema. Da quello che hai detto sugli extracomunitari
- l'Europa non ti dovrebbe convincere soprattutto dal punto di vista antropologico,
dello scambio culturale.
IM
Infatti sono convinta che si tratta di
un grave errore. Tutti i Paesi europei percepiscono l'immigrazione come
fonte di problemi irrisolvibili; noi però, a causa della nostra
più fragile coscienza di identità nazionale, saremo più
facilmente distrutti da questo impatto...
GBG
Scusa, ti interrompo perché frasi
come "noi saremo distrutti" sanno di nazionalismo. A me il fatto che l'Italia
scompaia come forma nazionale non dà alcun fastidio, se questo serve
a integrarci in una grande comunità più ricca, più
civile, migliore. Non sento la bellezza dell'italianità, come non
sento quella della giapponesità o della marocchinità. Conta
l'individuo, e conta che tutti stiano meglio.
IM
Prova a metterla così: se domani
ti dicessero che non sei più Giordano? Ecco: un popolo è
come un Io. L'individuo, da solo, non può sopravvivere. Ha bisogno
del gruppo. Un gruppo però, per essere tale, ha a sua volta bisogno
di distinguersi come gruppo. Non si può pensarsi, sentirsi gruppo
in mezzo ad altri cinque miliardi di uomini o a comunità di centinaia
di milioni di uomini che si vuole rendere gruppo con un trattato.
GBG
Non avverrebbe di colpo, trattato o non
trattato, e non sarebbe una perdita d'identità ma una lenta trasformazione
d'identità, un reciproco assorbire dall'altro, come avviene nei
matrimoni, nei gruppi piccoli. In definitiva, non ci sarebbe una perdita
ma un cambiamento: e, per noi, probabilmente benigno.
IM
Le integrazioni avvengono con assimilazione
dei deboli da parte del gruppo culturale più forte. E' il motivo
per il quale, ad esempio, esistono le lingue nazionali pur sussistendo
i dialetti. Però non siamo mai riusciti a fare vivere l'esperanto.
L'inglese è diventato una lingua dominante perché gli Stati
Uniti sono culturalmente e politicamente i più forti, ma una lingua
uguale per tutti - come sarebbe l'esperanto - non può vivere. Quello
che accade per la lingua, che è uno dei fenomeni fondamentali per
riconoscere il comportamento della specie umana, così accade per
tutto il resto. E fa bene la Francia a difendere il francese, perché
in questo modo difende un patrimonio con il quale ha prodotto. Siccome
i valori della specie umana non sono quelli della sopravvivenza biologica
- ma la produzione del pensiero, delle arti, della filosofia, della scienza
- allora difendere un patrimonio creativo non significa detestare gli altri
o sentirsi superiori.
Sentirsi obbligati all'uguaglianza è
un pregiudizio tipico della nostra epoca. Se si pensa sempre bene di tutti,
in realtà non si ha rispetto neanche per se stessi.
GBG
Non intendevo "pensare bene", ma prendere
il meglio dagli altri: riprendendo le tue ultime parole, il popolo italiano
non ha molto di che rispettare se stesso. Forse avremmo da guadagnare assorbendo
di più dai francesi, dai tedeschi, dagli olandesi.
IM
Il punto è la solita insicurezza
degli italiani, un'insicurezza di tipo storico-politico. I detentori del
potere hanno permeato gli italiani di questa insicurezza, convincendoli
che l'unica cosa importante sono i potenti, nei confronti dei quali sono
dunque costretti a riconoscersi deboli. La forza degli italiani è
la loro produzione culturale, ma gli italiani non vi si identificano, perché
tutti i potenti, a cominciare ovviamente dalla Chiesa, l'hanno impedito.
Basterebbe pensare che si esce dalla scuola ricordandosi solo due nomi
di italiani, scelti entrambi per ragioni politico-religiose: Dante e Manzoni.
