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Da "Contro l’Europa
 – Tutto quello che non vi hanno detto di Maastricht –
di Ida Magli / Tascabili Bompiani

 

1. IL LIBRO DEI SOGNI

 

 

Un itinerario indispensabile per chi voglia capire un po’ più da vicino che cosa si prefigga l’Unione Europea è la lettura del Trattato di Maastricht. Se ne può vedere il testo (di cui politici e giornalisti si sono sempre guardati bene dal mettere neanche il più piccolo frammento nelle mani dei cittadini) nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, edizione in lingua italiana. Sarebbe importante comparare le traduzioni in tutte le lingue degli Stati Membri in quanto la comprensione di molti termini è diversa da una lingua all’altra. Ma è diversa anche la comprensione percettiva di certi concetti da parte dei singoli popoli in base allo specifico contesto storico, culturale, psicologico, politico in cui i diversi popoli vivono. È sufficiente pensare, per esempio, ad alcuni termini chiave quali: integrazione, comunità, concertazione, cultura, Stato di diritto, coesione economica e sociale, politica sociale, che per gli Italiani sono sovraccarichi di significato a causa delle lunghe, accesissime battaglie che si sono svolte e si svolgono da parte di partiti e sindacati sul modo di interpretarne ed attuarne i contenuti. Il problema delle lingue, tuttavia, che pure è fondamentale in tutti gli aspetti dell’Unione, non viene minimamente affrontato, cosa che basterebbe da sola a far capire con quale superficialità (ma sarebbe più preciso definirlo disprezzo) sono state evita te le differenze fra i popoli, perfino a quel livello primario che è la impossibilità di far coincidere le lingue anche nella più perfetta delle traduzioni.

Del resto questo è un problema sui quale i parlamentari europei sono soliti scherzare, ben sapendo quanto sia approssimativo il modo con il quale discutono gli argomenti e le decisioni da prendere attraverso la pseudo-comprensione che gli è permessa dalla frettolosa immediatezza delle traduzioni simultanee. Ma che importa? Bruxelles pubblica diligentemente volumetti su volumetti in tutte le lingue degli Stati Membri, accumulando "carta" all’infinito, con un aumento esponenziale di burocrazia in "bruxellese", che nella loro secolare lentezza e pazienza innumerevoli uffici amministrativi dovranno studiare, interpretare, mettere in atto in ogni singolo Stato. Ma, di nuovo, che importa? Il problema di come far funzionare il mastodontico corpo dell’Impero europeo viene per ora allegramente gettato dietro alle spalle. (Così come viene gettato dietro alle spalle il costo di Bruxelles di cui i popoli non conoscono neanche una cifra approssimativa.) (…) L’impressione globale che si trae dalla lettura del Trattato è quella di un incredibile stupore. Sembra di trovarsi di fronte ad un progetto da libro dei sogni. Ideato e scritto, tuttavia, con la dura, concretissima e astuta abilità professionale di economisti, banchieri e sindacalisti comunisti (molto simili a quelli italiani). Il principio inespresso (ma a volte anche espresso) che lo sorregge è ben chiaro: si decide a tavolino quali risultati si vogliono raggiungere; questi risultati sono sicuramente buoni in quanto stabiliti da coloro che governano. L’altro principio inespresso, e questo perché addirittura è dato per scontato, è che i programmi decisi a tavolino dai governanti si realizzeranno con certezza in quanto i popoli sono oggetti passivi delle decisioni prese e non ci si aspetta da loro nessuna reazione se non l’obbedienza, la conformità anzi, più totale.

Il Trattato, dunque, si configura come un macroscopico progetto di potere che supera, svuotandoli, i Parlamenti.

