1. IL LIBRO DEI SOGNI
Un itinerario indispensabile per chi voglia
capire un po’ più da vicino che cosa si prefigga l’Unione
Europea è la lettura del Trattato di Maastricht. Se ne può
vedere il testo (di cui politici e giornalisti si sono sempre
guardati bene dal mettere neanche il più piccolo frammento nelle
mani dei cittadini) nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee, edizione in lingua italiana. Sarebbe importante comparare
le traduzioni in tutte le lingue degli Stati Membri in quanto la
comprensione di molti termini è diversa da una lingua all’altra.
Ma è diversa anche la comprensione percettiva di certi concetti
da parte dei singoli popoli in base allo specifico contesto
storico, culturale, psicologico, politico in cui i diversi popoli
vivono. È sufficiente pensare, per esempio, ad alcuni termini
chiave quali: integrazione, comunità, concertazione, cultura,
Stato di diritto, coesione economica e sociale, politica sociale,
che per gli Italiani sono sovraccarichi di significato a causa
delle lunghe, accesissime battaglie che si sono svolte e si
svolgono da parte di partiti e sindacati sul modo di interpretarne
ed attuarne i contenuti. Il problema delle lingue, tuttavia, che
pure è fondamentale in tutti gli aspetti dell’Unione, non viene
minimamente affrontato, cosa che basterebbe da sola a far capire
con quale superficialità (ma sarebbe più preciso definirlo
disprezzo) sono state evita te le differenze fra i popoli, perfino
a quel livello primario che è la impossibilità di far coincidere
le lingue anche nella più perfetta delle traduzioni.
Del resto questo è un problema sui quale i
parlamentari europei sono soliti scherzare, ben sapendo quanto sia
approssimativo il modo con il quale discutono gli argomenti e le
decisioni da prendere attraverso la pseudo-comprensione che gli è
permessa dalla frettolosa immediatezza delle traduzioni
simultanee. Ma che importa? Bruxelles pubblica diligentemente
volumetti su volumetti in tutte le lingue degli Stati Membri,
accumulando "carta" all’infinito, con un aumento
esponenziale di burocrazia in "bruxellese", che nella
loro secolare lentezza e pazienza innumerevoli uffici
amministrativi dovranno studiare, interpretare, mettere in atto in
ogni singolo Stato. Ma, di nuovo, che importa? Il problema di come
far funzionare il mastodontico corpo dell’Impero europeo viene
per ora allegramente gettato dietro alle spalle. (Così come viene
gettato dietro alle spalle il costo di Bruxelles di cui i popoli
non conoscono neanche una cifra approssimativa.) (…) L’impressione
globale che si trae dalla lettura del Trattato è quella di un
incredibile stupore. Sembra di trovarsi di fronte ad un progetto
da libro dei sogni. Ideato e scritto, tuttavia, con la dura,
concretissima e astuta abilità professionale di economisti,
banchieri e sindacalisti comunisti (molto simili a quelli
italiani). Il principio inespresso (ma a volte anche espresso) che
lo sorregge è ben chiaro: si decide a tavolino quali risultati si
vogliono raggiungere; questi risultati sono sicuramente buoni in
quanto stabiliti da coloro che governano. L’altro principio
inespresso, e questo perché addirittura è dato per scontato, è
che i programmi decisi a tavolino dai governanti si realizzeranno
con certezza in quanto i popoli sono oggetti passivi delle
decisioni prese e non ci si aspetta da loro nessuna reazione se
non l’obbedienza, la conformità anzi, più totale.
Il Trattato, dunque, si configura come un
macroscopico progetto di potere che supera, svuotandoli, i
Parlamenti.
Elimina i governi nazionali con un governo
sopranazionale, e anche se formalmente il governo nazionale
rimane, perde la sua importanza in quanto diventa esecutore di
quello che deciderà il governo europeo. Insomma cambia del tutto
il meccanismo del Potere. Ci sarà un gruppo di Imperatori, i Venti,
che siederanno nella Commissione che governa l’Europa ed è
a questo posto che aspirano i vari fanatici europeisti che
imperversano in Italia, Germania e Francia con la loro religione.