Che, ovviamente, non sono "geni". Gli italiani non riescono a identificarsi,
a trarre forza, dall'italianità di Leonardo, di Verdi, di Michelangelo,
di Galileo, di tanti grandissimi geni di cui non conoscono neanche il nome.
E' per questo che non abbiamo un'identità vera, un'appartenenza
vera. Gli italiani soffrono di una debolezza di appartenenza perché
la loro storia politica è manchevole e, bene o male, lo sanno. Però
perdere l'identità culturale ci distruggerebbe del tutto, perché
quella politica continuiamo a non averla.
GBG
Fai esempi di geni per lo più parecchio
lontani: abbiamo anche Fermi, Marconi, Pirandello, è vero, ma quale
popolo non ha geni recenti? Insomma, mi sembra che il nostro vanto culturale
debba fermarsi al Cinquecento: mi può fare piacere, ma francamente
non riesco a sentirmi né orgoglioso né tantomeno partecipe
di quella genialità.
IM
Visto che abbiamo avuto alcuni dei geni
assoluti e universali di tutta la storia della specie, ci possiamo infischiare
di quelli "minori"? I geni assoluti sono rarissimi: difficilmente ci sarà
un altro Galileo, un altro Leonardo, un altro Mozart, un altro Einstein
nel giro di mille anni. Ma, anche se si escludono i geni assoluti, tutta
la storia degli italiani è contrassegnata da innumerevoli geni in
tutti i campi. Non si possono neanche elencare, perfino in quel Seicento
e in quel Settecento di cui si suole tacere. Biologia, chimica, fisica,
letteratura, scultura, pittura, architettura, musica sono talmente contraddistinte
dal genio italiano che noi - come accade per tutto ciò che è
ovvio - neanche ce ne accorgiamo. Dici che non ce ne sono, di geni recenti?
Perfino nelle epoche più vicine a noi e socialmente più derelitte,
funestate da dittature e da guerre, da Pirandello a Marconi, da Puccini
al gruppetto di via Panisperna, a Mascagni, a Eduardo, ce ne sono stati.
Ma noi siamo pronti, come sempre, a negare a loro e a noi qualsiasi dignità,
a distruggerci, a dedicare monumenti, strade, scuole, ospedali a miserevoli
ometti - ai vari Togliatti e Pertini di turno - dei quali ci dichiariamo
umili adoratori, servi osannanti, felici di piegarci davanti al potere.
GBG
Ma gli italiani, più degli altri
popoli, sono certi di essere i migliori al mondo, i più intelligenti,
i più creativi. Forse lo siamo stati in certe epoche, di sicuro
non ora.
IM
In realtà gli italiani pensano
di essere più furbi degli altri, quindi non rivendicano un vero
valore. Pensano che, pur essendo deboli, se la cavano. "Io speriamo che
me la cavo" è il loro motto. Il libro omonimo ha avuto tanto successo
perché gli italiani ci si sono riconosciuti, con la loro solita
finzione, perché lo diceva un bambino. Quindi partono da una debolezza:
riconoscono di essere deboli, politicamente, davanti agli altri, ma sempre
in modo implicito, rifugiandosi nella finzione del non-detto.
GBG
Per i più la furbizia non è
un semplice valore, è lo strumento indispensabile per vivere: dipende
dal fatto che abbiamo sempre dovuto guardarci da chi ci governava, non
abbiamo mai potuto avere fiducia.
IM
Perciò il furbo è colui
che è riuscito a sopravvivere al potere più coercitivo che
sia mai esistito, ma che non è mai stato neanche definito come una
dittatura. E' difficile dire a tutto il mondo - che si inchina davanti
al papato - "Guardate che noi siamo stati sempre oppressi dai papi, e continuiamo
a essere oppressi, anche se dobbiamo fare finta di non esserlo". Da ciò
la furbizia degli italiani, la furbizia di Arlecchino servo di due padroni:
chi è debole di fronte al potente ha una sola strada per salvarsi,
quella di imbrogliarlo.