Elimina i governi nazionali con un governo sopranazionale, e anche se formalmente il governo nazionale rimane, perde la sua importanza in quanto diventa esecutore di quello che deciderà il governo europeo. Insomma cambia del tutto il meccanismo del Potere. Ci sarà un gruppo di Imperatori, i Venti, che siederanno nella Commissione che governa l’Europa ed è a questo posto che aspirano i vari fanatici europeisti che imperversano in Italia, Germania e Francia con la loro religione. Fra l’altro alcuni uomini politici stanno premendo perché al principio dell’unanimità che era stato stabilito per il Governo Europeo venga sostituito quello della maggioranza, il che significa che è già superata di fatto l’idea dell’uguaglianza-parità dei singoli Stati membri. Insomma gli "ideali" su cui affermavano con tanta tracotanza di volersi e potersi basare i fondatori dell’Unione si dimostrano, come è naturale, fuori dalla realtà. Ci saranno perciò Stati più importanti e altri meno, anche se sotto la forma "democratica" della votazione a maggioranza In conclusione, con l’Unione Europea si sta preparando la più forte delle dittature imperialistiche che i popoli abbiano mai sperimentato.

L’elenco degli scopi che si trovano all’inizio del Trattato sarebbe sufficiente, anche senza commento, a far comprendere due cose. La prima è l’enormità quasi impensabile, fuori da qualsiasi principio di realtà, del progetto stesso. Evidentemente dettato dalla "esaltazione" psicologica ispirata dalla caduta del muro di Berlino ("Rammentando l’importanza storica della fine della divisione del continente europeo" si dice nella premessa). Un’esaltazione che comporta la convinzione che il Bene ha vinto sul Male, e che l’Uomo, dunque, è "buono". L’Unione Europea, infatti, è tutta costruita su questo presupposto: il regno del Male è finito. Gli Stati, così come gli individui, inaugurano l’Era della bontà. E, come sappiamo, il presupposto di Marx che finalmente può essere affermato, dimenticando come una disgraziata parentesi tutte le dittature che l’avevano impedito. La seconda cosa è l’enormità del senso di Potere sugli uomini che i Capi possiedono, e che è veramente terrificante nella sbandierata democraticità dei governanti d’Europa. il Trattato di Maastricht è il documento più assoluto, la prova inoppugnabile che i governanti sono incapaci perfino di pensarla la democrazia, ossia di rinunciare anche alla più piccola briciola di potere. Anzi, diciamo meglio. L’Unione Europea è un progetto che serve a rilanciare il Potere in un mondo in cui questo è debole. I Governanti sono così costituzionalmente convinti che nessun potere possa essere veramente delegato che lavorano all’accentramento con la più disinvolta libertà. Il loro senso del potere è molto più temibile di quello da cui si ritenevano investiti Re o Imperatori dato che questi lo facevano dipendere dalle Divinità (il Faraone egiziano tanto quanto gli Imperatori medioevali in Europa). Adesso, invece, proprio perché sono delegati dal popolo, il Potere è senza limiti, affidato soltanto alla loro sconfinata volontà di potenza, alla loro incapacità di vedere la propria misera limitatezza. A parte il fatto che gli Imperatori, i Condottieri, i Generali, da Alessandro Magno a Cesare a Napoleone a Hitler sapevano di dover ricorrere alla propria intelligenza, alla propria capacità e responsabilità personale, al proprio coraggio nel condurre azioni di conquista o strategie politiche, e che le sconfitte erano loro tanto quanto le vittorie. I governanti-dittatori di oggi invece si rifugiano dietro qualcosa che è rigido, neutro ed esiste di per sé: i parametri finanziari. Nessuno potrà mai incolparli di nulla. I costruttori di Maastricht, tuttavia, enunciano "il proprio attaccamento ai princìpi della libertà, della democrazia, e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello Stato di diritto".

Come sia possibile programmare le norme della vita per 375 milioni di uomini nei rigidi articoli di Maastricht affermando il proprio attaccamento ai principi della libertà, è uno dei tanti interrogativi cui non si sa come rispondere. Non si vogliono forse raggiungere degli scopi che sconvolgono proprio questi diritti? Come si può, se non ingannando se stessi e i "propri" popoli (si esprimono graziosamente così i firmatari di Maastricht) pensare l’integrazione europea se non travalicando quello che dicono di voler rispettare: "la storia, la cultura, le tradizioni"? Cosa sono per i politici dell’Unione la storia, la cultura, le tradizioni? Parole vuote dato che l’Unione è un progetto che annienta proprio la storia, la cultura, le tradizioni. (…) Forse non sanno di che cosa parlano visto che, attraverso gli "indirizzi comuni" si propongono appunto di plasmare i popoli, omogeneizzandoli, ossia facendogli perdere le proprie fisionomie culturali.

