ALLA LUCE DELLA STORIA di Andrea Del Ponte
Non penso che la storia sia, come con una certa banalità afferma Cicerone, "maestra di vita"; credo invece, con Machiavelli, che "una lunga esperienzia delle cose moderne e una continua lezione delle antique" siano strumenti preziosi per comprendere il senso dei meccanismi dell’agire politico nel presente e per tentare di prevederne e prevenirne gli sviluppi futuri. Per chi, come me, è nato nei primi tempi della guerra fredda e del boom economico, ed è sempre stato un attento osservatore degli eventi, è la vita stessa ad avere insegnato a conoscere e a distinguere i progetti dei governanti e i movimenti dei popoli; per quanto riguarda lo studio del passato, mi pare che oggi esso sia straordinariamente utile, come dimostrerò, per dissipare almeno in parte la spessa coltre di silenzi e di menzogne con cui viene occultato il progetto autoritario dell'Unione Europea. Infatti, non è certo la prima volta, nelle vicende del nostro continente, che si sia architettato un tale disegno di potere sotto le parvenze degli ideali di pace e di giustizia: la prima analogia è suggerita con estrema evidenza dalla storia greca. Nell’immaginario collettivo Atene è poco meno che un simbolo: culla della democrazia, scuola dell’Ellade, archetipo della civiltà occidentale. Non che questo ritratto sia del tutto falso: bastano, a legittimarlo, i Sofocle, i Pericle, i Fidia, i Socrate, i Platone. Però l’oleografia sottace il lato oscuro e sgradevole che s’accompagna a tanto splendore: il fatto cioè che Atene, dopo aver aggregato a sé da tutto il mondo greco centinaia di pòleis amanti della libertà e grate d’averle liberate dal mortale pericolo persiano, finì per imporre agli alleati una feroce dittatura democratica che li trasformò da confederati in sudditi. Alludo alla famosa e famigerata Lega delio-attica, fondata nel 478 a.C. per volontà di Aristìde. Si erano appena concluse, trionfalmente per i Greci, le guerre persiane: memorabile, in particolare, la vittoria navale con cui a Salamina, nel 480, la piccola ed eroica Atene democratica aveva umiliato la presuntuosa flotta nemica. Ne era risultato sminuito l’antico prestigio della città rivale, Sparta, potenza militare esclusivamente terrestre e chiusa, nel suo severo conservatorismo oligarchico, a qualunque novità culturale o politica. Perciò un gran numero di Stati greci, pieni di ammirazione per la forza che Atene traeva dalle sue libere istituzioni, ne accettarono di buon grado la proposta di fondare insieme una confederazione con lo scopo unico e dichiarato di continuare la guerra marittima contro i Persiani. Ciascun alleato s’impegnava a fornire navi alla flotta comune o, in alternativa, a versare una somma annuale di denaro, detta phòros ; centro della Lega e sede del tesoro comune era l’isola di Delo. Non si era mai visto, in tutta la storia della frammentatissima Grecia, il sorgere di un organismo federale così vasto e imponente, esteso dall’una all’altra sponda dell’Egeo. Cominciava allora quella che con termine tecnico si chiama pentecontaetìa, cioè un periodo di circa 50 anni sostanzialmente di pace sul suolo greco, interrotto solo nel 431 dallo scoppio della guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. "Atene e i suoi alleati" (questa era la locuzione ufficiale per indicare la Lega) battevano indisturbati i mari: indiscussa la supremazia militare, fiorenti i commerci e le arti, forte e rispettata la dracma. Ma a poco a poco gli equilibri iniziali si sbilanciarono: Atene accentuò sempre più il peso politico della sua supremazia, fino a trasformare la Lega in puro strumento della propria potenza autoritaria e imperiale, tramutando i sỳmmachoi ("alleati") in sudditi. Il momento culminante della metamorfosi fu il 454, quando il tesoro comune venne trasferito da Delo ad Atene, sotto il pretesto di un controllo migliore e più sicuro; da allora esso cominciò a venire usato senza più nessuno scrupolo per accrescere la città di splendidi monumenti e di nuovi strumenti militari a suo esclusivo vantaggio. Come aveva potuto Atene trasformarsi da cane da guardia della libertà della Grecia in lupo feroce, intollerante dell’altrui autonomia? Tecnicamente, basti pensare che nel grande Parlamento della Lega ogni polis, grande o piccola, aveva la sua rappresentanza, con