Fra l’altro alcuni uomini politici stanno premendo perché al
principio dell’unanimità che era stato stabilito per il Governo
Europeo venga sostituito quello della maggioranza, il che
significa che è già superata di fatto l’idea dell’uguaglianza-parità
dei singoli Stati membri. Insomma gli "ideali" su cui
affermavano con tanta tracotanza di volersi e potersi basare i
fondatori dell’Unione si dimostrano, come è naturale, fuori
dalla realtà. Ci saranno perciò Stati più importanti e altri
meno, anche se sotto la forma "democratica" della
votazione a maggioranza In conclusione, con l’Unione Europea si
sta preparando la più forte delle dittature imperialistiche che i
popoli abbiano mai sperimentato.
L’elenco degli scopi che si trovano all’inizio
del Trattato sarebbe sufficiente, anche senza commento, a far
comprendere due cose. La prima è l’enormità quasi impensabile,
fuori da qualsiasi principio di realtà, del progetto stesso.
Evidentemente dettato dalla "esaltazione" psicologica
ispirata dalla caduta del muro di Berlino ("Rammentando l’importanza
storica della fine della divisione del continente europeo" si
dice nella premessa). Un’esaltazione che comporta la convinzione
che il Bene ha vinto sul Male, e che l’Uomo, dunque, è
"buono". L’Unione Europea, infatti, è tutta costruita
su questo presupposto: il regno del Male è finito. Gli Stati,
così come gli individui, inaugurano l’Era della bontà. E, come
sappiamo, il presupposto di Marx che finalmente può essere
affermato, dimenticando come una disgraziata parentesi tutte le
dittature che l’avevano impedito. La seconda cosa è l’enormità
del senso di Potere sugli uomini che i Capi possiedono, e che è
veramente terrificante nella sbandierata democraticità dei
governanti d’Europa. il Trattato di Maastricht è il documento
più assoluto, la prova inoppugnabile che i governanti sono
incapaci perfino di pensarla la democrazia, ossia di rinunciare
anche alla più piccola briciola di potere. Anzi, diciamo meglio.
L’Unione Europea è un progetto che serve a rilanciare il Potere
in un mondo in cui questo è debole. I Governanti sono così
costituzionalmente convinti che nessun potere possa essere
veramente delegato che lavorano all’accentramento con la più
disinvolta libertà. Il loro senso del potere è molto più
temibile di quello da cui si ritenevano investiti Re o Imperatori
dato che questi lo facevano dipendere dalle Divinità (il Faraone
egiziano tanto quanto gli Imperatori medioevali in Europa).
Adesso, invece, proprio perché sono delegati dal popolo, il
Potere è senza limiti, affidato soltanto alla loro sconfinata
volontà di potenza, alla loro incapacità di vedere la propria
misera limitatezza. A parte il fatto che gli Imperatori, i
Condottieri, i Generali, da Alessandro Magno a Cesare a Napoleone
a Hitler sapevano di dover ricorrere alla propria intelligenza,
alla propria capacità e responsabilità personale, al proprio
coraggio nel condurre azioni di conquista o strategie politiche, e
che le sconfitte erano loro tanto quanto le vittorie. I
governanti-dittatori di oggi invece si rifugiano dietro qualcosa
che è rigido, neutro ed esiste di per sé: i parametri
finanziari. Nessuno potrà mai incolparli di nulla. I costruttori
di Maastricht, tuttavia, enunciano "il proprio attaccamento
ai princìpi della libertà, della democrazia, e del rispetto dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello
Stato di diritto".
Come sia possibile programmare le norme della
vita per 375 milioni di uomini nei rigidi articoli di
Maastricht affermando il proprio attaccamento ai principi della
libertà, è uno dei tanti interrogativi cui non si sa come
rispondere. Non si vogliono forse raggiungere degli scopi che
sconvolgono proprio questi diritti? Come si può, se non
ingannando se stessi e i "propri" popoli (si esprimono
graziosamente così i firmatari di Maastricht) pensare l’integrazione
europea se non travalicando quello che dicono di voler
rispettare: "la storia, la cultura, le tradizioni"? Cosa
sono per i politici dell’Unione la storia, la cultura, le
tradizioni? Parole vuote dato che l’Unione è un progetto che
annienta proprio la storia, la cultura, le tradizioni. (…) Forse
non sanno di che cosa parlano visto che, attraverso gli
"indirizzi comuni" si propongono appunto di plasmare i
popoli, omogeneizzandoli, ossia facendogli perdere le proprie
fisionomie culturali.
