CHI ERA IDA MAGLI?
    RICORDI E PENSIERI DI CHI L'HA CONOSCIUTA




RACCONTARE IDA CON IL RICORDO

di Luisa Falconi, allieva


Università La Sapienza di Roma, 1979. Confusa sulla strada da intraprendere tra scienza e filosofia, quell’anno non mi iscrissi all’Università come avevo fatto nei due anni precedenti. Senza l’assillo degli esami, mi permisi di seguire  tutto il corso di Antropologia culturale di Ida Magli. La ‘cultura’ non mi appariva più come il masso dei libri accatastati nella libreria di casa, ma un ambiente trasparente e vivo, che con il risveglio e la postura eretta torna a sistemarsi come una bolla d’acqua nei nostri pensieri consapevoli di  ‘tutti i giorni’. Ida ci insegnò a osservarla, ad andare oltre la sua ‘ovvietà’ e contemporaneamente a vederci nello specchio, ‘dentro e fuori’ come amava dire, partecipi e distaccati nello stesso tempo. Mi ha detto del suo femore rotto: “L’osso del corpo umano più irrorato dal sangue. Pensa, che sforzo deve essere stato per l’ ‘uomo’ alzarsi in piedi...” Soffriva e faceva le sue considerazioni antropologiche, il suo cervello era incapace di non-pensare. Aveva stravolto tutto nel modo di guardare all’uomo: l’uomo ‘occidentale’, che per la prima volta nella storia lasciava pensare e parlare le donne, in quegli anni Settanta. Studiò la condizione della donna in tutte le culture e le scoprì unificate in un destino di ‘silenzio’ e separazione - a cui, diceva, opponiamo ‘chiacchiere’ - mentre la parola ‘potente’, che crea realtà, è quella dei maschi: re, imperatori, sacerdoti.. Ripresi il mio percorso di studi e per la prima volta studio e vita andarono insieme. Feci in tempo a laurearmi poco prima delle sue dimissioni. La signora Magli, come la chiamavano con sottile sarcasmo alla Facoltà di Lettere, non divenne mai ordinario della sua cattedra: i sapienti con la tessera di partito l’avevano ‘bocciata’ per ben due volte, negandole titolo, ricercatori di ruolo e soldi. Restò fino alla fine, prendendola con ironia, la ‘signora Magli’, moglie di Adriano Magli, studioso e professore di Storia del Teatro e dello Spettacolo nella stessa Facoltà. No, Ida non era una femminista, l’abbiamo capito in ritardo e qualcuno non l’ha ancora capito. Sperava in noi allieve - ci ha protette, sostenute, incoraggiate – con la consapevolezza che le donne non sono fisiologicamente ‘attrezzate’ per creare cultura. La natura culturale dell’homo sapiens andava ricercata nella capacità proiettiva e ‘riflessiva’ del pene che fa dell’uomo maschio ‘soggetto’ di cultura identificando un altro ‘immediato’ - la donna – come suo oggetto. Alle sue lezioni  arrivarono numerosi anche gli allievi maschi, spesso maschi omosessuali. I maschi italiani, diceva, erano deresponsabilizzati da una legge sull’aborto che impediva loro di dire la propria sulle nascite dei figli. Ma cambiare la cultura, tutti insieme con una consapevolezza nuova, era possibile e aver creduto ad un diverso destino per le donne era solo il primo passo di quella rottura ‘epistemologica’ che Ida Magli in Italia ha compiuto: riportarci alla nostra dimensione di indigeni, di ‘selvaggi’ e cominciare a studiarci da dentro. E mentre l’accademia la emarginava sempre di più, pur dovendole concedere per le lezioni affollatissime l’Aula Magna della Facoltà, l’Italia credette in lei. Oltre a scrivere regolarmente su Repubblica, dialogava incessantemente con giornalisti e opinionisti che la interpellavano ogni giorno chiedendo un parere, una spiegazione, un chiarimento... Fu questo afflato corale fatto non solo di fascino, ma di affetto e considerazione che le permise, nella prima metà degli anni Ottanta, l’affondo sull’analisi del ‘sacro’ e del Potere.  Adottò Gesù di Nazareth come maestro, colui che aveva messo a nudo e stravolto dalle radici la cultura ebraica, abbattendo i tabu e trasgredito ai dettami del rituale, annullato l’idea di contaminazione, in primo luogo togliendo dall’impurità e dalla separazione le donne. A questo pensava ultimamente: ancora a un libro su di lui, convinta tra l’altro che, senza i Romani, Gesù non sarebbe mai ‘sceso in campo’. Chiusa la carriera universitaria, anche qualche amico di vecchia data la collocò tra gli indesiderati, a partire dal ‘suo’ quotidiano che cominciò a non pubblicarle gli articoli e non solo, nemmeno la lettera con cui spiegava le sue ragioni e salutava i lettori. Con gli allievi che ancora la seguivano e stimavano, diede vita alla rivista A.C.  istituendo riunioni ‘casalinghe’. Al clamore della stragi d’Italia del Novantadue e del Novantatrè, faceva riscontro il silenzio sul trattato di ‘Maastricht’,  progetto cardine per la cancellazione della nostra identità nell’Europa dei banchieri e dei diritti umani. Ida Magli intuì subito il nuovo volto del ‘sacro’, senza simboli, senza religioni, senza distinzioni, senza ‘forma’. Scagliò una pietra a modo suo: Contro l’Europa, del 1997 e tutti si scansarono. E se, bontà sua, il Corriere pubblicò, tra i pochi, una recensione, lo fece senza mai citarne il titolo. Ma più ‘forti’ trattennero quella pietra. A vecchi allievi si aggiunsero i nuovi, che mai l’avevano conosciuta prima, senza distinzione politica, né di età, né di provenienza: una truppa che presto confluirà negli Italiani Liberi. Era la risposta a quel “E adesso che facciamo?” che risuonava fuori dell’aula dopo ogni sua lezione; da parte le asprezze del cuore ‘postsessantottino’, le dure critiche a padri e famiglia e relativi reliquiari, il vile metallo che ci imbrigliava della tradizione poteva diventare vita e coraggio, il nostro ‘oro’ da dare alla patria in pericolo. Insieme ai nostri conti in banca, l’identità culturale, il senso e l’amore di essere Italiani, con una storia unica e preziosa come nessuna. Le è dispiaciuto con rabbia non avere le forze per scrivere un articolo sulla sovranità territoriale degli Italiani, derubati di pezzi di mare. “Roma è la capitale del mondo” diceva ultimamente. Laddove il mondo è tutto il nostro modo di pensare e vivere la vita, di qua e l’altra, quella che lasciamo in ricordo agli altri nel continuum della cultura. E proprio per questo, non so come, so che ancora ci sei.

Luisa Falconi




 
 
 

 

 
 
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