 

 

2. UN POPOLO-CREMA

 

 

La parola "integrazione" qui (come in moltissimi altri passi del Trattato) risuona con una accezione positiva perché allude ad una esperienza concreta comune nel raggiungere uno stato nuovo da costituenti materiali diversi (perfino una cuoca si rallegra nel veder integrarsi l’uovo, il latte e la farina preparando una crema). Ma per quanto riguarda i popoli un sistema di vita è così complesso e dipende da un tale numero di elementi significativi e interdipendenti che l’integrazione forzosa non è possibile se non facendo emergere e imponendo un fattore in modo che domini sugli altri. E comunque un popolo-crema è privo di forma, e come tale non è un popolo.

Non si capisce, poi, come si possa affermare di voler rispettare le libertà fondamentali quando subito dopo i governanti si dichiarano: "decisi a istituire una cittadinanza comune ai cittadini dei loro paesi". Di nuovo qui ci si trova di fronte alla violenza fortissima di una decisione di potere presa a tavolino senza tener conto né di storia, né di cultura, né di affetti. La "cittadinanza" è il risultato di un lungo processo storico, il riconoscimento di una appartenenza che si forma col passare del tempo, psicologicamente, emotivamente, linguisticamente, territorialmente nella coscienza dell’individuo. Ma per questi nuovi cittadini sarà impossibile perfino percepire il trauma del passaggio ad una nuova appartenenza visto che quella di arrivo non esiste. Dirsi "europeo" è ben difficile senza potersi aggrappare né alla lingua corrispondente, né a un territorio che abbia un confine riconoscibile almeno nella propria mente.

Sebbene siano gli economisti e i banchieri a comparire come i governanti del migliore dei mondi possibile, è Karl Marx il profeta del Trattato. Ovviamente per il fatto che il Trattato riserva la maggior parte delle regole ai problemi finanziari, all’organizzazione economica dell’Unione; ma soprattutto perché il risultato che i governanti si prefiggono è la "riduzione all’identico" dei popoli che saranno sottoposti alle Istituzioni europee. Non si giungerà, forse, a indossare tutti lo stesso vestito come in Russia o in Cina, anche se, a giudicare da una delle ultime imprese del Parlamento di Bruxelles, la strada sembrerebbe proprio quella. Sono state fissate le misure cui debbono rispondere i sedili dei mezzi di trasporto pubblici. Gli Inglesi si sono opposti perché: "il loro sedere è più piccolo". Staremo a vedere ma la prossima mossa necessariamente sarà quella di fissare le misure bruxelliane giuste per i sederi di tutti gli Europei. Quello che si vuole ottenere comunque è proprio l’eliminazione di qualsiasi differenza: psicologica, culturale, sociale, etica, politica.

Il Trattato, infatti, afferma che gli Stati Membri: "si impegnano a seguire indirizzi comuni nella sanità, nell’istruzione, nella cultura, nella ricerca...". Se si va al di là delle belle parole che vengono usate: coerenza reciproca delle politiche nazionali e della politica comunitaria, coordinamento delle azioni, integrazione, solidarietà, sviluppo e così via, ci si rende conto che un programma simile di abbattimento delle differenze di comportamento fra gli Stati e i Popoli in tutti i campi non era mai stato pensato, né da un Impero come quello romano, né da condottieri e dittatori come Alessandro Magno, come Napoleone, come Hitler. Soltanto il cristianesimo, con Costantino, si è proposto di cambiare totalmente la vita dei popoli imponendo lingua, costumi, etica, scienza, diritto. E, tuttavia, il cristianesimo si faceva vanto di essere portatore di una visione del mondo, e in base a questa visione, affermata come la più alta e nobile che si fosse mai presentata sulla terra, dettava norme di vita ai Capi dei vari Regni esistenti, cui i popoli dovevano adeguarsi. Cuius regio eius etiam religio.