2. UN POPOLO-CREMA
La parola "integrazione" qui (come in
moltissimi altri passi del Trattato) risuona con una accezione
positiva perché allude ad una esperienza concreta comune nel
raggiungere uno stato nuovo da costituenti materiali diversi
(perfino una cuoca si rallegra nel veder integrarsi l’uovo, il
latte e la farina preparando una crema). Ma per quanto riguarda i
popoli un sistema di vita è così complesso e dipende da un tale
numero di elementi significativi e interdipendenti che l’integrazione
forzosa non è possibile se non facendo emergere e imponendo un
fattore in modo che domini sugli altri. E comunque un popolo-crema
è privo di forma, e come tale non è un popolo.
Non si capisce, poi, come si possa affermare di
voler rispettare le libertà fondamentali quando subito dopo i
governanti si dichiarano: "decisi a istituire una
cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi". Di nuovo
qui ci si trova di fronte alla violenza fortissima di una
decisione di potere presa a tavolino senza tener conto né di
storia, né di cultura, né di affetti. La
"cittadinanza" è il risultato di un lungo processo
storico, il riconoscimento di una appartenenza che si forma col
passare del tempo, psicologicamente, emotivamente,
linguisticamente, territorialmente nella coscienza dell’individuo.
Ma per questi nuovi cittadini sarà impossibile perfino percepire
il trauma del passaggio ad una nuova appartenenza visto che quella
di arrivo non esiste. Dirsi "europeo" è ben difficile
senza potersi aggrappare né alla lingua corrispondente, né a un
territorio che abbia un confine riconoscibile almeno nella propria
mente.
Sebbene siano gli economisti e i banchieri a
comparire come i governanti del migliore dei mondi possibile, è
Karl Marx il profeta del Trattato. Ovviamente per il fatto che il
Trattato riserva la maggior parte delle regole ai problemi
finanziari, all’organizzazione economica dell’Unione; ma
soprattutto perché il risultato che i governanti si prefiggono è
la "riduzione all’identico" dei popoli che
saranno sottoposti alle Istituzioni europee. Non si giungerà,
forse, a indossare tutti lo stesso vestito come in Russia o in
Cina, anche se, a giudicare da una delle ultime imprese del
Parlamento di Bruxelles, la strada sembrerebbe proprio quella.
Sono state fissate le misure cui debbono rispondere i sedili dei
mezzi di trasporto pubblici. Gli Inglesi si sono opposti perché:
"il loro sedere è più piccolo". Staremo a vedere ma la
prossima mossa necessariamente sarà quella di fissare le misure
bruxelliane giuste per i sederi di tutti gli Europei. Quello che
si vuole ottenere comunque è proprio l’eliminazione di
qualsiasi differenza: psicologica, culturale, sociale, etica,
politica.
Il Trattato, infatti, afferma che gli Stati
Membri: "si impegnano a seguire indirizzi comuni nella
sanità, nell’istruzione, nella cultura, nella ricerca...".
Se si va al di là delle belle parole che vengono usate: coerenza
reciproca delle politiche nazionali e della politica
comunitaria, coordinamento delle azioni, integrazione,
solidarietà, sviluppo e così via, ci si rende conto che un
programma simile di abbattimento delle differenze di comportamento
fra gli Stati e i Popoli in tutti i campi non era mai stato
pensato, né da un Impero come quello romano, né da condottieri e
dittatori come Alessandro Magno, come Napoleone, come Hitler.
Soltanto il cristianesimo, con Costantino, si è proposto di
cambiare totalmente la vita dei popoli imponendo lingua, costumi,
etica, scienza, diritto. E, tuttavia, il cristianesimo si faceva
vanto di essere portatore di una visione del mondo, e in base a
questa visione, affermata come la più alta e nobile che si fosse
mai presentata sulla terra, dettava norme di vita ai Capi dei vari
Regni esistenti, cui i popoli dovevano adeguarsi. Cuius regio
eius etiam religio.