diritto di voto e di parola uguale rispetto alle altre, ma che un’eventuale opposizione di stati più indipendenti veniva facilmente superata grazie ai voti dei numerosi staterelli minori, docili alle direttive di Atene; inoltre, il tesoro comune venne amministrato sin da principio da dieci alti magistrati tutti ateniesi. Politicamente, il passaggio dall’egemonia all’impero fu dovuto all’estremizzazione dell’ideologia democratica, lanciata sempre più in una lotta assoluta e apodittica contro l’opposizione oligarchico-conservatrice all’interno e all’esterno, sino a ricorrere a qualunque mezzo, per quanto tirannico e ingiusto, pur di perpetuare il proprio potere. Due sono le città tragico simbolo di questa involuzione : Mitilene e Melo. Mitilene, polis dell’isola di Lesbo, proprio di fronte alla costa anatolica, era stata uno dei primi aderenti alla Lega delio-attica, e aveva collaborato fedelmente con Atene sino all’inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.). Ma a questo punto l’insofferenza per la crescente protervia dell’imperialismo ateniese e il desiderio di conservare la libertà aveva spinto il governo oligarchico locale a decidere di staccarsi dalla lega navale e a cambiare alleanza, aderendo alla lega peloponnesiaca, capitanata da Sparta. Già da tempo, tuttavia, Atene aveva mostrato con i fatti che, contrariamente ai patti stabiliti, non era disposta a tollerare la defezione di nessun membro della Lega: nel 469 aveva ridotto all’obbedienza con la forza Nasso, che aveva cercato di uscire dall’alleanza; stessa sorte era capitata nel 465 a Taso. Ora si era in tempo di guerra, e la reazione ateniese fu ancora più dura: rimasta sola, data l’impossibilità per Sparta di inviare così lontano aiuti efficaci, Mitilene, sottoposta ad assedio, dovette capitolare ed attendere nel terrore le decisioni dell’ex alleata. Ad Atene l’assemblea approvò in fretta e furia la proposta dell’estremista democratico Cleone: esecuzione capitale per tutti gli uomini di Mitilene atti alle armi, schiavitù per le donne e i bambini. Tanto sarebbe costata l’aspirazione dei Mitilenesi alla libertà ! Parte immediatamente una nave da guerra per comunicare e far eseguire la sentenza. Ma il nuovo giorno porta con sé dubbi e rimorsi per l’enormità della ritorsione: viene convocata immediatamente una nuova assemblea, dove al parere di Cleone, che ribadisce la sua feroce opinione, si contrappone stavolta quello del moderato Diodoto, che suggerisce una repressione meno indiscriminata, non mosso da pietà ma unicamente da considerazioni di utile economico e militare. Fortunatamente prevalse la sua proposta: un’altra nave, inviata a tutta forza a Lesbo per comunicare il nuovo decreto prima che l’irreparabile fosse avvenuto, riuscì a toccare l’isola in tempo. Non che la nuova punizione fosse comunque lieve: furono messi a morte mille aristocratici, abbattute le mura della città, requisita la flotta, espropriata la terra e ceduta a tremila coloni ateniesi. Si dirà: si era in tempo di guerra, e le circostanze potevano legittimare reazioni radicali ad atti avvertiti come tradimenti. Ma era assolutamente tempo di pace nel 416, quando si verificò il tristemente celebre episodio di Melo, ed Atene e Sparta erano addirittura alleate per effetto dei trattati del 421. Occorre premettere che nella seconda confederazione navale vigeva una capitale distinzione fra alleati autònomoi (= indipendenti") e hypèkooi (= "sudditi"): dunque i Melii – antichi coloni spartani governati da un’oligarchia e membri indipendenti della Lega – nel 416 si resero conto che sarebbe stato loro impossibile continuare a praticare una politica autonoma dalla volontà imperiale di Atene; d’altronde, l’adesione alla Lega, stando ai trattati, non comportava affatto l’automatico accodarsi degli alleati alle guerre di Atene che non fossero contro i Persiani; perciò essi, volendo mantenere la propria libertà e rifiutando di essere coinvolti nel conflitto, che sentivano imminente, con la madrepatria Sparta, chiesero per via diplomatica di restare in rapporto di amicizia con Atene su un piano di parità, nello spirito originario della Lega, conservando la neutralità nel caso di una guerra tra le due potenze nemiche. Ma la tirannide ateniese per preservare il proprio dominio non poteva accettare alcuna