Per l'italiano però c'è potente
e potente: chi ha il potere politico è stato più fortunato,
oppure c'è nato, oppure è stato più furbo. Ma nel
grande divo, nel grande cantante, nel grande sportivo - di cui si innamorano
- apprezzano le doti di per sé... Non si sente dire che Coppi o
la Magnani erano furbi.
La dannazione degli italiani è la
loro storia politica. Solo di Mussolini non hanno pensato che era un "furbo",
e si sono fidati con i risultati che sappiamo.
Il dramma di chi arriva al potere - vale
per Mussolini come per tutti gli altri - è che lungo il cammino
perde il principio di realtà, perché deve dimostrare a se
stesso che è capace di spingere gli uomini alla morte. Da Clinton
che vuole governare "il Mondo" ai nostri miseri Craxi o De Mita fino a
Wojtyla, il problema è sempre lo stesso: si convincono che siamo
i sudditi, siamo il loro corpo, e che non devono preoccuparsi di altro
se non aumentare il loro potere.
Siccome il meccanismo di chi arriva ad
avere un vero potere è sempre questo, e lo dovremmo sapere, la colpa
è di chi sta sotto e li incoraggia su questa strada, invece di trattenerli.
Noi oggi ci troviamo di fronte agli stessi meccanismi, anche se sembrano
più mediocri, più modesti di quelli di Napoleone, di Hitler
o di Mussolini. E se ci inchiniamo alla democrazia - che non ci fornisce
strumenti per ribellarci ai detentori del potere - compiamo lo stesso errore.
GBG
E' affascinante sentirti sviluppare gli
argomenti nelle direzioni più diverse, secondo il tuo sistema e
la tua logica, ma dobbiamo tornare all'Europa.
IM
Gli italiani non ci guadagnano nulla dall'Unione
Europea, anche perché non sono disposti a riconoscere qualità
agli altri popoli se non si sentono un pochino più sicuri. Anzi,
si difendono sempre dalle qualità degli altri perché ne temono
gli aspetti negativi: i francesi si vantano della loro cultura, il marco
ci schiaccia, e così via. Gli italiani sono disposti a riconoscere
qualche virtù solo agli americani, prima di tutto perché
stanno lontano, poi perché conservano l'immagine dei salvatori,
soprattutto agli occhi di quelli che hanno vissuto il momento terribile
della guerra; infine perché gli italiani credono che gli americani
siano facili da raggirare: "Sono ricchi, bonaccioni, bambinoni, che ci
vuole a mettersi d'accordo con un americano?" Riecco la furbizia. Ma con
gli europei si svilupperebbero conflittualità, aggressività
paurose. Bisogna retrocedere sulla strada dell'Europa, e lo devono fare
tutti i popoli, non solo noi. Naturalmente i nostri uomini politici non
ne avranno mai il coraggio, anche perché l'Europa rafforza il loro
potere: è stato indicativo, in questo senso, il modo in cui il presidente
della repubblica, il capo del governo, i partiti, hanno grottescamente
enfatizzato il famoso "turno italiano di presidenza europea" - finché
faceva loro comodo - per poi dimenticarselo di colpo?).
GBG
Continuo a credere che possiamo solo guadagnare
da una maggiore vicinanza con i popoli dell'Europa protestante e ricca.
IM
Forse, ma non è possibile l'unione!
Se un popolo è un Io, un individuo. E un individuo è tale,
intanto, come organismo biologico. E' questa unicità biologica che
provoca il rigetto nei trapianti di organi: è la difesa fondamentale
dell'individuo, riconosce tutto ciò che non gli appartiene e impedisce
"invasioni". Si tratta dello strumento più intelligente creato dalla
natura per la fondazione della varietà delle specie e dei singoli
organismi. La medicina sta tentando di vincere queste difese, per poter
effettuare i trapianti, ma annientare il processo di riconoscimento biologico
comporta rischi terribili, sui quali nessuno ancora si azzarda a fare previsioni.