Gli attuali economisti-condottieri, invece,
parlano soltanto di moneta, di mercati, di bilanci, e tengono ben
nascosta l’idea che li muove: la formazione di un Impero
governato in base alle strutture economiche, ossia da loro. La
loro religione è la nostra. Potrebbe sembrare incredibile che la
riduzione all’identico venga decisa e attuata dopo che le
esperienze sovietiche, cinesi, cambogiane (solo per citare le più
clamorose) hanno dimostrato a quali conseguenze conducano tali
ideali e i sistemi per realizzarli. Ma è proprio questo il
pericolo maggiore del progetto europeo: tiene nascosto il suo vero
volto sotto un fitto intreccio di misinterpretazioni, di giudizi
preventivi, di impenetrabilità, di incomprensibilità del modello
complessivo. Tuttavia i fatti sono questi: sotto la benevola
dizione di "indirizzi comuni" (…) i cittadini dei vari
Stati saranno plasmati in un unico calco. Con una ulteriore
finzione, poi, dato che la parte sociale del Trattato prevede, nel
massimo delle contraddizioni, che i popoli siano uniti ma distinti
fra loro, più o meno come nella formula teologica del Dio
cristiano che è Uno ma distinto in Tre Persone. Soltanto che la
teologia non pretende di essere razionale... I popoli membri dell’Unione,
infatti, seguiranno gli stessi indirizzi nel campo dell’istruzione,
della sanità, della ricerca, della cultura, dell’ambiente,
della politica estera, dell’ordine interno... Qualcuno, forse,
crede di poter pronunciare ancora la parola libertà? E che cosa
significa "indirizzo"? Per prima cosa ci dovrà essere
chi stabilisce quali siano questi indirizzi e ci si può attendere
che sarà il rappresentante di maggior prestigio e potere all’interno
della Commissione a far prevalere le sue convinzioni. (…)
(3) Una delle conseguenze più
immediate del Centralismo Europeo sarà l’aumento macroscopico
della rigidità di tutte le strutture sociali, economiche,
politiche, e della loro gestione burocratica. (…)
Se si pensa che già per quanto riguarda la
disoccupazione, la mancanza di flessibilità viene indicata da
tutti gli operatori (oggi perfino dai sindacati) come uno dei
fattori che incidono di più, ci si rende conto che aumentare la
rigidità - e dunque la mancanza di libertà - diventerà un vero
dramma. (…)
Di fatto tutte le norme dell’Unione portano
alla mancanza di libertà, chiamata rigidità, perfino in quel
campo dei mercati per il quale tanto affermano di battersi i suoi
ideatori. Si tratta di principi autoritari che privano i popoli e
gli Stati della libertà in tutti i campi, assoggettandoli ad una
forzata omogeneizzazione e chiudendoli all’interno dell’Europa.
Si è detto che lo scopo principale è quello di ingrandire e
rafforzare il mercato, dato che i singoli Stati sono troppo
piccoli per poter competere con il mercato americano e con quello
asiatico. Ma anche ammesso che questo sia vero, nessuno impedisce
alle singole aziende di associarsi e svolgere liberamente la loro
attività con tutto il mondo, mentre quello che persegue l’Unione
Europea è l’affermazione sul mercato non delle singole aziende
ma dell’Europa, controllandone rigidamente tutte le azioni.
Questo scopo è dettato forse più di quanto
non si dica dalla volontà di sottrarsi all’influenza dell’America
e poter competere con essa. Non soltanto nel campo del mercato, ma
anche dal punto di vista politico, militare, culturale (…)
Per ora, abbiamo le norme del Trattato di
Maastricht a dirci che cosa dobbiamo fare e quale sarà il nostro
futuro. E sono così sicure da dettarci nei più minuti
particolari perfino il cammino per produrre scienza e arte. Se
analizziamo quelle che riguardano la ricerca sarà facile per
tutti comprendere che le deliberazioni del Trattato di Maastricht
sono più coercitive e antiliberali di qualsiasi istituzione
medioevale. Lo spirito che le ha dettate è sempre lo stesso:
dominarne i risultati unificando le strade attraverso la molla del
denaro.
Articolo 130 H, I: "La Comunità e gli
Stati membri coordinano la loro azione in materia di ricerca e
sviluppo tecnologico per garantire la coerenza reciproca delle
politiche nazionali e della politica comunitaria".