Gli attuali economisti-condottieri, invece, parlano soltanto di moneta, di mercati, di bilanci, e tengono ben nascosta l’idea che li muove: la formazione di un Impero governato in base alle strutture economiche, ossia da loro. La loro religione è la nostra. Potrebbe sembrare incredibile che la riduzione all’identico venga decisa e attuata dopo che le esperienze sovietiche, cinesi, cambogiane (solo per citare le più clamorose) hanno dimostrato a quali conseguenze conducano tali ideali e i sistemi per realizzarli. Ma è proprio questo il pericolo maggiore del progetto europeo: tiene nascosto il suo vero volto sotto un fitto intreccio di misinterpretazioni, di giudizi preventivi, di impenetrabilità, di incomprensibilità del modello complessivo. Tuttavia i fatti sono questi: sotto la benevola dizione di "indirizzi comuni" (…) i cittadini dei vari Stati saranno plasmati in un unico calco. Con una ulteriore finzione, poi, dato che la parte sociale del Trattato prevede, nel massimo delle contraddizioni, che i popoli siano uniti ma distinti fra loro, più o meno come nella formula teologica del Dio cristiano che è Uno ma distinto in Tre Persone. Soltanto che la teologia non pretende di essere razionale... I popoli membri dell’Unione, infatti, seguiranno gli stessi indirizzi nel campo dell’istruzione, della sanità, della ricerca, della cultura, dell’ambiente, della politica estera, dell’ordine interno... Qualcuno, forse, crede di poter pronunciare ancora la parola libertà? E che cosa significa "indirizzo"? Per prima cosa ci dovrà essere chi stabilisce quali siano questi indirizzi e ci si può attendere che sarà il rappresentante di maggior prestigio e potere all’interno della Commissione a far prevalere le sue convinzioni. (…)

 

(3) Una delle conseguenze più immediate del Centralismo Europeo sarà l’aumento macroscopico della rigidità di tutte le strutture sociali, economiche, politiche, e della loro gestione burocratica. (…)

Se si pensa che già per quanto riguarda la disoccupazione, la mancanza di flessibilità viene indicata da tutti gli operatori (oggi perfino dai sindacati) come uno dei fattori che incidono di più, ci si rende conto che aumentare la rigidità - e dunque la mancanza di libertà - diventerà un vero dramma. (…)

Di fatto tutte le norme dell’Unione portano alla mancanza di libertà, chiamata rigidità, perfino in quel campo dei mercati per il quale tanto affermano di battersi i suoi ideatori. Si tratta di principi autoritari che privano i popoli e gli Stati della libertà in tutti i campi, assoggettandoli ad una forzata omogeneizzazione e chiudendoli all’interno dell’Europa. Si è detto che lo scopo principale è quello di ingrandire e rafforzare il mercato, dato che i singoli Stati sono troppo piccoli per poter competere con il mercato americano e con quello asiatico. Ma anche ammesso che questo sia vero, nessuno impedisce alle singole aziende di associarsi e svolgere liberamente la loro attività con tutto il mondo, mentre quello che persegue l’Unione Europea è l’affermazione sul mercato non delle singole aziende ma dell’Europa, controllandone rigidamente tutte le azioni.

Questo scopo è dettato forse più di quanto non si dica dalla volontà di sottrarsi all’influenza dell’America e poter competere con essa. Non soltanto nel campo del mercato, ma anche dal punto di vista politico, militare, culturale (…)

Per ora, abbiamo le norme del Trattato di Maastricht a dirci che cosa dobbiamo fare e quale sarà il nostro futuro. E sono così sicure da dettarci nei più minuti particolari perfino il cammino per produrre scienza e arte. Se analizziamo quelle che riguardano la ricerca sarà facile per tutti comprendere che le deliberazioni del Trattato di Maastricht sono più coercitive e antiliberali di qualsiasi istituzione medioevale. Lo spirito che le ha dettate è sempre lo stesso: dominarne i risultati unificando le strade attraverso la molla del denaro.

