eDITORIALE

Ida Magli


di Barbara Palombelli
Il Foglio | 04.12.2013


  Quarant’anni fa, alla facoltà di Lettere di Roma. Entrai in un’aula affollata, al secondo piano. Gran silenzio, nei banchi studenti mescolati a persone certamente non iscritte all’università. In cattedra, una donna piccola, bionda, apparentemente pacata e sorridente. Un incontro che cambiò il mio percorso universitario e anche un po’ il mio destino (fu lei, quando lavoravamo insieme al centro documentazione per la storia delle donne, a dare il mio nome per un colloquio in Rai) in tutti i sensi. Ida Magli ha studiato tutta la vita – attraverso l’Antropologia Culturale, una disciplina sconosciuta in Italia e in passato utilizzata all’estero per compiere conquiste coloniali efferate – il nostro carattere nazionale. Ha indagato sui condizionamenti – religiosi e politici – che determinano l’agire personale e collettivo. Ha iniziato a decodificare i simboli: dai divieti e dalle prescrizioni che ruotano attorno a ciò che definiamo comunemente il “sacro”, fino alla lettura critica delle vite di Gesù e Maria. Senza mai perdere la capacità di conquistare gli allievi. Ricordo una intera lezione sul significato del tappetino che mettiamo fuori dalla porta di casa: partì da quell’oggetto insignificante e ci portò fino all’età della pietra, per  spiegarci che da allora non siamo poi cambiati così tanto. Per marcare il territorio negli anni della devastazione del sapere – attorno al 1977 – introdusse il compito scritto obbligatorio per accedere alla prova orale. Gli autonomi – sono testimone – la minacciavano di morte e irrompevano in aula. In quel periodo, Lucio Colletti e Rosario Romeo abbandonarono la Sapienza, altri mandavano allo sbaraglio gli assistenti nelle aule vuote. Lei, nel pieno dello sconforto, fu incoraggiata a proseguire da un intenso scambio di riflessioni con Norberto Bobbio, anche lui molto in ansia per l’Italia nei cosiddetti anni di piombo. Di volta in volta è stata definita come una suora, un’eretica anticlericale, un’anticomunista, un’antisemita, una pericolosa femminista e la peggiore nemica delle donne. Nei giornali, dove ha faticato sempre per poter scrivere, non sapevano come acchiapparla e catalogarla. In che casella inserirla? Scrive della minaccia islamica negli Ottanta e nei primi Novanta anticipando l’11 settembre? A Repubblica le fanno capire che la scelta per lei è più o meno fra le dimissioni e l’ambulanza per il manicomio. Altrove, le cose non migliorano: racconta con troppo anticipo che l’Europa non sarà il paradiso ma la fine della sovranità in nome di un invisibile potere mondiale della finanza, con toni che nemmeno Marx e Toni Negri… diventa di estrema sinistra o pende a destra? E oggi, con “Difendere l’Italia”, il suo ultimo saggio appena uscito da Rizzoli, le daranno della grillina? Invoca un Nuovo Risorgimento per difendere la nazione italiana dal Laboratorio per la Distruzione, vuole proteggere la nostra identità dall’omologazione totale. In nome, pensate un po’, della cultura e di Giuseppe Garibaldi. Una lettura come sempre imperdibile.

Barbara Palombelli

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