II. "La Commissione, in stretta
collaborazione con gli Stati membri, può prendere ogni iniziativa
utile a promuovere il coordinamento di cui al paragrafo I".
Articolo 130 I: "Il Consiglio.., adotta un
programma quadro pluriennale, che comprende l’insieme delle
azioni della Comunità ... Il programma quadro: fissa gli
obiettivi scientifici e tecnologici da realizzare mediante le
azioni previste dall’articolo 130 G e le relative priorità;
indica le grandi linee di dette azioni; stabilisce l’importo
globale massimo e le modalità della partecipazione finanziaria
della Comunità al programma quadro, nonché le quote rispettive
di ciascuna delle azioni previste. 2. 11 programma quadro viene
adattato o completato in funzione dell’evoluzione della
situazione. Il programma quadro è attuato mediante programmi
specifici sviluppati nell’ambito di ciascuna azione.
Ogni programma specifico precisa le modalità
di realizzazione del medesimo, ne fissa la durata e prevede i
mezzi ritenuti necessari. La somma degli importi ritenuti
necessari, fissati dai programmi specifici, non può superare l’importo
globale massimo fissato per il programma quadro e per ciascuna
azione. {...] 4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza
qualificata, su proposta della Commissione e previa consultazione
del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta
i programmi specifici".
Articolo 130J: "Per l’attuazione del
programma quadro pluriennale, il Consiglio: fissa le norme per la
partecipazione delle imprese, dei centri di ricerca e delle
università; fissa le norme applicabili alla divulgazione dei
risultati della ricerca".
La semplice lettura di questi articoli è di
per sé impressionante. Ma non si può non ribellarsi se si
comprende sia l’ipocrita astuzia dell’uso di determinati
termini, sia a che cosa si giunga con la loro concreta
realizzazione. Il primo comma dell’articolo 130 H è sotto
questo aspetto un capolavoro: le parole chiave sono
"coordinano", "garantire" e
"coerenza". Tradotto nella lingua reale: nessuno può
fare nulla al di fuori di ciò che è ordinato (è questo il
significato del "garantire") e prefissato dalle uniche
Autorità che governano l’Unione Europea: la Commissione e il
Consiglio. Le coordinate e la coerenza rappresentano appunto l’assolutezza
"logica" dell’obbligo. E’ lo stesso meccanismo messo
in atto per tanti secoli dal sistema di pensiero toelogico: l’obbedienza
discende dalle premesse. Naturalmente, come in tutte le
deliberazioni del Trattato, non viene mai detto che, se si devono
seguire indirizzi comuni, qualcuno dovrà stabilire quali siano. L’abbiamo
già notato in precedenza, ma nella parte che riguarda la
"ricerca" (viene accuratamente evitato il termine
"scienza" sul quale l’opinione pubblica è più
sensibile) non è neanche accennato il fatto che per
"coordinarsi" bisogna sapere prima su che cosa. Inutile
dire che a decidere sarà la Commissione. (…)
L’impalcatura sovietica del programma
pluriennale, che ha portato al disastro a tutti ben noto perfino
l'agricoltura di per sé ricchissima della Russia, compare con
assolutezza dittatoriale nel Trattato di Maastricht. Maastricht
infatti ignora la Storia, disprezza qualsiasi riflessione critica
sulle conseguenze del comunismo (si ritiene che quelle negative
siano state semplicemente un incidente di percorso), e trova -
esso sì con cooperazione e coerenza - il suo più naturale
appoggio nei cattolici, pur abbondantemente presenti nelle
istituzioni europee. Certo, l’abbiamo già detto, il comunismo
è l’ultima incarnazione del cristianesimo. Ma nell’Unione
Europea l’abbraccio è mortale in quanto viene presentato come
laico e democratico. Che cosa di più laico, di più moderno, che
ricercare la funzionalità, la produttività, in tutti i campi? Il
Trattato di Maastricht questo afferma: noi garantiamo il massimo
risultato mettendo ordine laddove esiste disordine, organizzando e
programmando sforzi, energie e denaro per raggiungere scopi
determinati e precisi. Niente è, e può essere imprevisto.