Articolo 130 H, I: "La Comunità e gli Stati membri coordinano la loro azione in materia di ricerca e sviluppo tecnologico per garantire la coerenza reciproca delle politiche nazionali e della politica comunitaria".

II. "La Commissione, in stretta collaborazione con gli Stati membri, può prendere ogni iniziativa utile a promuovere il coordinamento di cui al paragrafo I".

Articolo 130 I: "Il Consiglio.., adotta un programma quadro pluriennale, che comprende l’insieme delle azioni della Comunità ... Il programma quadro: fissa gli obiettivi scientifici e tecnologici da realizzare mediante le azioni previste dall’articolo 130 G e le relative priorità; indica le grandi linee di dette azioni; stabilisce l’importo globale massimo e le modalità della partecipazione finanziaria della Comunità al programma quadro, nonché le quote rispettive di ciascuna delle azioni previste. 2. 11 programma quadro viene adattato o completato in funzione dell’evoluzione della situazione. Il programma quadro è attuato mediante programmi specifici sviluppati nell’ambito di ciascuna azione.

Ogni programma specifico precisa le modalità di realizzazione del medesimo, ne fissa la durata e prevede i mezzi ritenuti necessari. La somma degli importi ritenuti necessari, fissati dai programmi specifici, non può superare l’importo globale massimo fissato per il programma quadro e per ciascuna azione. {...] 4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta i programmi specifici".

Articolo 130J: "Per l’attuazione del programma quadro pluriennale, il Consiglio: fissa le norme per la partecipazione delle imprese, dei centri di ricerca e delle università; fissa le norme applicabili alla divulgazione dei risultati della ricerca".

La semplice lettura di questi articoli è di per sé impressionante. Ma non si può non ribellarsi se si comprende sia l’ipocrita astuzia dell’uso di determinati termini, sia a che cosa si giunga con la loro concreta realizzazione. Il primo comma dell’articolo 130 H è sotto questo aspetto un capolavoro: le parole chiave sono "coordinano", "garantire" e "coerenza". Tradotto nella lingua reale: nessuno può fare nulla al di fuori di ciò che è ordinato (è questo il significato del "garantire") e prefissato dalle uniche Autorità che governano l’Unione Europea: la Commissione e il Consiglio. Le coordinate e la coerenza rappresentano appunto l’assolutezza "logica" dell’obbligo. E’ lo stesso meccanismo messo in atto per tanti secoli dal sistema di pensiero toelogico: l’obbedienza discende dalle premesse. Naturalmente, come in tutte le deliberazioni del Trattato, non viene mai detto che, se si devono seguire indirizzi comuni, qualcuno dovrà stabilire quali siano. L’abbiamo già notato in precedenza, ma nella parte che riguarda la "ricerca" (viene accuratamente evitato il termine "scienza" sul quale l’opinione pubblica è più sensibile) non è neanche accennato il fatto che per "coordinarsi" bisogna sapere prima su che cosa. Inutile dire che a decidere sarà la Commissione. (…)

L’impalcatura sovietica del programma pluriennale, che ha portato al disastro a tutti ben noto perfino l'agricoltura di per sé ricchissima della Russia, compare con assolutezza dittatoriale nel Trattato di Maastricht. Maastricht infatti ignora la Storia, disprezza qualsiasi riflessione critica sulle conseguenze del comunismo (si ritiene che quelle negative siano state semplicemente un incidente di percorso), e trova - esso sì con cooperazione e coerenza - il suo più naturale appoggio nei cattolici, pur abbondantemente presenti nelle istituzioni europee. Certo, l’abbiamo già detto, il comunismo è l’ultima incarnazione del cristianesimo. Ma nell’Unione Europea l’abbraccio è mortale in quanto viene presentato come laico e democratico. Che cosa di più laico, di più moderno, che ricercare la funzionalità, la produttività, in tutti i campi? Il Trattato di Maastricht questo afferma: noi garantiamo il massimo risultato mettendo ordine laddove esiste disordine, organizzando e programmando sforzi, energie e denaro per raggiungere scopi determinati e precisi. Niente è, e può essere imprevisto. Significa uccidere il pensiero, in qualsiasi campo; significa uccidere la ricerca. Ma neanche la contraddizione in termini implicita nel pianificare quello che in principio non è dato pianificare, colpisce i placidi dittatori di Maastricht. (…)

