editoriale
Ci vogliono morti
di Ida Magli il Giornale | 20/05/2009
Non
esistono “società” multietniche. Quale che sia la buona fede o
l’ingenuità di coloro che si affannano in questi giorni ad affermare il
contrario, una società multietnica non può esistere perché una
“società” non è data dalla somma di singoli individui, ma dal loro
appartenere e vivere in una “cultura”. Ogni cultura possiede una sua
“forma”, creata dalle particolari caratteristiche che distinguono un
popolo dall’altro e che si manifestano nella diversa visione del mondo,
nella diversa sensibilità nei confronti della natura, nella diversità
delle lingue, delle religioni, delle arti, dei costumi, dei sentimenti.
Ciò che mantiene in vita una cultura è la “personalità di base” del
popolo che l’ha creata, quel particolare insieme di comportamenti che
ci fa dire con molta semplicità: gli Inglesi sono fatti così, gli
Americani sono fatti così, gli Spagnoli sono fatti così, e che ci
permette di riconoscere immediatamente, anche senza conoscere il nome
dell’autore, come “tedesca” una sinfonia di Wagner e come ”italiana”
una sinfonia di Rossini. La diversità delle culture costituisce la
maggiore ricchezza della storia umana.
Ma le culture muoiono. La
storia ci dimostra che anche le più forti, le più ricche, le più
potenti, ad un certo punto spariscono e non sempre perché distrutte da
conquistatori di guerra. E’ sparita quella straordinaria dell’Antico
Egitto di cui ci rimane, oltre all’immensa ammirazione per le piramidi,
anche la consapevolezza di essere talmente diversi da non sapere come
abbiano fatto a costruirle; è sparita quella di Omero, di Fidia, della
cui morte non riuscivano a darsi pace prima di tutto i Romani che hanno
fatto l’impossibile per conservarla in vita (perfino parlando il greco
fra loro), ma in seguito innumerevoli pensatori, poeti, artisti
d’Occidente così che ad un certo punto Hegel ha perso la pazienza e gli
ha gridato in faccia brutalmente l’unica risposta: “ Laddove un tempo
il sole splendeva sui Greci, oggi splende sui Turchi, dunque smettetela
di affannarvi e non ci pensate più! ” E’ così, infatti: sono gli uomini
i creatori e portatori di una cultura; non appena sopraggiungono altri
uomini, portatori di un’altra personalità di base, di un’altra cultura,
quella invasa deperisce e muore. Non è necessario neanche che gli
invasori siano numericamente in maggioranza: l’invasore è sempre il più
forte per il fatto stesso che è riuscito ad impadronirsi del territorio
di un altro e che si aggrappa, molto più che a casa propria, ai
costumi, ai cibi, ai riti, alla religione della sua cultura nel timore
di perdere la propria identità.
Chiunque neghi questo, nega
agli esseri umani, invasori o invasi che siano, ciò che li
contraddistingue come “uomini”, riducendone i bisogni e gli scopi alla
sopravvivenza biologica. “Non di solo pane vive l’uomo”. La Conferenza
episcopale italiana sembra essersene dimenticata e tocca a noi,
Italiani, e convinti che la nostra “cultura” debba essere
salvaguardata, come e più delle altre, anche per tutto quello che
contiene della bellezza del messaggio evangelico, domandare ai Vescovi
se non sia il caso che essi si interroghino, prima di tutto su che cosa
significhi per loro definirsi “italiani”, e poi su quale sarà il
prossimo (vicinissimo) futuro del cristianesimo in Italia. Riteniamo
anche che tocchi a noi, proprio perché laici e convinti che la libertà
del pensiero sia il patrimonio irrinunciabile dell’Occidente, difendere
il messaggio di Gesù dal tentativo sempre più pressante, e tragicamente
traditore, di ridurlo ad una variante dell’Antico Testamento e, di
conseguenza, anche dell’islamismo. Senza la ribellione di Gesù alla
mentalità normativa e tabuistica dell’ebraismo, senza la forza del suo
comando: “La vostra parola sia: sì sì, no no”, così simile all’assoluto
valore riposto dai Romani nella propria parola, i suoi seguaci non
avrebbero capito che il destino del cristianesimo era Roma. A questo
punto gli Italiani non vorrebbero essere costretti a ricordarsi che
sono stati sempre i Papi a chiamare gli stranieri in Italia.
E
la sinistra? Strano a dirsi, si comporta più o meno come la Chiesa.
Cosa pensa di fare degli Italiani, della cultura italiana, quella
sinistra che per tanti anni è stata l’unica forza politica a
interessarsi di antropologia, a pubblicare Lévi-Strauss, Malinowski,
Foucault, Leroi-Gourhan? Perché adesso tace di fronte alla morte della
cultura italiana, dopo aver tanto pianto sulla morte delle culture
primitive? Perché ci odia? Perché non fa per gli immigrati l’ unica
cosa giusta e che sarebbe in grado di fare molto meglio degli altri
partiti, ossia aiutarli a rimanere nel proprio paese? Non è
iscrivendoli all’anagrafe come “italiani” che gli stranieri creeranno
le melodie di Monteverdi o di Puccini, dipingeranno le Madonne di
Raffaello o di Mantegna, scriveranno i versi di Petrarca o di Leopardi.
Né
si dica che gli stranieri servono a combattere il decremento
demografico. Gli Italiani fanno pochi figli per tre motivi principali.
Il primo: siamo troppi per l’estensione del nostro territorio (260
abitanti per km.quadrato contro, per esempio, i 22 abitanti per km.
quadrato degli Stati Uniti), senza tener conto del fatto che la maggior
parte del territorio italiano è formata da montagne. La natura segue le
sue leggi di sopravvivenza e, a causa dell’eccessiva densità, fa
diminuire la prolificità. Non può sapere che i politici lavorano contro
le sue leggi, col risultato che più gente entra, più la natura cerca di
far diminuire gli abitanti, ossia gli Italiani dato che è
nell’interesse degli immigrati fare più figli che possono per diventare
maggioranza. Il secondo motivo consiste proprio nel senso di condanna a
morte che si respira nell’aria. Non c’è bisogno di spiegazioni
antropologiche: la gente sente benissimo di essere assediata e che non
le è permesso neanche il più piccolo gesto di difesa. A che pro fare
figli se non servono a conservare ciò che è italiano? Infine, il terzo
motivo: la difficoltà concreta di provvedere ai figli. Sono state
sempre le donne, prima del femminismo e del loro inserimento nel
lavoro, ad assistere i malati, i bambini, i vecchi: è il cambiamento
totale della vita quotidiana della società che avrebbe dovuto
comportare anche il cambiamento totale della sua organizzazione, cosa
che invece non è stata fatta. Questo problema sarebbe risolvibile
soltanto se tutte le forze, il denaro, gli interessi della nazione
fossero concentrati, non sull’immigrazione, ma sui bisogni della
sussistenza fisica degli Italiani, dei bambini, delle madri, delle
famiglie. Ma non è così. Quel poco che ha fatto il governo Berlusconi,
è soltanto un segno di buona volontà, non ciò che sarebbe necessario:
una nuova organizzazione impegnata psicologicamente ed economicamente a
far nascere molti italiani. E soprattutto, al di là delle cose
concrete: cominciare a far sentire agli Italiani che qualcuno li ama e
vuole che essi vivano.
Ida Magli Roma, 14 Maggio 2009 |
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