Significa uccidere il pensiero, in qualsiasi campo; significa
uccidere la ricerca. Ma neanche la contraddizione in termini
implicita nel pianificare quello che in principio non è dato
pianificare, colpisce i placidi dittatori di Maastricht. (…)
(4) Dunque la scienza si ritrova
come ai tempi di Galileo o come, più recentemente, di Lysenco.
Sotto le vesti della democrazia. Questo è l’aspetto più
perverso dell’Unione Europea. I cittadini dell’Occidente sono
talmente lontani dal dubitare che nel loro mondo possa essere
deciso qualcosa di non democratico che raggirarli è di una
facilità irrisoria. (…)
Ma gli Italiani non sanno e non desiderano
neanche sapere che il Parlamento di Bruxelles è un fantoccio,
senza poteri decisionali, creato apposta per permettere, al riparo
di curiosità indiscrete, l’organizzazione vera del comando:
accentrato in. pochissime mani, quelle che formano la Commissione,
i cui membri "non sollecitano né accettano istruzioni da
alcun Governo né da alcun organismo" (Art. 157). Le
deliberazioni prese dagli organi di comando "sono
esecutive" (Art. 145). Se si pensa che venti persone
governano, con queste formule inappellabili, 375 milioni di
individui non si riesce forse a crederlo. Ma è proprio questo uno
dei punti di forza dell’Impero Europeo: nasce in un contesto
così lontano dal concetto stesso di "impero" che non ci
si accorge di viverci.
5. FINALMENTE È SCRITTO: DIO È
DENARO
In contrasto con tutto questo, però, gli
economisti-imperatori si sono attrezzati con un’arma
concretissima e feroce, anche se non si vede grondare il sangue:
il denaro. Chi non obbedisce paga con multe, oppure viene
estromesso dall’Unione.
Si tratta, come è chiaro, di una condizione
assurda. E evidente che, una volta entrato, nessun Paese potrà
tornare indietro o che, se lo farà ne subirà un gravissimo danno
psicologico, culturale, di stress affettivo, di perdita di senso.
A parte tutte le conseguenze economiche. Cose però che gli
economisti dittatorialmente ignorano, e di cui non prevedono
neanche i costi in termini monetari.
Ma che ne sarà di tutto quell’ideale che è
stato invocato come primario: "siamo Europei", siamo un
solo popolo, ci vogliamo tanto bene, non ci facciamo la guerra? E
come sarà possibile ritenere che continueremo a "volerci
bene" pur condannati a non essere più parte della famiglia?
Certo, per non essere accusati di "preferenze", ci si è
aggrappati ad uno strumento "terzo", di per sé rigido e
neutro: i "parametri". Ma ecco che anche qui compare la
riduzione degli uomini al "concreto": sei quello che i
"parametri" dicono che sei. E inoltre, come farà il
popolo espunto a trovare una nuova immagine di sé dopo che così
faticosamente si sarà convinto che la sua è quella europea?
Di fatto il Progetto dell’Unione è così
privo di principio di realtà perché gli economisti non sono
soltanto cinici come è dovere dei buoni dittatori, ma anche
totalmente sprovvisti di intelligenza. Per quanto un condottiero,
infatti, possa disprezzare gli uomini al suo comando, non
dimentica che la vittoria in una battaglia è dovuta prima di
tutto al "morale delle truppe". I Generali dell’Europa,
invece, pensano alla moneta e al mercato come indipendenti dalle
società di cui sono espressione, e nella loro quasi incredibile
insipienza condannano così al fallimento anche economico l’improvvido
castello progettato senza fondamenta.