Come a un certo punto non saremo più individui, e neanche "specie",
lo stesso accadrà per i popoli.
GBG
Dai per scontato che le caratteristiche
dei popoli siano già formate, e che quindi dobbiamo andare avanti
così, ognuno sulla propria strada. Ma i popoli sono recentissimi:
francesi, tedeschi, italiani hanno al massimo mille anni, millecinque.
Tu dici che la specie sta per scomparire ma - se così non fosse
- i popoli hanno di fronte a sé decine di migliaia di anni. Dunque
è come se dicessi a un bambino di sei anni: "Visto che sei analfabeta,
devi rimanerlo per sempre."
IM
Anche se per popolo si intende un gruppo
ben configurato, che ha alle spalle mille anni, la sua storia culturale
è molto più vecchia. Noi, per esempio, abbiamo tutta la storia
di Roma. Gli ebrei, a giudicare dall'Antico Testamento, hanno per lo meno
dieci o dodicimila anni, e prima ancora chissà quanti ne avevano.
E' la storia culturale che forma un popolo, non l'immediatezza stabile
di un territorio o di un gruppo. Altrimenti noi dovremmo dire che siamo
nati col 1870.
GBG
Dodicimila anni sono comunque pochi, in
rapporto a un futuro molto lungo. E poi: nel senso che dici tu, allora
negli Stati Uniti non c'è un popolo, mentre è il popolo che
si sente più "Io".
IM
Franz Boas ha insegnato a studiare le
culture "dal punto di vista dell'indigeno", ossia con i significati vissuti
e percepiti dall'interno. Gli Stati Uniti, dal punto di vista della storia,
certamente non sono un popolo. Però dal punto di vista dell'indigeno,
ossia da come si sentono loro, lo sono. Perché loro si sentono popolo
e a noi sembra che non lo siano? La risposta è semplice: gli americani
hanno un fortissimo senso di appartenenza perché sanno bene di essersi
conquistati la loro terra, ed è una conquista recente, un ricordo
ancora vivo; ma hanno alle spalle anche una storia culturale - inglese,
francese, spagnola - complicatissima e importantissima. Così usufruiscono
sia della forza di un gruppo giovanissimo sia di quella del passato culturale
europeo. Nessuno dunque può essere più sicuro di sé
degli americani.
Nel suo ultimo discorso alla Nazione Clinton
ha detto: "Dobbiamo rimanere i migliori del mondo." Forse noi avremmo un
po' di scrupolo, ci sembrerebbe per lo meno poco delicato, dirlo al mondo...
ma loro lo fanno con assoluta semplicità. E si sforzano davvero
di esserlo, si "sacrificano" nella veste di salvatori pur di conservarsi
fedeli all'immagine di "migliore".
GBG
L'Unione Europea ci aiuta a migliorare
la nostra legislazione, imponendoci degli accordi, stimolando leggi: per
esempio sulla sicurezza nel lavoro, sulle molestie sessuali, persino sui
calciatori stranieri...
IM
In generale le normative comuni sono pericolose
perché impediscono la libertà di cercare, quindi di trovare
qualcosa di meglio. Le nostre norme per la sicurezza sul lavoro, ad esempio,
sono carenti soltanto per colpa dei nostri politici e dei nostri sindacati.
E di conseguenza, come al solito, per la passività degli italiani,
che sarebbero sicuramente in grado di capire da sé quali sono i
migliori sistemi di sicurezza. Non conviene davvero imbarcarsi per l'Europa
solo per ottenere una normativa, è sufficiente che siano gli italiani
a combattere per averla.
E' pericolosissima, invece, una normativa
comune sul piano dei valori, si tratti del comportamento sessuale o di
qualsiasi altro. L'uguaglianza di significati e di costumi annienta la
specie umana. Non è possibile essere sicuri che la normativa sulle
molestie sessuali sia la migliore: la storia, ancora più dell'antropologia,
ci insegna che quel che ci sembrava giusto ieri, non ci sembra giusto oggi.