forma di compromesso : la più ferrea ragion di stato ebbe la prevalenza assoluta sulle ragioni del diritto – come ci testimonia Tucidide nel famoso episodio noto come "Dialogo dei Melii e degli Ateniesi" – e la "democratica" Atene decise di infliggere a Melo una punizione esemplare: tutti i maschi in condizione di combattere furono massacrati, fatti schiavi le donne e i bambini, requisito il territorio e ceduto a 500 coloni. A chi legge non saranno certo sfuggite le numerose, inquietanti corrispondenze tra la Grecia del quinto secolo a.C. e le odierne vicende europee. Ne sottolineerò solo qualcuna. Atene soleva giustificare la propria politica imperiale – che riconosceva esplicitamente – con lo slogan perché soli abbattemmo il barbaro. Oggi l’Unione Europea si sente autorizzata a qualunque abuso, in nome beninteso della "libertà" e della "democrazia", dal fatto di essere sorta sulle ceneri della barbarie nazifascista, attribuendo a sé il merito di aver garantito al continente cinquant’anni di pace e progresso (la nostra pentecontaetìa): cosa che, per dirla con Ida Magli, è una "spudorata menzogna". Atene negava ai suoi stessi alleati la libertà di scegliere la forma di governo preferita, adducendo a pretesto la supremazia assoluta e indiscutibile del proprio modello di democrazia, ma in realtà per difendere sino alle estreme conseguenze il proprio potere. Oggi l’Unione Europea, ostentando virtuosamente l’antifascismo che è nel suo DNA, mostra di voler imporre un modello unico di coalizioni di governo, approvando quelle di centro-sinistra e castigando o censurando preventivamente quelle di centro-destra: il caso Austria è emblematico, mentre già si sta profilando un caso Italia. Che il dispregio della volontà dell’elettorato sia dovuto in realtà a un’egemonica volontà di perpetuazione del potere da parte delle forze socialiste interne ai singoli Stati è una verità ignota ai più. La Confederazione navale tra gli Stati greci democratici aveva il suo cuore nel tesoro di Delo, il suo motore nella dracma, il suo braccio armato nella flotta: il suo assetto era tutto fondato – in maniera fin da principio di tipo assolutistico – su una struttura economica e militare. La ragion d’essere dell’Unione Europea è, come ognuno sa, l’economia, e il suo dio è l’Euro, al quale ogni valore è stato sacrificato. I rapporti fra Atene e gli alleati erano soprattutto di tipo monetario, attraverso il versamento forzato del phòros. Oggi chi non ottempera alle imposizioni di Bruxelles paga con multe; e Dio solo sa – ma qui è urgente un’indagine approfondita – quale fiume di denaro scorre ogni anno dalle casse di ciascuno Stato a quelle dell’Unione. Nella Lega delio-attica le decisioni venivano prese a maggioranza, utilizzando cioè una modalità di voto che, se da un lato favoriva la rapidità di scelta, dall’altro consentiva ad Atene di isolare e neutralizzare facilmente gli eventuali dissenzienti. Non è un caso se, dopo lo "strappo" austriaco e danese, anche l’Unione Europea si sta orientando ad abbandonare il criterio dell’unanimità nelle votazioni – che espone al rischio del veto – per adottare quello della maggioranza semplice, che spiana la strada a qualunque progetto egemonico. Atene pretendeva dagli alleati l’obbedienza assoluta, non tollerandone né l’uscita dalla Confederazione né semplicemente una diminuzione dell’impegno. Nel Trattato di Maastricht non è neppure contemplata la possibilità che un Paese membro possa un giorno decidere di uscire dall’Unione: il presente trattato è concluso per una durata illimitata (art. Q del Titolo VII – Disposizioni finali). Qui entriamo nel campo della futurologia, ma non credo di essere particolarmente pessimista se, guardando al percorso dell’egemonia ateniese, trovo del tutto coerente con le attuali premesse il ricorso, un giorno, all’uso confederato della forza militare europea contro quel Paese che avesse osato di voler uscire dall’Unione. Del resto, la prontezza e la violenza dell’intervento occidentale contro l’"eccentrica" Serbia lasciano pochi dubbi in proposito. Tempi cupi attendono noi, periferia dell’Impero. Non resta che una resistenza disperata della cultura e dell’intelligenza. O un metaforico trasferimento a Berlino.
Andrea Del Ponte
Genova, 13.11.2000
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