Naturalmente, in un quadro in cui una sola
struttura - quella economica - regge tutto il sistema, il fatto
che la punizione sia economica dovrebbe servire a garantirne l’assoluta
rigidità. Il meccanismo è lo stesso di quando si pone a quadro
di riferimento assoluto la struttura militare, oppure quella
religiosa. La coercizione è identica. L’ineluttabilità logica
è identica. Nessun potere del resto rinuncia all’assolutezza
del sacro. Sacro e Potere sono la stessa cosa. Nessuno ha imparato
tanto bene la lezione quanto gli Economisti. Per tanti secoli si
è alluso al Dio-Denaro indicandolo come un livello nascosto del
sistema. Adesso non più. Per diventare Sacerdoti - ossia
detentori del Potere - gli Economisti hanno finalmente proclamato
che Dio è Denaro e che le strutture liturgiche al suo servizio
sono le regole dell’economia. La moneta - l’Euro - è il
tabernacolo che i 375 milioni di credenti sono chiamati ad
adorare, inginocchiandosi al suo avvento, offrendosi vittime per
il suo Regno. L’equivoco in base al quale il progetto dell’Euro
viene interpretato come dovuto ad un duro liberalismo
capitalistico è facile da interpretare. Nell’Europa
cristiano-comunista ci si dimentica che il liberalismo e prima di
tutto libertà dell’individuo, al di fuori di qualsiasi sistema
di Stato. Ma l’Unione Europea, l’abbiamo già visto, non è
per nulla liberale. Lo Stato imperversa al punto che soltanto il
nuovo Governo inglese, pure laburista, è riuscito a mettere un
freno alla rigidità delle sue strutture.
Sono i meccanismi che si instaurano con un
Governo esteso a moltissimi Stati, accentrato in poche mani, e
lontano, distante mentalmente più che fisicamente, dagli
individui che ne sono l’oggetto. 11 fatto che riguardi tanti
popoli diversi fra loro provoca un estraniamento, una specie di
rinvio di responsabilità che fa sì che nessuno pensi di dover
essere proprio lui a reagire. Naturalmente questa è la
conseguenza inevitabile del principio con il quale è stata
pensata e decisa l’Unione:
prima le istituzioni del Potere, poi i popoli.
L’esistenza dell’Impero è stata dichiarata a tavolino e se ne
è organizzato il Governo senza aver conquistato e unificato il
territorio. Ma la lontananza mentale di questo Governo ne
potenzia, senza che i sudditi lo vogliano, la libertà d’azione,
sia perché appartiene alle categorie psicologiche dell’Uomo la
forza sacrale di ciò che appare "lontano", sia perché
non si riesce a individuarne la fisica concretezza. E inutile
sottolineare, a questo punto, la perdita nel Governo Europeo di
qualsiasi caratteristica democratica, perfino nelle forme così
labili e illusorie nelle quali si realizza negli Stati nazionali.
Le Commissioni di Bruxelles sono puri fantasmi della democrazia in
quanto assumono i tratti fondamentali del Potere assoluto, la
sacralità delle origini: è Lontano, è Unico, è Misterioso,
è Superiore, è Incontrollabile. Di conseguenza è sganciato
da qualsiasi possibilità, e volontà di comprensione e di
critica, nelle sue manifestazioni ideali, teoriche. (…)
(6) Si parla di indirizzi comuni
anche per la "cultura". È difficile sapere che cosa
intendano per "cultura" i politici del Trattato date le
molteplici accezioni che questo termine comporta. Sembrerebbe
tuttavia che nel caso degli indirizzi comuni si intendano in
generale le attività creative visto che il significato
antropologico compare laddove si afferma di voler rispettare le
"identità culturali". E tuttavia, come ben sanno gli
studiosi di antropologia, il problema delle espressioni creative
è inscindibile da quello dell’identità, in quanto nulla più
della produzione artistica è frutto e al tempo stesso sintesi di
un modello culturale, della sua forma, in interazione con la
personalità individuale dell’artista. Si tratta, fra l’altro,
di argomenti estremamente complessi sui quali si sono affaticati
fin dall’antichità innumerevoli studiosi - storici, critici,
filosofi, artisti, antropologi, psicologi - senza mai riuscire a
raggiungere conclusioni e certezze. Come del resto è logico che
sia dato che se l’opera d’arte potesse essere definita,
narrata o spiegata verrebbe meno l’essenza stessa dell’arte.