 

(4) Dunque la scienza si ritrova come ai tempi di Galileo o come, più recentemente, di Lysenco. Sotto le vesti della democrazia. Questo è l’aspetto più perverso dell’Unione Europea. I cittadini dell’Occidente sono talmente lontani dal dubitare che nel loro mondo possa essere deciso qualcosa di non democratico che raggirarli è di una facilità irrisoria. (…)

Ma gli Italiani non sanno e non desiderano neanche sapere che il Parlamento di Bruxelles è un fantoccio, senza poteri decisionali, creato apposta per permettere, al riparo di curiosità indiscrete, l’organizzazione vera del comando: accentrato in. pochissime mani, quelle che formano la Commissione, i cui membri "non sollecitano né accettano istruzioni da alcun Governo né da alcun organismo" (Art. 157). Le deliberazioni prese dagli organi di comando "sono esecutive" (Art. 145). Se si pensa che venti persone governano, con queste formule inappellabili, 375 milioni di individui non si riesce forse a crederlo. Ma è proprio questo uno dei punti di forza dell’Impero Europeo: nasce in un contesto così lontano dal concetto stesso di "impero" che non ci si accorge di viverci.

 

5. FINALMENTE È SCRITTO: DIO È DENARO

 

 

In contrasto con tutto questo, però, gli economisti-imperatori si sono attrezzati con un’arma concretissima e feroce, anche se non si vede grondare il sangue: il denaro. Chi non obbedisce paga con multe, oppure viene estromesso dall’Unione.

Si tratta, come è chiaro, di una condizione assurda. E evidente che, una volta entrato, nessun Paese potrà tornare indietro o che, se lo farà ne subirà un gravissimo danno psicologico, culturale, di stress affettivo, di perdita di senso. A parte tutte le conseguenze economiche. Cose però che gli economisti dittatorialmente ignorano, e di cui non prevedono neanche i costi in termini monetari.

Ma che ne sarà di tutto quell’ideale che è stato invocato come primario: "siamo Europei", siamo un solo popolo, ci vogliamo tanto bene, non ci facciamo la guerra? E come sarà possibile ritenere che continueremo a "volerci bene" pur condannati a non essere più parte della famiglia? Certo, per non essere accusati di "preferenze", ci si è aggrappati ad uno strumento "terzo", di per sé rigido e neutro: i "parametri". Ma ecco che anche qui compare la riduzione degli uomini al "concreto": sei quello che i "parametri" dicono che sei. E inoltre, come farà il popolo espunto a trovare una nuova immagine di sé dopo che così faticosamente si sarà convinto che la sua è quella europea?

Di fatto il Progetto dell’Unione è così privo di principio di realtà perché gli economisti non sono soltanto cinici come è dovere dei buoni dittatori, ma anche totalmente sprovvisti di intelligenza. Per quanto un condottiero, infatti, possa disprezzare gli uomini al suo comando, non dimentica che la vittoria in una battaglia è dovuta prima di tutto al "morale delle truppe". I Generali dell’Europa, invece, pensano alla moneta e al mercato come indipendenti dalle società di cui sono espressione, e nella loro quasi incredibile insipienza condannano così al fallimento anche economico l’improvvido castello progettato senza fondamenta.

