eDITORIALE
Politici e banchieri di Ida Magli ItalianiLiberi | 14.07.2011
Il
sabato 9 luglio 2011 è una data che gli Italiani non debbono
dimenticare. E’ il giorno, infatti, in cui il Ministro Tremonti, senza
dare nessuna giustificazione del fatto che non paga l’affitto della
casa dove abita, ha risposto ai giornalisti che gli domandavano se
avesse intenzione di dimettersi, con una frase lapidaria: “Non mi
dimetto perché sono io che garantisco l’Italia davanti all’Europa: se
cado io, cade l’Italia e se cade l’Italia cade l’euro. E’ una catena.”
In nessun periodo della storia d’Occidente un uomo politico, quale che
fosse la sua importanza, ha mai potuto fare una simile affermazione. Né
un conquistatore come Napoleone, né uno Zar come Pietro il Grande né un
Re come Luigi XIV, né un Imperatore come Filippo di Spagna, perché essi
rappresentavano l’immagine politica, non la dimensione concreta degli
Stati, la forza dei popoli che vi vivono. Quelle di Tremonti, invece,
per quanto terribili, non sono parole vane. La situazione è proprio
quella che lui ha riassunto nell’affermazione: se cado io cade l’Italia
e cade l’euro. In altri termini, l’Europa va in rovina perché il potere
è nelle mani di una decina di banchieri, e sono essi a quantificarne la
forza, giocandola in Borsa. Giocatori che soltanto la penna di
Dostojewski sarebbe in grado di descrivere, questi banchieri hanno
messo sul tavolo da gioco le Nazioni e non si alzeranno fino a quando
non le avranno giocate tutte, essendo loro ad avere in mano il banco.
Il dramma, dunque, è tutto qui. Firmando il trattato di Maastricht i
politici hanno trasferito il proprio potere nelle mani dei banchieri.
Oggi debbono riprenderselo, non possono fare altro che riprenderselo.
Il che significa avere il coraggio di creare, senza indugio e senza
discussioni, una nuova banca nazionale e stampare in proprio la moneta
necessaria al bilancio dello Stato. I titoli dello Stato li compreranno
esclusivamente i suoi cittadini (come avviene in Cina, in Russia e
ovunque ci siano governi degni di questo nome) e non saranno collocati
nella borsa mondiale alla mercé di chiunque voglia impadronirsene. Sono
già pronti molti studi e molti progetti, elaborati da economisti
italiani e stranieri di grande competenza, per la rinascita della
moneta nazionale, e sono anche molti i politici, presenti in diversi
Partiti, dal Pdl alla Lega, a Io amo l’Italia all’Italia dei Valori
(con un’interpellanza parlamentare dell’on. Di Pietro sulla questione
della sovranità monetaria) che sarebbero favorevoli a questa decisione
e aspettano soltanto che qualcuno prenda la parola per primo. Si tratta
di una decisione che comporterà moltissimi sacrifici, ma alla quale non
c’è scelta perché uno Stato che intraprende la strada dei prestiti a
interesse con la Banca centrale europea, non sarà mai in grado di
restituirli e alla fine crollerà. Abbiamo la Grecia sotto gli occhi:
dopo un orribile tira e molla, indegno di un qualsiasi concetto di
civiltà, per concederle dei prestiti ad altissimo interesse, oggi la
Bce dichiara che il fallimento della Grecia è inevitabile. Non è forse
stato imposto pochi giorni fa all’Italia, di cui a sua volta si dice
che stia per fallire, di contribuire per il 17% al totale dei miliardi
prestati alla Grecia? Debitori sull’orlo della rovina costretti a
prestare denaro a chi sta per fallire? C’è in Italia qualche politico
che abbia conservato il minimo di buon senso necessario per rendersi
conto della “follia” (se è follia e non rapina preordinata) di simili
comportamenti?
E’ indispensabile abbandonare ladri e folli al loro destino. Nessuno si
illuda che esistano alternative alla decisione di produrre in proprio
la moneta. Il meccanismo che sta portando alla rovina gli Stati europei
non è dovuto a un qualche imprevedibile incidente ma è intrinseco alla
creazione dell’euro, cosa che è stata detta e ripetuta innumerevoli
volte da economisti e monetaristi di ogni tendenza politica. Non può
sussistere una moneta che non fa capo a uno Stato e che non risponde
alle necessità di questo Stato, in quanto la moneta di per sé è stata
inventata proprio per essere uno “strumento” e non un “fine”. In
Europa, invece, gli Stati sono stati costretti a mettersi al servizio
dell’euro, piegandosi a poco a poco a costruire un mercato adatto
all’euro, limitando le possibilità di scambio delle merci, coltivando
carote su misura, uccidendo mucche, distruggendo arance… Per gli
storici di domani l’Europa dell’Unione costituirà l’esempio più
evidente di una società che delira. Siamo però ancora in tempo a
cercare di non morirne. Ida Magli Roma, 12 Luglio 2011
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