Domani probabilmente ci accorgeremo (io me ne accorgo già adesso)
che il concetto di molestie sessuali è di per sé terribilmente
ambiguo. Fare una normativa simile per tutti impedirà però
- per un tempo molto più lungo - di ripensarla e cambiarla. Ma soprattutto
il rapporto fra i sessi non può mai essere fisso e uguale per tutti,
dato che è vissuto psicologicamente in base ai costumi culturali.
Una legge che lo regoli è di per sé non soltanto sbagliata,
ma anche coercitiva: un'espressione tipica del potere. Su questa strada
saremo sottoposti ad una dittatura mondiale, contro la quale nessun individuo
libero avrà più speranza di poter far sentire la sua voce.
Quanto ai calciatori stranieri, in questo
caso la violenza del potere è talmente gratuita da rivelare meglio
che in qualsiasi altra occasione il suo vero volto: dominare i sudditi
proprio là dove potrebbero sfuggirgli, nelle passioni apparentemente
irrazionali, in un gioco che invece è metafora di battaglia e di
vittoria, dunque del potere stesso. Per questo gli italiani hanno investito
nel calcio molto più che gli altri popoli: per la loro particolare
debolezza di fronte al potere.
GBG
Allora diciamo che ci conviene stare in
Europa perché l'Europa ha politici migliori, più efficienti,
dei nostri.
IM
Tutti i Poteri riuniti nel Parlamento
europeo hanno interesse a unificare il corpo dei sudditi perché
è più facile dominarlo. Con l'Europa gli italiani portano
su di sé il peso del raddoppio dei governanti.
GBG
Parliamo di individui, allora. Io mi sento
molto più simile e molto più vicino a un radicale inglese
o a uno storico tedesco piuttosto che a qualsiasi signore di Belluno o
di Lecce.
IM
L'uguaglianza fra tutti gli uomini è
un concetto meta-fisico - un valore mentale, etico - perché in realtà
siamo tutti diversi. Allo stesso modo anche il senso dell'appartenenza
all'italianità è meta-fisico, perché siamo tutti diversi
gli uni dagli altri. Io, per esempio, mi posso sentire più simile
a un tedesco perché amo la musica classica e una forma di pensiero
analitico, ma questo non toglie nulla al fatto che appartengo al popolo
italiano. E' ovviamente un errore pensare di dover difendere tutto quello
che è italiano.
GBG
Portando alle estreme conseguenze il tuo
discorso, dovremmo arrivare a proporre lo Stato dell'Etruria, la Repubblica
di Venezia ecc., oltre alla Padania di Bossi.
IM
Sicuramente questo è un problema
enorme. Bisogna riconoscere che Bossi, ponendolo in maniera così
violenta, così grossolana, ha compiuto una delle opere più
importanti per spingere in avanti sia un individuo sia un gruppo: ha avuto
la forza, il coraggio - forse la sprovvedutezza - di rompere l'ovvio. In
Italia non si poteva parlare male di Garibaldi, adesso si può parlare
male di Garibaldi. E siccome non si poteva parlare male di Garibaldi perché
avevamo paura della fragilità dell'unità italiana, lo scossone
dato da Bossi è servito a rafforzarla invece che a indebolirla.
Non sappiamo se la secessione è
possibile ma sarebbe un errore madornale per il nord, oltre che per il
resto dell'Italia. Non possiamo soffermarci su questo argomento perché
ci porterebbe troppo lontano, però dire "il nord" o "la Padania",
come fa Bossi, è sbagliato: le regioni dell'alta Italia non sono
una unità: se non forse sul piano economico, ma l'economia non è
sufficiente a fondare un popolo. Il nord ha alle sue spalle l'enorme complessità
e ricchezza che contraddistingue la storia di tutto il Paese, una storia
che lo differenzia, lo frammenta, ma nello stesso tempo lo unisce. Come
sarebbe possibile, perciò, fingere che la cultura bizantina di Venezia,
l'arte, la lingua, l'essenzialità estetica dello spirito di Mantova
appartengano a una regione, a una città italiana più che
a un'altra? In Italia le differenze sono innumerevoli, ma si mantengono
vitali soltanto lasciando che si intersechino, che si incontrino e si scontrino,
che assumano forma in rapporto l'una all'altra. Il nord, se perde l'Italia,
perde la sua storia, come del resto il centro e il sud.