Ma i nuovi dittatori non temono, così come hanno sempre fatto i
loro predecessori, di affrontare dall’alto del loro potere tutta
la realtà umana, modellandola secondo i propri presupposti. E per
prima cosa affermano che si deve incrementare la produzione
"europea". Inutile dire che questo è un assillo di
chiunque arrivi al potere: che l’arte sigilli e coroni la Nuova
Era. Ma, accantonando questa ennesima constatazione sugli scopi
imperiali dei costruttori dell’Unione, quello che importa
discutere è se possa esistere un’arte "europea",
ossia un’arte che esprima l’identità europea, giustapposta a
tavolino all’opera di quegli artisti che si sono trovati a
nascere in paesi che appartengono geograficamente al continente
europeo. La ricchezza dell’Europa è, al contrario, proprio
quella di possedere al suo interno, formatesi durante un
lunghissimo processo storico, in base a scambi, conflitti,
invasioni, rivoluzioni, espressioni artistiche diversissime fra
loro. Se c’è una prova che l’omologazione uccide le
intelligenze questa la si può trovare proprio nella ricchezza
creativa della parte occidentale dell’Europa in confronto all’immobilità
degli Stati d’Oriente, dell’Africa e dell’Asia durante tutto
il Medioevo. L’Occidente è attraversato da continui cambiamenti
anche perché i suoi popoli non si sono mai dati pace nella
ricerca della propria identità. Con la formazione di innumerevoli
dialetti pur senza mai rinunciare a far emergere una lingua; con l’invenzione
dei più diversi sistemi di governo pur sotto il dominio
soffocante della Chiesa, con uno stupefacente sviluppo di mercati
e di commerci malgrado le traversie e le difficoltà quasi
insuperabili dei mari da attraversare, dei pirati da combattere,
delle montagne da scalare; con l’esplosione di tutte le arti
chiamate ad esprimere sentimenti, passioni, caratteri gelosamente
distinti da un comune all’altro, da una città all’altra, da
un popolo all’altro. E’ in base alla non-omologazione, alla
libertà della non-omologazione, attraverso e malgrado
intensissimi scambi, che siamo in grado di riconoscere l’apporto
della classicità greca al ripensamento e al tempo stesso all’assoluta
novità del Rinascimento; l’apporto del concetto giuridico
romano di "persona" a tutto l’itinerario, prima
cristiano e poi illuministico, verso la soggettività e l’uguaglianza
di ogni singolo uomo; l’apporto del cristianesimo nella
diversità assoluta dell’arte cistercense da quella barocca. Chi
potrebbe mai pensare un Wagner greco, italiano, o francese? Eppure
l’opera lirica di cui Wagner è un così grande rappresentante
è un’invenzione italiana, i miti sono nati in Grecia, la
ripetizione dei "temi" è il frutto del genio esplosivo
di un Bach che si libera, pur alimentandovisi, del gregoriano...
Si vuol affermare, comunque, che Wagner è europeo? Lo si può
fare soltanto se non si scambiano i termini del discorso:
l’Europa è il contesto in cui si è
liberamente formata la personalità di Wagner, ma non c’è in
lui come in nessun altro artista l’identità europea per il
semplice motivo che questa di per sé non esiste. In altri termini
un artista "filtra" attraverso la sua personalità tutti
gli stimoli, conducendoli ad una sintesi che non è la somma degli
stimoli. Questa sintesi è il frutto a sua volta di una sintesi
già avvenuta fuori di lui, nella famiglia in cui è nato, nella
lingua con la quale ha appreso a parlare, e così via. Quindi la
cultura tedesca, o francese, o italiana è "forma" dalla
quale scaturisce un’assolutamente nuova "forma". L’Europa
di per sé non è "forma", non è sintesi già data.
Se Mozart non si azzardava a comporre un’opera
il cui libretto non fosse scritto in italiano, questo non lo rende
italiano così come non lo rende spagnolo o francese aver creato
il più grande Don Giovanni che sia mai stato ideato.
Insomma la ricchezza dell’Europa è il possesso di straordinarie
diversità, ognuna delle quali unica e universale. Sono gli
"indirizzi comuni" decretati nel Trattato che ne segnano
la morte. (…)
Imporre "indirizzi comuni" alla
cultura appartiene così totalmente all’ambito del pensiero
dittatoriale che ci si vergogna perfino di commentarlo. Possiamo
solo sperare che non venga proposta a tutti gli artisti una forma
di realismo, questa volta europeo invece che marxista; e che la
Commissione Imperiale dei Venti non stabilisca, riservandole a
norma di trattato tutti i finanziamenti, quale sia la disciplina
artistica che più si addice alla celebrazione dello spirito dell’Unione.
Omologare popoli diversi è un’opera di una
violenza e di una inciviltà che nessun termine riesce a definire.
Stampato da www.italianiliberi.it |