Naturalmente, in un quadro in cui una sola struttura - quella economica - regge tutto il sistema, il fatto che la punizione sia economica dovrebbe servire a garantirne l’assoluta rigidità. Il meccanismo è lo stesso di quando si pone a quadro di riferimento assoluto la struttura militare, oppure quella religiosa. La coercizione è identica. L’ineluttabilità logica è identica. Nessun potere del resto rinuncia all’assolutezza del sacro. Sacro e Potere sono la stessa cosa. Nessuno ha imparato tanto bene la lezione quanto gli Economisti. Per tanti secoli si è alluso al Dio-Denaro indicandolo come un livello nascosto del sistema. Adesso non più. Per diventare Sacerdoti - ossia detentori del Potere - gli Economisti hanno finalmente proclamato che Dio è Denaro e che le strutture liturgiche al suo servizio sono le regole dell’economia. La moneta - l’Euro - è il tabernacolo che i 375 milioni di credenti sono chiamati ad adorare, inginocchiandosi al suo avvento, offrendosi vittime per il suo Regno. L’equivoco in base al quale il progetto dell’Euro viene interpretato come dovuto ad un duro liberalismo capitalistico è facile da interpretare. Nell’Europa cristiano-comunista ci si dimentica che il liberalismo e prima di tutto libertà dell’individuo, al di fuori di qualsiasi sistema di Stato. Ma l’Unione Europea, l’abbiamo già visto, non è per nulla liberale. Lo Stato imperversa al punto che soltanto il nuovo Governo inglese, pure laburista, è riuscito a mettere un freno alla rigidità delle sue strutture.

Sono i meccanismi che si instaurano con un Governo esteso a moltissimi Stati, accentrato in poche mani, e lontano, distante mentalmente più che fisicamente, dagli individui che ne sono l’oggetto. 11 fatto che riguardi tanti popoli diversi fra loro provoca un estraniamento, una specie di rinvio di responsabilità che fa sì che nessuno pensi di dover essere proprio lui a reagire. Naturalmente questa è la conseguenza inevitabile del principio con il quale è stata pensata e decisa l’Unione:

prima le istituzioni del Potere, poi i popoli. L’esistenza dell’Impero è stata dichiarata a tavolino e se ne è organizzato il Governo senza aver conquistato e unificato il territorio. Ma la lontananza mentale di questo Governo ne potenzia, senza che i sudditi lo vogliano, la libertà d’azione, sia perché appartiene alle categorie psicologiche dell’Uomo la forza sacrale di ciò che appare "lontano", sia perché non si riesce a individuarne la fisica concretezza. E inutile sottolineare, a questo punto, la perdita nel Governo Europeo di qualsiasi caratteristica democratica, perfino nelle forme così labili e illusorie nelle quali si realizza negli Stati nazionali. Le Commissioni di Bruxelles sono puri fantasmi della democrazia in quanto assumono i tratti fondamentali del Potere assoluto, la sacralità delle origini: è Lontano, è Unico, è Misterioso, è Superiore, è Incontrollabile. Di conseguenza è sganciato da qualsiasi possibilità, e volontà di comprensione e di critica, nelle sue manifestazioni ideali, teoriche. (…)

 