La realizzazione effettiva delle autonomie
locali, perciò, sarebbe un riconoscimento della situazione di fatto
e di conseguenza sicuramente un bene, in base alla logica che obbliga la
specie umana a seguire il principio di realtà. In Italia le differenze
fra i singoli gruppi, le lingue, i dialetti, le appartenenze storiche,
le abitudini alimentari e addirittura gli orari quotidiani, sono profondissimi,
e tanto vale riconoscerle. Il che non significa, però, ritornare
indietro al Granducato di Toscana. Non distruggerebbe l'Italia, anzi la
aiuterebbe, un federalismo da studiare bene nella sua organizzazione concreta,
e non lasciato, al solito, all'incultura sbrigativa dei politici. Lo stato
centrale dovrebbe garantire forti autonomie locali e economiche, dando
quindi ai singoli gruppi la possibilità di svilupparsi creativamente
nell'ambito della propria storia.
GBG
Insisto: portando alle conseguenze estreme
il tuo discorso sulle diversità culturali e sul fatto che un popolo
non è tale solo perché si è unito politicamente, dovresti
essere favorevole a uno Stato indipendente della Sicilia e a uno Stato
indipendente della Sardegna: perché quelle sono veramente culture
che hanno un'identità millenaria, molto più diversa da quella
"italiana" dei liguri o dei toscani.
IM
E' vero, ed è infatti uno dei problemi
che vanno studiati di più. Credo che sarebbe meglio per tutti se
la Sicilia e la Sardegna fossero Stati indipendenti. Ma qui vogliamo solo
dare degli input su problemi da studiare a fondo, nelle rispettive competenze
e con il massimo della obiettività scientifica.
GBG
Tornando all'internazionalismo, la diffusione
del turismo - se non servirà a unire i popoli, a renderli più
simili - per forza di cose li aiuterà a capirsi.
IM
Che gli italiani viaggino è un
bene; che ricevano tanti turisti invece è pericoloso. E' una delle
cose che danneggia maggiormente il senso civico degli italiani: il turismo
non aiuta né a imparare a lavorare, né a imparare un senso
civico personale, la propria identità, la propria appartenenza.
Il turismo è utile a chi già possiede queste caratteristiche
ma, viceversa, porta gli italiani ad aggravare i loro difetti: per esempio,
a non considerarlo un lavoro. In molte località di villeggiatura
il turismo è vivo soltanto due o tre mesi all'anno, col risultato
che gli abitanti pretendono di campare su quello che hanno guadagnato in
quei mesi e caricano eccessivamente i prezzi. Il turista quindi diventa
il pollo da spennare con furbizia: e la furbizia non fa aumentare né
il rispetto per se stessi né per l'altro, oltre che diventare un
ennesimo sistema per non lavorare... Gli italiani non amano lavorare perché
sono stati sempre oppressi, così opprimono il turista per non lavorare.
GBG
D'altra parte gli italiani che vanno all'estero
tornano con la convinzione, sbagliata, che l'Italia sia il posto migliore
del mondo. Non solo il più bello ma spesso anche il migliore.
IM
Agli italiani non piacciono l'organizzazione,
la disciplina, il rigore degli orari che quasi sempre caratterizzano gli
altri Paesi dell'occidente. Sono tutte cose che considerano negative, oppressive,
perché manifestazioni di quel potere loro nemico, cui non sanno
opporsi se non con la furbizia. Pensano: siamo furbi perché abbiamo
fregato il padrone, il prete, l'"altro". Tutti.
La diffusione di questo
articolo è libera e gratuita, gentilmente citando la fonte.
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