(6) Si parla di indirizzi comuni anche per la "cultura". È difficile sapere che cosa intendano per "cultura" i politici del Trattato date le molteplici accezioni che questo termine comporta. Sembrerebbe tuttavia che nel caso degli indirizzi comuni si intendano in generale le attività creative visto che il significato antropologico compare laddove si afferma di voler rispettare le "identità culturali". E tuttavia, come ben sanno gli studiosi di antropologia, il problema delle espressioni creative è inscindibile da quello dell’identità, in quanto nulla più della produzione artistica è frutto e al tempo stesso sintesi di un modello culturale, della sua forma, in interazione con la personalità individuale dell’artista. Si tratta, fra l’altro, di argomenti estremamente complessi sui quali si sono affaticati fin dall’antichità innumerevoli studiosi - storici, critici, filosofi, artisti, antropologi, psicologi - senza mai riuscire a raggiungere conclusioni e certezze. Come del resto è logico che sia dato che se l’opera d’arte potesse essere definita, narrata o spiegata verrebbe meno l’essenza stessa dell’arte. Ma i nuovi dittatori non temono, così come hanno sempre fatto i loro predecessori, di affrontare dall’alto del loro potere tutta la realtà umana, modellandola secondo i propri presupposti. E per prima cosa affermano che si deve incrementare la produzione "europea". Inutile dire che questo è un assillo di chiunque arrivi al potere: che l’arte sigilli e coroni la Nuova Era. Ma, accantonando questa ennesima constatazione sugli scopi imperiali dei costruttori dell’Unione, quello che importa discutere è se possa esistere un’arte "europea", ossia un’arte che esprima l’identità europea, giustapposta a tavolino all’opera di quegli artisti che si sono trovati a nascere in paesi che appartengono geograficamente al continente europeo. La ricchezza dell’Europa è, al contrario, proprio quella di possedere al suo interno, formatesi durante un lunghissimo processo storico, in base a scambi, conflitti, invasioni, rivoluzioni, espressioni artistiche diversissime fra loro. Se c’è una prova che l’omologazione uccide le intelligenze questa la si può trovare proprio nella ricchezza creativa della parte occidentale dell’Europa in confronto all’immobilità degli Stati d’Oriente, dell’Africa e dell’Asia durante tutto il Medioevo. L’Occidente è attraversato da continui cambiamenti anche perché i suoi popoli non si sono mai dati pace nella ricerca della propria identità. Con la formazione di innumerevoli dialetti pur senza mai rinunciare a far emergere una lingua; con l’invenzione dei più diversi sistemi di governo pur sotto il dominio soffocante della Chiesa, con uno stupefacente sviluppo di mercati e di commerci malgrado le traversie e le difficoltà quasi insuperabili dei mari da attraversare, dei pirati da combattere, delle montagne da scalare; con l’esplosione di tutte le arti chiamate ad esprimere sentimenti, passioni, caratteri gelosamente distinti da un comune all’altro, da una città all’altra, da un popolo all’altro. E’ in base alla non-omologazione, alla libertà della non-omologazione, attraverso e malgrado intensissimi scambi, che siamo in grado di riconoscere l’apporto della classicità greca al ripensamento e al tempo stesso all’assoluta novità del Rinascimento; l’apporto del concetto giuridico romano di "persona" a tutto l’itinerario, prima cristiano e poi illuministico, verso la soggettività e l’uguaglianza di ogni singolo uomo; l’apporto del cristianesimo nella diversità assoluta dell’arte cistercense da quella barocca. Chi potrebbe mai pensare un Wagner greco, italiano, o francese? Eppure l’opera lirica di cui Wagner è un così grande rappresentante è un’invenzione italiana, i miti sono nati in Grecia, la ripetizione dei "temi" è il frutto del genio esplosivo di un Bach che si libera, pur alimentandovisi, del gregoriano... Si vuol affermare, comunque, che Wagner è europeo? Lo si può fare soltanto se non si scambiano i termini del discorso:

l’Europa è il contesto in cui si è liberamente formata la personalità di Wagner, ma non c’è in lui come in nessun altro artista l’identità europea per il semplice motivo che questa di per sé non esiste. In altri termini un artista "filtra" attraverso la sua personalità tutti gli stimoli, conducendoli ad una sintesi che non è la somma degli stimoli. Questa sintesi è il frutto a sua volta di una sintesi già avvenuta fuori di lui, nella famiglia in cui è nato, nella lingua con la quale ha appreso a parlare, e così via. Quindi la cultura tedesca, o francese, o italiana è "forma" dalla quale scaturisce un’assolutamente nuova "forma". L’Europa di per sé non è "forma", non è sintesi già data.

Se Mozart non si azzardava a comporre un’opera il cui libretto non fosse scritto in italiano, questo non lo rende italiano così come non lo rende spagnolo o francese aver creato il più grande Don Giovanni che sia mai stato ideato. Insomma la ricchezza dell’Europa è il possesso di straordinarie diversità, ognuna delle quali unica e universale. Sono gli "indirizzi comuni" decretati nel Trattato che ne segnano la morte. (…)

Imporre "indirizzi comuni" alla cultura appartiene così totalmente all’ambito del pensiero dittatoriale che ci si vergogna perfino di commentarlo. Possiamo solo sperare che non venga proposta a tutti gli artisti una forma di realismo, questa volta europeo invece che marxista; e che la Commissione Imperiale dei Venti non stabilisca, riservandole a norma di trattato tutti i finanziamenti, quale sia la disciplina artistica che più si addice alla celebrazione dello spirito dell’Unione.

Omologare popoli diversi è un’opera di una violenza e di una inciviltà che nessun termine riesce a definire.

 

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SOMMARIO